Intervista a Gianfranco Bettin
Ieri mattina una spaventosa nube di fumo nero si è alzata su Marghera. La causa? Un incendio di vaste dimensioni scoppiato nell’azienda 3V Sigma. Ci sono stati un ustionato grave, un ferito e diversi intossicati. Le denunce di inadeguatezza degli impianti alle norme di sicurezza risalgono a molto tempo prima, ma sono rimaste inascoltate. Due ore per spegnere l’incendio, una nube tossica e un allarme lanciato con ritardo. Ne parliamo con Gianfranco Bettin, presidente della municipalità di Marghera, che ci racconta una dinamica dura a morire. Almeno finché quella tra Salute e Lavoro sarà pensata come un’alternativa.
Quest’azienda era già stata segnalata. Con chi abbiamo a che fare?
L’azienda si chiama 3V Sigma SPA. L’attuale proprietà è di Bergamo, ma possiede impianti anche in altri luoghi italiani e fuori dall’Italia. Produce acetone, ammoniaca, idrogeno, additivi e prodotti intermedi che vengono ulteriormente trasformati in coloranti, solventi, detersivi, a seconda della filiera alla quale sono avviati. Quest’azienda rappresenta una parte del vecchio complesso petrolchimico che negli anni si è autonomizzata. Il petrolchimico, infatti, ha subìto un’evoluzione e un’ampia sezione del complesso è stata chiusa. Alcune parti sono rimaste in capo a ENI e ciò che rimaneva, quando non è stato chiuso, ha dato vita ad una serie di aziende che hanno iniziato una propria strada indipendente, sempre all’interno della filiera chimica. Proprio nella zona in cui sorge la Sigma ci sono l’Archema, la Sapio e altre aziende che ora conducono una vita autonoma ma che facevano parte dell’enorme complesso petrolchimico. La storia di questa azienda viene da lì, per questo, quando ieri mattina abbiamo visto una nube nera che si sollevava in cielo, ci siamo preoccupati: sappiamo che si tratta di impianti ad alto rischio.
Quanta gente ci lavora?
Alcune decine. Mi pare che l’azienda abbia in tutta Italia circa 300 dipendenti e qui, a Marghera, si aggirano introno alla quarantina. Il personale, oltre che dagli interni, è formato anche dai dipendenti di alcune cooperative che intervengono al bisogno e credo che almeno uno dei due feriti gravi sia un esterno.
Lei ha parlato di un “disastro annunciato”. Vuole commentare questa affermazione?
Ho parlato di disastro perché ciò che è successo ieri mattina ha avuto una portata gravissima. In primo luogo sulla pelle delle due persone coinvolte, ferite e in gravi condizioni, ma non solo. Parlo di disastro per il rischio a cui sono stati sottoposti gli altri lavoratori, per il rischio a cui è stata esposta la cittadinanza, per l’impatto gravissimo sull’ambiente, perché la nube ha sprigionato le sostanze contenute nel materiale bruciato. Adesso attenderemo i referti dell’ARPAV ma sappiamo che si tratta di una nube tossica.
Nei mesi scorsi ci sono state diverse segnalazioni da parte dei lavoratori sulle condizioni di insicurezza in cui si lavorava all’interno di questa azienda. L’estate scorsa c’è stato anche uno sciopero che, tra le altre cose, ha denunciato l’inadeguatezza dei sistemi antincendio. Non poteva essere più annunciato di così… Le denunce si sono susseguite a lungo e l’ultima credo risalga alla settimana scorsa. L’azienda non solo non ha risposto, ma ha minacciato di denunciare i sindacati per le loro proteste; come se stesse subendo una diffamazione. Non so se l’azienda abbia dato seguito alle minacce, ma lo ha dichiarato. Inoltre questa azienda non aderisce al SIMAGE, il sistema di monitoraggio e allertamento del rischio industriale che da anni vige a Porto Marghera. Infatti ieri mattina l’allarme è scattato con un certo ritardo ed è arrivato dalle aziende vicine, non dalla 3V Sigma. Questo dimostra chiaramente con che azienda abbiamo a che fare e quale sia il suo atteggiamento verso i lavoratori, verso la città, verso l’ambiente.
