Chiudiamo le pubblicazioni per l’estate, lasciando ai nostri lettori e alle nostre lettrici il tempo del riposo estivo e dei buoni propositi da formulare durante le vacanze. La redazione, soddisfatta per il lavoro svolto, per i nuovi membri che si sono aggiunti nel corso dell’anno e soprattutto per i tanti lettori e lettrici che hanno iniziato a seguire la nostra testata, si prende un paio di mesi per approntare alcune novità – una newsletter settimanale più funzionale, nuove serie tematiche su ambiente e carcere – e per riflettere su cosa stia accadendo nel nostro Veneto e in Italia.
Anche fra chi ci legge, sappiamo bene, tra una passeggiata in montagna, un libro in spiaggia, una birra mentre il sole cala nelle città dove ancora con apprensione e desiderio si attende l’afa, le chiacchiere e le più serie riflessioni gireranno su questo: che è accaduto attorno a noi, cosa accadrà? Per favorire le riflessioni di tutte e tutti, chiudiamo quindi le pubblicazioni con un editoriale di riassunto. Che sta accadendo, che sarà?
Se parliamo di Veneto, dobbiamo dire che l’egemonia leghista è alle corde: ci stiamo ormai arrendendo all’idea che il nostro miglior soggetto di scherno ci abbandonerà, certi comunque che troverà un’occupazione degna delle proprie capacità. La non candidabilità di Zaia (ne abbiamo parlato qui) unita alla debacle nazionale e locale della Lega, infatti, sembra prospettare non una fine del potere della destra sulla regione, ma un ulteriore passaggio di testimone. Dalla DC a Forza Italia, da Forza Italia alla Lega, dalla Lega a Fratelli d’Italia? Certo è che nulla cambierà, se non in peggio. Preparatevi, per il prossimo anno, al ritorno di Elena Donazzan, solo momentaneamente depositata sugli scranni del Parlamento Europeo.
Se parliamo di Italia, dobbiamo invece citare il superbonus. Interessante forma di guerra di classe dall’alto: prendi a tutti per dare ai ricchi. Dobbiamo parlare di PNRR: distribuisci centinaia di miliardi, chi avrà la capacità di organizzarsi, cioè chi già ha, chi è organizzato, chi conosce saprà raccogliere. Giorni fa un noto economista tedesco, grande amante del nostro paese di cui parla raffinatamente la lingua, come usano gli stranieri colti che hanno appreso l’italiano sui testi letterari, con solo marcato accento alemanno, diceva: «Non si tratta di aumentare le tasse, gli studi e l’esperienza hanno dimostrato che è controproducente. Bisogna tagliare; venti, trenta miliardi l’anno basteranno». Il deficit è al 7,5%, si torna al 2010 e alle ipotesi di commissariamento. Nella generale crisi con virata a destra conseguita alle europee, molti scenari restano aperti.
E quindi, quali le conseguenze? L’ultimo anno è stato un anno di crisi della sanità regionale, che non riesce a risollevarsi dagli strascichi del Covid – e l’unica risposta è andare verso la privatizzazione, i cui campi vengono progressivamente allargati – medici di medicina generale, risoluzione delle liste d’attesa. La crisi abitativa è continuata esattamente come prima, con le ATER – regionali – che non possono che vendere il proprio patrimonio, sciupato da anni di investimenti a zero e di incuria, mentre non esiste uno strumento normativo che ponga freno alla speculazione (ma in questo campo va notata la mossa in controtendenza dell’amministrazione padovana, che intende togliere ad Ater Padova la gestione delle case comunali). Continua la cementificazione del territorio, con una temporanea vittoria – la speculazione di Monte Ortone – e molte sconfitte – fra le quali l’autorizzazione al magazzino Alì a Granze di Camin da parte dell’amministrazione Giordani. Il piano regionale, nato per porre un freno al cemento, continua a subire deroghe e ritocchi e non sembra in grado di arginare il cemento, su cui poggia una delle principali concezioni di ricchezza estrattivista della nostra regione. Il territorio va sfruttato in tutte le forme possibili, pena lo stop all’accumulazione di capitale. Via ai gassificatori che cambiano la struttura agricola della bassa. Via ai magazzini della logistica. Via alle nuove strade. Anche la pista di bob, che sembrava sul punto di saltare, si farà: le olimpiadi come ulteriore forma di messa a valore del territorio arriveranno, così come è arrivato il ticket, che sancisce la trasformazione di Venezia in un’attrazione turistica a pagamento – tranne che per i Veneti, s’intende. Ne abbiamo parlato qui.
