Turismo in Veneto e COVID-19
IERI
Dalle coste veronesi del Lago di Garda alla vita notturna di Jesolo; da Venezia affollata di russi, cinesi e americani alle altre città di cultura e bellezze artistiche, senza dimenticare le terme di Abano, le dolomiti del Brenta e Gardaland; e poi ci sono gli eventi: il Vinitaly, la mostra del Cinema di Venezia, la stagione dell’opera di Verona, il carnevale… un mondo che difficilmente chiameremmo sistema produttivo ma che risulta fondamentale per l’economia del Veneto. Secondo l’assessore al turismo Federico Caner è addirittura «la più importante industria regionale, i cui sviluppi e mutamenti condizionano le scelte di governo in molti altri ambiti, da quello della mobilità e infrastrutture a quello urbanistico, da quello dei servizi alla persona a quello del commercio.»
Negli ultimi vent’anni il settore turistico ha assistito ad una grandissima espansione a livello globale dovuta in larga parte all’abbassamento dei costi di trasporto e alla crescita dei redditi delle economie emergenti che hanno aumentato il potenziale bacino di domanda turistica. L’Italia ha deciso di cavalcare l’onda di questa espansione investendo soldi e competenze per diventare – nella divisione internazionale del lavoro – un posto in cui si va in vacanza. Territori, produzioni e mano d’opera sono stati convertiti alla produzione di servizi turistici; le bellezze naturali e culturali sono state messe a valore. La retorica della vocazione turistica ha dato il senso di questa operazione. Il Veneto rappresenta la fetta più grande della torta dell’economia turistica nazionale.
È difficile descrivere la filiera produttiva del settore turistico in modo preciso poiché si interseca strettamente con il resto dell’economia regionale, nazionale e globale. C’è un settore propriamente turistico fatto di alberghi, ristoranti, bar, musei, stazioni sciistiche, negozi (di abbigliamento e di souvenir), agenzie di viaggio e tour operator, stabilimenti balneari, locali notturni… e c’è un gigantesco indotto: tutto quello che gira attorno al turismo reale e rende possibile il funzionamento del settore; dai luoghi di permanenza dei lavoratori, ai pescatori che procurano il pesce per i ristornati, ai trasporti che rendo possibile l’arrivo dei turisti…
Qualche dato per comprendere la dimensione del discorso (dati ISTAT):
- Il comparto turistico fattura ogni anno 18 miliardi di euro, il 10% del PIL regionale
- L’economia turistica veneta rappresenta il 16% dell’economia turistica nazionale
- Nel 2018 sono state registrate 69 milioni di presenze, 47 delle quali straniere
- Dal 1997 al 2017 l’arrivo di turisti in regione è aumentato del 85%
- Il comparto turistico conta 34 mila imprese, l’8% delle imprese regionali
Ma se c’è una gelateria ci sono i gelatai, ovvero se c’è impresa ci sono i lavoratori e le lavoratrici. Nell’industria turistica sono impiegate 110 mila persone: camerieri, cuochi, guide turistiche, bagnini, animatori, baristi, maschere, tour operator, commessi. E poi tutto il back office, il lavoro sporco fuori dalla vista del turista, dove la presenza di migranti è significativa: chi porta le sdraio in spiaggia la mattina alle 5, chi mette i tavolini dei bar nelle piazze e li riporta in magazzino a notte fonda, chi pulisce le stanze, le strade, i piatti, chi fa arrivare il cibo che mangeranno gli ospiti nelle cucine dei ristoranti e degli alberghi. Ai lavoratori che lavorano nel cuore della produzione si deve sommare anche un indotto che ne conta 80 mila: in totale circa 200 mila persone occupate dentro o attorno la grande industria turistica veneta.
Dal punto di vista contrattuale quello turistico è un settore disastroso, tra i più precari e i meno sindacalizzati dell’economia nazionale. Secondo Veneto Lavoro nel 2018 solo il 6% degli occupati aveva un contratto a tempo indeterminato e la presenza di lavoratori stagionali (estivi soprattutto) è altissima (41%). Un settore nel quale le forme più variegate di contratto sono state utilizzate accanto al lavoro informale (pensate solo a chi vive affittando la propria casa privata su AirBnB), ad un utilizzo improprio dei contratti a chiamata, al lavoro autonomo e finto-autonomo, al lavoro grigio e al lavoro nero. Importante è anche l’apporto degli stage e dell’alternanza scuola-lavoro: se sei uno studente del triennio di un istituto turistico passerai buona parte della tua estate seduto ad una reception, o nella sala di un ristorante. In generale quello del turismo è un settore nel quale lo sfruttamento dei soggetti più deboli sul mercato del lavoro – giovani, donne e migranti – è un puntello fondamentale della struttura.
Questa immagine deve aver avuto in testa Federico Caner quando il 26 dicembre prometteva, dopo aver registrato il + 2,6% di turisti nel 2019 rispetto al 2018, un 2020 da record.
OGGI
Il settore turistico risulta tra quelli più compromessi a causa dell’epidemia di COVID-19 e che più lentamente riusciranno a ripartire anche dopo la fine dell’emergenza. Non è in effetti azzardato ipotizzare che, anche in un futuro prossimo con sempre minor casi e restrizioni, il turismo internazionale resti congelato all’interno delle frontiere e che le mete dove trascorrere le vacanze estive saranno scelte su criteri nuovi: sicurezza e vicinanza geografica piuttosto che divertimento e incanto per l’esotico.