Sembra impossibile che ancora oggi si debba compiere una scelta tra Salute e Lavoro, ma è una scelta che a Marghera ha una storia molto antica.
Non è l’unica azienda in queste condizioni, purtroppo. Tutta la grande zona portuale di Porto Marghera è in fase di transizione: la parte industriale, infatti, ha ancora una componente chimica che, laddove ci sono stati dei veri investimenti è diventata più sicura, più sostenibile e ha guadagnato anche una certa competitività sui mercati. Ma c’è anche un’altra serie di aziende, tra cui la Sigma, che in passato aveva annunciato una serie di investimenti mai avvenuti e che è sembrata maggiormente dedita a spremere gli impianti finché poteva senza avere una prospettiva di investimento più lungimirante. Questo crea, tra le altre cose, lo stato di insicurezza che abbiamo visto ieri mattina esplodere – letteralmente – in un disastro.
Da quanto tempo è di proprietà della Sigma questo impianto?
Non da tantissimo, da qualche anno.
Sembra una dinamica classica degli ultimi anni, impianti che si comprano e si vendono, pensiamo ad esempio a Taranto…
E’ proprio così, e Marghera, in questo senso, è un classico. Il caso più eclatante è stato quella della Dow Chemical, che rilevò un pezzo del vecchio petrolchimico e lo spremette al massimo, fino al tremendo incidente del 2002, quando saltò in aria con il rischio di coinvolgere il vicino deposito di fosgene, sfiorando un potenziale disastro. I vigili del fuoco hanno scritto nel loro rapporto finale che è solo grazie ad un miracolo se è stata evitata una catastrofe senza paragoni in Italia. Non si può continuare così, affidandosi al culo, diciamo così, per chi non crede ai miracoli!
Cosa si dovrebbe fare nell’area di Marghera?
Bisognerebbe fare quello che si è fatto in altre grandi zone industriali in Europa, intervenendo con lungimiranza. Si può decidere di lasciar andare quest’area in rovina o si può decidere di investire, per risanare dove è richiesto. Questa è un’operazione necessaria su tutto il territorio, solo così infatti sarà possibile potenziare, attraverso la bonifica dei giardini e degli impianti, alcune filiere strategiche, rendendo finalmente possibile un salto di qualità nella chimica “verde”. Quest’idea è presente ma ferma da vent’anni. Non decolla mai, perché non c’è una politica industriale su scala nazionale che abbia al proprio interno un programma di riconversione di queste zone industriali. Alcune sono morte, altre – come Porto Marghera – attraversano una transizione che sembra interminabile, perché non hanno sostegno né sul versante ambientale né su quello della riconversione. Questa assenza di sostegno ha un prezzo molto alto. Alcune realtà riescono ad arrangiarsi, anche a Marghera alcune aziende provenienti dal vecchio ciclo chimico sono riuscite a rinnovarsi completamente. Altre invece sono in una situazione di chiaroscuro e molte ombre si allungano su sicurezza, ambiente, lavoro. Il tema di una politica industriale lungimirante e innovativa attraversa il dibattito pubblico da almeno vent’anni, ma nulla è cambiato in profondità.
Sono vent’anni, se non di più, che si parla di “fine” del lavoro operaio, “fine” della manifattura…
Ovviamente non è così, l’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa. Solo a Marghera ci sono mille aziende, e ce ne sono decine nel settore chimico e metalmeccanico. Stiamo parlando di una zona industriale tra le maggiori d’Italia, con circa quindicimila addetti. È un delitto lasciarla senza un orientamento e senza sostegno. L’oggetto del conflitto da vent’anni è questo: da una parte qualche istituzione locale, le forze sociali, sindacali, ambientali, e dall’altra le rappresentanze d’azienda, predatorie e senza lungimiranza.
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