È interessante come queste – sanità, edilizia residenziale pubblica, gestione del territorio – siano competenze già in mano alle regioni; ad esse, grazie all’attuazione dell’autonomia differenziata, se ne aggiungeranno molte altre. La trasformazione in legge della proposta sull’autonomia differenziata, avvenuta il 26 giugno, è uno dei dati politici più importanti, sui quali vale la pena riflettere: al netto dei LEP, i livelli essenziali di prestazione che dovrebbero garantire una tenuta dell’unità nazionale sul piano dei diritti, ma sui quali c’è molto fumo; al netto della propaganda leghista, che aveva bisogno di questo tacon per mascherare la propria perdita di prestigio; è un fatto che il controllo regionale ha coinciso con la speculazione privata. È possibile ipotizzare che l’autonomia differenziata costituirà, nel giro di un decennio, il piede di porco che consentirà al privato e alla speculazione di appropriarsi, un pezzettino alla volta, come risposta a piccole e continue crisi, del welfare italiano?
Cosa si è mosso dal basso in regione? Per mesi le università sono state occupate, attraversate dagli studenti che, dopo anni, hanno riconquistato un protagonismo internazionale, e anche in regione. Le lotte per la Palestina, che abbiamo ampiamente raccontato e seguito a partire dalle occupazioni padovane di novembre, sono state sulle spalle degli studenti, che non hanno permesso che si smettesse di parlare del genocidio in Medioriente, delle colpe dello stato di Israele e delle nostre complicità. Trattate spesso come espressione di vuoto radicalismo giovanile dagli azzimati e attempati commentatori, duramente seguite e represse dalla polizia, hanno ottenuto tanto o poco delle proprie rivendicazioni specifiche, avendo però una funzione politica centrale: hanno infatti obbligato tanti, a livello internazionale, nazionale e locale, a spostare le proprie posizioni, a rispondere quando prima avevano preferito il silenzio, a sbirciare la propria coscienza.
Già ce ne siamo scordati tutti, ma questo è stato anche l’anno della protesta dei trattori che, in quanto guidati da lavoratori, hanno avuto tappeti rossi e guanti di velluto da parte non solo delle forze dell’ordine ma anche della politica locale, che in vari modi ha tentato di ampliare il proprio bacino di voto. Abbiamo cercato di capirne qualcosa qui, ottenendo molte informazioni interessanti sullo stato dell’agricoltura e molta disillusione su quelle proteste. Infine, è stato anche l’anno della concretizzazione della fatidica riforma dell’arruolamento docenti, tanto discussa nelle pause caffé, quanto poco affrontata sul piano politico.
E’ difficile chiudere quest’editoriale senza ricordare il mese di novembre e le quindicimila persone che hanno attraversato le vie di Padova “facendo rumore” a seguito dell’ennesimo femminicidio avvenuto in provincia. Tuttavia, accanto al nome di Giulia Cecchettin, con cui i giornali locali e nazionali hanno riempito le proprie pubblicazioni, ce ne sono molti altri che sulle prime pagine durano appena un giorno. E la strage prosegue.
Finisce così, con questo bilancio non tutto negativo, questa primavera piovosa – non avremo da temere la siccità degli scorsi anni, ma non ci facciamo illusioni – e va in pausa il nostro lavoro di controinformazione. Con i nostri mezzi di semplice assemblea di redattori, uniti dalla militanza culturale e politica, volontaria e non retribuita, speriamo di aver fornito buoni e sufficienti argomenti di riflessione estiva. Ci vediamo a settembre.