Un matrimonio che ‘s’ha da fare’
Leonardo Garizzo
non ereditiamo la terra dai nostri antenati,
ma la prendiamo in prestito dai nostri figli
Proverbio Navajo
Torniamo ad occuparci di una vicenda che riguarda il territorio e l’idea (o ideologia) che sta dietro ad un preciso modello di sviluppo che per potersi concretizzare ha bisogno di cementificare. Si tratta di tutti quei casi di terreni ad uso agricolo che vengono destinati ad attività commerciali o produttive.
Questa tipologia di progetti coinvolge numerosi territori tra Padova e provincia: 150.000 m² a Granze di Camin destinati all’ampliamento del magazzino Alì, altri 150.000 m² a Tribano per un nuovo polo logistico (area Le Vallette), 320.000 m² a Monselice per il progetto Agrologic (polo agroalimentare Aspiag Service, Despar), 90.000 m² a Monte Ortone (per edificazione turistica termale di cui ci siamo occupati qui), 130.000 m² per l’ampliamento della 3° corsia Autostradale tra Padova e Monselice (A13), 97.000 m² per il nuovo casello autostradale di Monselice. Ricordiamo che la città di Padova è in testa alla classifica nazionale per consumo di suolo (49,76% dell’intero territorio comunale) e per i valori relativi all’inquinamento ambientale (PM 2,5 d’inverno e ozono d’estate).
Anche Maserà di Padova dovrà destinare una porzione di suolo ad asfalto e cemento che da Piano Urbanistico Attuativo (PUA) risulta essere pari a 102.077 m² (l’equivalente di 15 campi da calcio), con capannoni che possono raggiungere i 15 metri di altezza.
Per discutere di questo PUA, venerdì 1° dicembre si è tenuta a Maserà un’assemblea pubblica (qui il video), organizzata dalla lista civica Comunità e Territorio. Il progetto prevede l’insediamento di un nuovo polo logistico, che dovrebbe sorgere in un’area che attualmente è destinata ad uso agricolo. Si tratta dell’espansione del 60% dell’attuale zona industriale compresa tra via Bolzani e via Terradura, a ridosso della Strada Statale 16 “Adriatica” (meglio conosciuta come Strada Battaglia).
Dal progetto si rileva che la capacità insediativa (ovvero la massima copertura di suolo dell’area in oggetto), è pari a 42.673,50 m², che per un’altezza di 15 metri fanno circa 640.000 m³ di volume edificato. Da sottolineare che, se le esigenze produttive e tecnologiche di chi andrà ad installarsi lo richiederanno, l’altezza potrà aumentare. Alle aree verdi è destinata una quota di 16.024 m², che in gran parte saranno utilizzati per il bacino di invaso. Il resto sarà dedicato a parcheggi, strade e spazi di manovra (rotonde), marciapiedi e cabina Enel.
Al momento non si conosce il committente. Infatti, attraverso una procura speciale il progetto è stato presentato dalla ditta START S.R.L. (che ha sede legale a Vicenza in viale del Mercato Nuovo n. 44/F). Il tecnico progettista è l’architetto Conte Maurizio che, eletto in quota Lega, tra il 2000 e il 2010 ha presieduto la Commissione Ambiente del Consiglio Regionale del Veneto.
L’area in questione era destinata all’edificazione da circa 20 anni (era il 2004 quando fu approvato un piano regolatore a Maserà che ipotizzava 254.000 m² di espansione della zona industriale). Per questo motivo il progetto è stato trattato come un qualsiasi permesso di costruzione. È stato presentato al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) senza alcun passaggio in Consiglio Comunale e senza incontri con la cittadinanza per una discussione pubblica.
Attualmente il progetto è al vaglio in Regione per la Valutazione Ambientale Strategica (la cosiddetta VAS). Dal sito della regione è possibile visionare il piano correlato da diversi studi e relazioni tecniche che riguardano l’impatto acustico, l’invarianza idraulica, un rapporto preliminare ambientale e l’impatto sulla viabilità. In quest’ultimo si può leggere che “il nuovo insediamento produrrà un aumento massimo giornaliero pari a circa 80 mezzi pesanti in ingresso e altrettanti in uscita lungo la viabilità di afferenza”. A questi vanno aggiunti i mezzi dei dipendenti (sono previsti 190 lavoratori divisi tra specializzati e impiegati), e infine i mezzi dei visitatori, altri 45. Complessivamente, dunque, 160 mezzi pesanti in più al giorno (non dimentichiamo che questo è un ampliamento di una zona industriale esistente) e più di 200 mezzi leggeri. Tutte le valutazioni sono state fatte sulle stime fornite dallo stesso committente, al momento sconosciuto; per cui ci si chiede quale possa essere l’attendibilità di questi studi. In ogni caso, superato l’iter regionale il progetto tornerà all’amministrazione comunale per essere approvato dalla Giunta.
