di Filippo Grendene
Il dibattito sul terzo mandato in Italia è frutto dello scontro di potere interno alla destra italiana. Al suo centro stanno quelle regioni in cui la Lega ha dominato per anni lasciando però, a settembre 2022, il campo a Fratelli d’Italia. Il Veneto è l’epicentro di questa battaglia, dove fra il 76% della candidatura di Zaia si è passati al 14% della Lega. Il dibattito in corso, non ancora concluso nonostante la prima vittoria del no, è la trasposizione a livello nazionale di una lotta in corso in regione, della quale da un anno e mezzo si colgono clamori e grottesche avvisaglie.
Come si dà forma alle istituzioni?
L’Italia dalla seconda Repubblica in avanti mostra una spiccata tendenza a dar forma alle istituzioni sulla base del vantaggio politico immediato. Il dibattito sulla legge elettorale che accompagna le tornate elettorali nel nostro Paese da un trentennio è l’esempio più longevo di una tendenza che va acutizzandosi – e, in molti casi, non sempre fa il gioco dei proponenti. Il governo in carica si discosta parzialmente da questa linea: nel programma di governo trovano sede due riforme istituzionali, il premierato e l’autonomia differenziata, che hanno un respiro più ampio e, nelle previsioni, dovrebbero essere in grado di trasformare radicalmente lo stato italiano in qualcosa di diverso e di più all’altezza dei tempi: meno stato sociale, più governabilità, meno intoppi democratici, meno possibilità per chi ha di meno, più merito, mano libera all’imprenditoria privata, meno possibilità decisionale per gli elettori. Almeno il progetto ha il vantaggio di essere chiaro.
La proposta leghista di lasciare spazio ai terzi mandati non ha invece alcuna motivazione se non quelle, tutte interne alla destra, di arginare la crisi del partito del nord. Rimasta senza più identità al di fuori della personalità dei propri leader, in grado di gestire importanti rapporti economici e di potere sui territori, la Lega sa che, caduti Zaia e Fedriga, lo spazio della destra sarà di Fratelli d’Italia.
E Zaia cosa dice?
Luca Zaia, come abbiamo avuto modo di scrivere parlando del suo libro, è immune ai bassi istinti di cui, negli ultimi anni è preda la politica italiana. La sua stella polare è il buon senso, quella particolare capacità di interpretare i desideri dei suoi sudditi evitando pericolose lenti ideologiche, sempre pronte a generare pasticci e fraintendimenti. Così a inizio 2023 sul terzo mandato andava cauto: in varie interviste affermava di non potersi perdere in simili inezie, avendo come al solito da lavorare: «Sono concentrato su altro»; oppure, piuttosto: «Se femo uno spritz?». Il buon senso, un anno fa, diceva che il terzo mandato non sarebbe stato una grande idea, perché sembrare troppo attaccati alla carega non piace molto ai veneti.
Il buon senso, inoltre, consiglia al Governatore di non parlare mai del quarto mandato: tale sarebbe in effetti, dato che la regione Veneto ha recepito il limite di due mandati con Zaia già in carica, azzerando il contamandati e tornando a zero. È la stessa mossa che si vorrebbe fare adesso: se a livello nazionale passasse la legge, le lancette del contamandati tornerebbero di nuovo a zero, aprendo la strada ad altri teorici 15 anni di presidenza Zaia. Il buon senso a noi dice che non sarebbe male, per il nostro Luca..
E in effetti varie voci hanno iniziato a infiltrare quella facoltà di Luca, che gli consente di dire sempre la cosa giusta al momento giusto. Addirittura, lo fermano per strada! «Mi capita quotidianamente che qualcuno mi fermi per strada e mi chieda perché i presidenti non possano ripresentarsi»: come può il nostro Governatore tirarsi indietro davanti alla richiesta della sua gente?
La leggittimazione del potere
Il potere che Luca Zaia ha costruito in Veneto negli ultimi 15 anni si basa su una combinazione non scontata: la continuità col potere democristiano in regione attraverso Galan, ripulito dagli strascichi più discutibili; la messa a frutto della costruzione dell’identità veneta a suon di sagre del radicchio e dialetto; la capacità di espungere, dal discorso leghista, alcuni degli elementi più conservatori sentiti come estranei; il controllo capillare, a suon di finanziamenti, dei mezzi di informazione privati regionali; infine, last but not least, l’uso scaltro e non scontato, per i tempi, di nuove forme di comunicazione (ne abbiamo parlato qui e qui). Qui nasce la retorica del senso comune, che consente a Zaia di non parlare la stessa lingua degli altri politici. Non si evocano lotte di potere fra i due blocchi di destra, destinati a scontrarsi in regione, né la necessità di evitare scontri all’interno della Lega per la leadership: nella mente si materializza la coppia di vecchietti che, di ritorno dal mercato, le braccia cariche di sporte, trovano per caso Luca per strada di ritorno dall’ennesimo impegno istituzionale e, fattisi coraggio, gli dicono: «Luca, me racomando, sta mia molare!».
Come dire loro di no?