Federica Letizia Cavallo, docente di Geografia del Turismo, è intervenuta all’appuntamento settimanale di martedì 5 maggio degli Economics Tuesday Talks organizzati dalla Ca’ Foscari e dedicato al tema turismo e COVID-19, discutendo le ragioni per le quali il turismo è stato e sarà gravemente impattato dall’epidemia; queste sono: 1) la non essenzialità dell’attività, che determina la sua sospensione in casi di emergenza – conflitti, attacchi terroristici, calamità ambientali: pensiamo a Venezia e all’acqua alta di novembre 2019 – sia per decreto sia per scelte individuali; 2) il fatto che si basi sullo spostamento e 3) sull’interazione tra le persone in modi non compatibili con le misure di sicurezza previste per il contenimento e la diffusione del virus.
Gli effetti economici che la mobilità ridotta e la paura del contatto ravvicinato avranno sul nostro modo di intendere e fare esperienza dell’attività turistica, almeno nei prossimi mesi, ricadranno sui proprietari di stabilimenti balneari, strutture alberghiere, ristoranti. Difficile immaginare tra un mese, quando ancora oggi le spiagge restano chiuse per jogging e passeggiate, il lago di Garda o le spiagge del litorale adriatico gremite di tedeschi, giovani famiglie e gruppi di anziani dei centri sociali che si godono il sole e le partite di bocce e volley; o anche le colonne di turisti che fuoriescono dal ventre delle navi da crociera ancorate al porto di Venezia per accalcarsi sotto le volte di San Marco.
Per far fronte alla crisi del settore sono stati messi in campo una serie di aiuti per le imprese: la sospensione dei versamenti previdenziali e contributivi per alberghi agenzie e tour operator e la possibilità per le agenzie di rimborsare i clienti che già avevano prenotato con un voucher da utilizzare in tempi migliori. Tra gli interventi è previsto anche un bonus vacanze di 325 euro per chi decidesse quest’anno di passare le sue vacanze in Italia. La sensazione che la stagione estiva sia in gran parte compromessa però rimane molto forte.
In questa crisi profonda la precarietà dei lavoratori e delle lavoratrici del settore li espone ai rischi più alti. Secondo Veneto Lavoro tra il 23 febbraio e il 19 aprile 2020 si è registrata in Veneto una perdita di circa 48-50 mila posizioni di lavoro dipendente e quasi la metà di queste nel settore turistico. Quanti tra quei 110 mila lavoratori del turismo sono oggi senza un reddito? La cassaintegrazione e il fondo di integrazione salariale è privilegio di pochi. I 50 mila lavoratori stagionali hanno accesso solamente ai 600 euro di bonus una tantum del Cura Italia. I lavoratori autonomi sono nella stessa situazione. Per chi lavorava in nero non esiste neanche questa possibilità.
Quando riapriranno le spiagge, i ristoranti e i bar, il rischio è che i primi costretti a pagare il prezzo della crisi del turismo saranno proprio i lavoratori e le lavoratrici che, in regime di flessibilità massima, non verranno chiamati al lavoro o gli sarà chiesto di condividere con i loro datori di lavoro i sacrifici che tutto il paese sta facendo.
DOMANI?
In questi giorni alla televisione vanno in scena le immagini dei ristoratori che sistemano i tavolini per la riapertura e dei proprietari degli stabilimenti balneari che misurano le distanze tra gli ombrelloni; da quelle immagini trasuda il senso di un settore che attende impaziente il via per ripartire identico a com’è stato negli ultimi anni. Quanto c’è di vero in quelle immagini? Torneremo in spiaggia protetti da gabbie di plexiglas e mangeremo al ristorante uno di fronte all’altro separati da pannelli-scudo? E per quanto tempo?
Il COVID-19 sta lentamente diffondendo la percezione delle fondamenta incerte e provvisorie sulle quali poggia l’industria turistica dalle qual dipende economicamente un pezzo significativo della popolazione. La non essenzialità del settore è inversamente proporzionale alla sua importanza e pervasività nella nostra società: sia dal punto di vista economico (come abbiamo visto) che simbolico; tutti vogliamo andare in vacanza, tutti aspettano per mesi e mesi il momento in cui iniziano le ferie, tutti amiamo viaggiare e godere di bellezze naturali e culturali.
Il turismo di massa, incentivato dalla rilevanza che il viaggio occupa nell’immaginario delle società ricche, è la condizione necessaria e sufficiente alla trasformazione di interi centri storici in villaggi commerciali nei quali la realtà dell’esperienza urbana ed esistenziale di chi ci abita è completamente sommersa e aliena. Si tratta di territori il cui spazio, pubblico e privato, è stato quasi totalmente piegato agli interessi di chi è in vacanza; territori nei quali il comparto turistico è totalizzante al limite della monocultura e la dipendenza dall’afflusso dei turisti e dai loro consumi è altissima.
Venezia è forse l’esempio più icastico dell’anarchia privata che (s)regola il settore: meta sovraffollata di un turismo fast, eco-insostenibile, nella quale l’esperienza si rivela tutt’altro che piacevole e dove gran parte delle attività commerciali presenti sono il prodotto della quasi completa turisticizzazione della città. Ad oggi questa Venezia – il modo di produrre ricchezza sfruttando il lavoro e il territorio che rappresenta – è ancora pensabile?
Ringraziamo Ilaria Boniburini per le foto di Venezia
1 thought on “Stessa spiaggia, stesso mare”
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