Il fatto che al piano proposto non sia stata allegata alcuna convenzione urbanistica, una sorta di do ut des per avere delle compensazioni in termini di oneri maggiori oppure opere pubbliche a carico del proponente (a parte le solite rotonde con le quali le amministrazioni si fanno pagare), è sembrato curioso. Durante l’incontro Francesco Miazzi, del Comitato Lasciateci Respirare Monselice, tra le altre cose, ci ricorda che un tir arriva a produrre 165 tonnellate di CO2 annue, mentre un acero riccio, tra le piante più efficienti in ambito antismog, è in grado di assorbire una quantità media di 0,19 tonnellate di CO2 in un anno. Morale: per compensare le emissioni di un solo tir ci vogliono più di 1.500 aceri adulti (che potrebbero essere proposti nella convenzione mancante).
Vale la pena ricordare, inoltre, che in Veneto vi sono più di 93.000 capannoni, di cui 11.000 vuoti, (con una media di 1 capannone ogni 53 abitanti), e che questi sono sparsi tra più di 5.600 siti produttivi. Solo a Maserà ricordiamo che l’ex Sirz occupava circa 7 ettari, inoltre ci sono ancora: Cineplex, Famila, Gamma3, solo per citare i più conosciuti. Sembra superfluo evidenziare che non si vede nemmeno l’ombra di una pianificazione a livello regionale, provinciale o comunale, che dovrebbe raggruppare le zone artigianali e destinarle ad aree vicine a scali ferroviari (l’Unione Europea chiede che le reti ferroviarie siano raddoppiate entro il 2030 e triplicate entro il 2050), così da trasferire il trasporto su gomma a quello su rotaia. Viste le numerose falle del sistema, sulla legge regionale che dovrebbe limitare fortemente l’uso del suolo stendiamo un velo pietoso.
Tornando al nostro PUA, da un punto di vista economicistico e riguardo le promesse di creazione di ricchezza ci pensa la scienza, attraverso i dati dell’ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale), a dimostrare i costi occulti collegati alla cementificazione (tra gli 89.000 e 109.000€/anno per ettaro di suolo consumato).
Un altro ospite della serata maseratense ha fatto il punto sul tema lavoro. Paolo De Marchi, di ADL Cobas, ha illustrato quali sono le condizioni di precariato (o per meglio dire di sfruttamento) alle quali vengono sottoposti i facchini della logistica, ricattati attraverso contratti stagionali e intermittenti, minacciati, malmenati e persino uccisi se provano ad alzare la testa per chiedere il rispetto dei loro diritti. A tutto ciò va aggiunto il fatto che i lavoratori sarebbero quasi tutti spostati da altri siti produttivi, ritenuti obsoleti o semplicemente abbandonati. Quindi per gli autoctoni non molte prospettive di trovare un impiego dignitoso.
Il fatto che il committente finale resti sconosciuto ricorda il caso di cui ci siamo occupati a Casale sul Sile, dove anche i sindacati confederali non hanno saputo proporre niente di meglio se non i soliti proclami, chiedendo una contrattazione anticipata con la controparte (sconosciuta) e senza avere nemmeno i lavoratori iscritti, consci del fatto che grazie alla stagionalità e diffusa precarietà questi lavoratori difficilmente saranno sindacalizzati.
Alla fine dell’assemblea è uscita la proposta di una raccolta firme per fermare il polo logistico a Maserà. Questo dovrebbe essere solo un primo passo per provare costruire un comitato che si opponga con forza all’ennesima speculazione edilizia. Quanto avvenuto a Due Carrare, oppure a Monte Ortone, ci insegna che alcune battaglie si possono vincere, a patto di agire uniti e radicali nella lotta.
Siccome le amministrazioni si difendono con la scusa che il polo logistico se non si fa qui, si farà nel comune limitrofo, l’auspicio è che i vari comitati si saldino tra di loro e collaborino, facendo rete, con i diversi movimenti e organizzazioni, per provare a fermare questo modello di sviluppo che è privo di una qualsiasi pianificazione e che mira solo a mettere a valore il territorio, scaricando i costi sui cittadini (l’inquinamento prodotto dall’aumento della circolazione dei mezzi, peggiora la qualità di vita di tutti, non resta confinato nell’area comunale).
Regioni e Comuni sono finiti in una spirale che si auto-alimenta. Da una parte i comuni, a causa del patto di stabilità e delle politiche di austerity, sono sempre alla ricerca di entrate per fare cassa (e gli oneri di urbanizzazione in questo caso ‘fanno gola’). Dall’altra, senza la minima idea di una pianificazione, la funzione regionale è quella del passacarte istituzionale: una volta stabilito che tutto è a norma di legge, viene data l’autorizzazione. Sarà necessario mobilitarsi e agire il conflitto, ma coordinarsi per provare a cambiare modello di sviluppo, altrimenti una battaglia vinta in un comune rischia di trasformarsi in speculazione nel comune di fianco.