
Capita spesso, in tempi di crisi, che la società si stringa attorno ai propri leader. Caso emblematico è proprio Luca Zaia. Le sue conferenze stampa colpiscono per l’atmosfera dimessa e famigliare. Il presidente è in primo piano, a destra e a sinistra gli assessori Bottacin e Lanzarin, alle sue spalle la traduttrice nel linguaggio dei segni. Fuori camera i giornalisti.
Zaia in primo piano saluta tutti; anche i giornalisti a cui dà del tu e che chiama «ragazzi». Questi a loro volta si rivolgono a lui come a un amico. In pochi minuti Zaia espone il bollettino: tamponi fatti, ricoverati, dimessi, guariti, morti. Altre informazioni – sulla strategia da adottare, le prospettive, i rischi – Zaia ce le dà a braccio, senza usare paroloni. Si passa quindi a leggere qualche lettera o a mostrare il disegno realizzato da un bambino. Tra una battuta e l’altra si elogiano i veneti, la loro generosità, il loro rispetto delle regole, la loro voglia di darsi da fare. Non possono mancare i ringraziamenti ai nostri imprenditori: De Franceschi della Grafica Veneta, Enrico e Franco della S. Benedetto, i fratelli Lando, la famiglia Stevanato dell’Ompi e via uno dopo l’altro.
Il presidente è un padre, un fratello, un amico che ci rassicura e ci fa sentire quanto vicino sia ormai il ritorno alla normalità. Non perde tempo in questioni politiche, lui è fuori da queste cose. L’immagine che vuole far passare è quella del buon amministratore, solo ogni tanto ci ricorda quanto lui la veda lunga, peccato che a Roma non vogliono capire: «Continuo a dirlo, ma il governo non l’ha recepito». In questa atmosfera Zaia allontana i dubbi di alcuni possibili figli ingrati: qui e lì, come fosse nulla, sempre un po’ scherzando, risponde alle polemiche e alle critiche ricevute in settimana. Chi l’ha criticato di solito non si è informato: «Non è che ci vuole una laurea ad Harvard per capire certe cose», oppure una notizia – che per lui è un fake news – è semplicemente: «una puttanata». In pochissimi minuti Zaia finisce e cede la parola ai giornalisti «Avete domande ragazzi? Che poi andiamo a casa a mangiare». Le domande che seguono restano per lo più a livello di curiosità e chiarimenti: «Andremo veramente in spiaggia con i box?»; «Il bambino che le ha mandato le uova ha 11 anni?»; «Ci giunge notizia di mascherine vendute a 9 euro». Zaia organizza le sue risposte secondo due direttrici. Da un lato segue tutta la retorica del «stiamo valutato»; «stiamo facendo»; «faremo»; «abbiamo fatto». Dall’altro, quando la situazione si fa scivolosa, «non dipende da noi» e sottolinea che la responsabilità è del Governo, dei comuni, della finanza, delle aziende. Il gioco è fatto.

La conferenza stampa dell’11 aprile è particolarmente significativa. È il sabato prima di Pasqua, l’atmosfera è amichevole e rassicurante, come al solito. Su 41 minuti di conferenza stampa, Zaia fa il suo discorso in tre minuti, ci dà solo le informazioni del bollettino medico. Poi legge la lettera di un bambino che gli ha scritto donandogli delle uova feconde, buone per far nascere pulcini, ci spiega che questo è il Veneto: «A undici anni i veneti se dà da fare, ragassi». Arrivati al minuto otto, la parola passa ai giornalisti, e si tratta di una chiacchierata. Luca è uno di noi, nessuno fa domande fastidiose, che sarebbero poi inopportune in questo momento e nei confronti di una persona impegnata come il nostro presidente. È anche vero però che Zaia, in alcune occasioni, ha dimostrato di essere uno che sa dire tutto e il contrario di tutto, e che ogni tanto la spara anche grossa. Dopo quella conferenza stampa, i giornali d’Italia e del Veneto scriveranno nero su bianco che secondo Zaia il lockdown è finito e che per lui da martedì (il 14 aprile!!) il Veneto sarebbe ripartito, quasi che ci si potesse aspettare un ritorno secco alla normalità. In realtà, sappiamo benissimo che la scelta non compete ai governatori della regione. Lo sa bene anche lui, ma sorvola.
sappiamo benissimo che la scelta non compete ai governatori della regione. Lo sa bene anche lui, ma sorvola
In una situazione simile è molto difficile sottrarsi alla fascinazione del leader, soprattutto quando l’impressione è quella di avere un rapporto diretto con lui. Il presidente che ci sta parlando sembra uno serio, uno di noi che si è trovato al suo posto solo perché è il più bravo tra i veneti. E poi che responsabilità può avere lui? Ha fatto tutto il possibile e il Veneto ha retto. Si poteva fare qualcosa di più? Forse – ma ce l’ha spiegato per bene – è colpa del governo centrale che gli tiene le mani legate. Il colpo, il disvelamento, arriva nella conferenza stampa del 17 aprile. Qui il governatore ci spiega che nelle nostre aziende venete la sfida è condivisa e non c’è conflitto sociale, i veneti sanno collaborare e tra imprenditori e lavoratori ci sono rapporti di amicizia e quasi di famiglia, con il titolare che magari fa da padrino al figlio del dipendente.
Ecco che a un certo punto, intorno al minuto 19, arriva il guastafeste, la solita pecora nera della famiglia. Per la prima volta dallo scoppio dell’emergenza, Zaia si ritrova a dover rispondere a una domanda polemica. Il giornalista ci rovina il ritrovo famigliare e insinua dubbi fastidiosi. Per esempio che la regione voglia presentare al tavolo nazionale un protocollo di sicurezza scritto dall’Università di Padova, protocollo commissionato da Confindustria Veneto. Poi ricorda che il sindacato ha chiesto che a decidere sulle riaperture sia il governo nazionale. Che stia insinuando che Luca, tra i veneti, pensa più agli imprenditori che a chi lavora? Che forse – lui che è solo un buon amministratore – abbia fatto proprio un gioco politico, spingendo nello scontro Stato-regione?

Zaia si irrigidisce, cambia postura, si è seccato e più che rispondere sminuisce le domande del giornalista, lo caccia fuori dalla grande famiglia dei veneti: «No guardi siete voi che avete una confusione in testa»; «No, riconosci che hai detto una cosa che non è vera»; «Vedi che hai dato ragione a me»; «Ma di costa stiamo parlando». Eppure, a pensarci un attimo, il giornalista passato per guastafeste non ha fatto altro che mettere in pratica quello che, anche in un momento come questo, dovrebbe essere il ruolo della stampa. Insomma, sembra non esserci via d’uscita dalla narrazione del grande padre dei veneti. Sarà anche per questo che – oggi più che mai – si sente spesso dire: «Non sono leghista, ma Luca è Luca».
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