«Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti, che ci fanno tanto divertire». Le parole pronunciate dal Presidente del Consiglio qualche giorno fa devono essere risultate stonate alle orecchie dei lavoratori dello spettacolo.
Ieri mattina a Padova in circa quaranta si sono trovati in presidio sotto gli uffici dell’INPS di via Delù.
Artisti, tecnici, fonici, facchini. La filiera dello spettacolo comprende una molteplicità di ruoli e impieghi e un numero ancora maggiore di tipologie di inquadramento contrattuale.
Una frammentazione esasperata tra lavoratori dipendenti, autonomi, intermittenti, sotto cooperativa, che costringe a un lavoro con molte incertezze e poche garanzie. Ancor più in questi mesi. Con il blocco di concerti e spettacoli in molti si sono trovati senza lavoro e senza vedersi riconosciuta nessuna forma di indennità da parte dello Stato, proprio in virtù della mancanza di chiarezza ed organicità che regna su questo settore.
Da mesi l’ADL Cobas ha avviato una campagna con le maestranze dello spettacolo, che ha portato all’organizzazione di presidi sotto le sedi dell’INPS di varie città del Veneto per richiedere tutele, diritti e continuità di reddito.
«Una campagna che però vuole parlare a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici» dice Luca dell’ADL al microfono, in riferimento ai tanti ritardi nel versamento della cassa integrazione e dell’indennità di 600 euro. Sono ancora molti i lavoratori che aspettano ancora gli ammortizzatori di marzo.
Tra questi figurano anche quelli impiegati nel settore dello spettacolo, per i quali in molti casi non è ancora chiaro quale sia l’ammortizzatore sociale di riferimento. Il caso più eclatante è quello dei lavoratori intermittenti, come spiega Luca: «fino alla fine di marzo sembrava che avessero diritto alla cassa integrazione in deroga, almeno in alcune regioni visto che questa era regolamentata dalle singole regioni. Gli importi non erano conosciuti, il meccanismo di pagamento nemmeno, però sembrava che fosse quello lo strumento. Il giorno prima dell’apertura per la richiesta, tante delle imprese e delle cooperative per cui lavorano molti intermittenti, hanno detto: “No, questa cosa non si può fare. Ci sono dei meccanismi legati ad alcune circolari dell’INPS che lo rendono impossibile, bisogna chiedere l’indennità di 600 euro per i lavoratori dello spettacolo anche se è improprio” – e quindi si è passati a quello. Adesso dall’undici di maggio è stato attivato un meccanismo ancora diverso con il nuovo decreto ripartenza, sempre costruito attorno a questa indennità di 600 euro. Per giugno e i mesi a venire non si sa… Fatto sta che la gran parte dei lavoratori intermittenti devono ancora prendere i primi 600 euro, e quindi siamo arrivati a metà maggio e ci sono lavoratori che fino ad adesso non hanno visto un euro».
Agli occhi dei presenti i fondi stanziati dai recenti decreti emanati dal governo non sembrano destinati a risolvere questa situazione. Le risorse stanziate appaiono insufficienti sia nei termini del denaro messo a disposizione, che delle procedure da seguire. Un aiuto fortemente selettivo, divisivo e frammentato, a cui si accompagna un’assenza di universalità nei meccanismi di riconoscimento. Il che rischia di condannare una consistente fetta di lavoratori a restare in assenza di un sostegno al reddito dignitoso.
Un altro aspetto che ha fatto da comune denominatore agli interventi di molti lavoratori è stata la richiesta di un riconoscimento professionale adeguato a tutte le figure che compongono la categoria. Queste le parole di Jacopo, di professione cantante:
«Siamo qui a rivendicare una cosa molto semplice, di essere messi in grado di lavorare. Il lavoro di una persona che si occupa della filiera culturale – in questa filiera ci sono camionisti, facchini, addetti luce, fonici, cantanti, musicisti – il lavoro di queste persone non è considerato un lavoro… Il mondo in cui arranchiamo è un mondo che non ci considera dei lavoratori, che non ci mette nelle condizioni di considerare noi stessi professionisti. Dobbiamo procedere compatti perché la crisi del nostro mestiere è una crisi sistemica, è una crisi di percezione, è una crisi di linguaggio, è una crisi di lavoro, è una crisi di povertà ed è una crisi di cannibalismo. Perché il codice in questo lavoro è: se non vieni tu ne ho un altro o un altra che viene a 50 euro in meno di te. Questo non è lavoro questa è schiavitù, è cannibalismo».
Sul come uscire da questa situazione le idee sono chiare: «Serve un interlocutore che ci aiuti a definirci come professionisti, io credo che nelle città questo interlocutore dovrebbe essere l’assessore alla cultura» afferma Jacopo, «Dobbiamo chiedere a chi nelle città si fa bello con la parola “cultura” di aggiungere alla parola “cultura” la tutela di chi lavora nella filiera della produzione culturale. Diritti, rappresentanza e aiuto. Perché fino a quando la politica non avrà esplorato la filiera della produzione artistica, [quest’ultima] rimarrà nel buio e non rimarrà nella legalità in cui dovrebbe essere, come la filiera di ogni altro ciclo lavorativo…».
L’impressione, in questi mesi, è che per i lavoratori della cultura e dello spettacolo non sia prevista una vera e propria Fase 2: la frammentazione estrema, la varietà delle trattazioni contrattuali e la disabitudine a pensarsi collettivamente fa sì che il tempo passi, e nulla avvenga.
Il presidio ha segnato un punto rispetto alla necessità di unità e riconoscimento fra i lavoratori. La dirigenza dell’INPS ha accettato di incontrare una delegazione del picchetto.: il faccia a faccia, naturalmente con mascherina d’ordinanza, si è concluso con l’impegno di costruire un tavolo regionale con INPS e regione Veneto, con lo scopo di strutturare un’erogazione dei sussidi al reddito che sia efficace nel sostenere l’intero comparto delle maestranze dello spettacolo, intermittenti compresi.
L’ente di previdenza sociale ha inoltre garantito che in settimana si farà carico delle 10.000 domande di ammortizzatori ancora in attesa di risposta.
La speranza per molti rimane che si trovino soluzioni veloci per poter far ripartire il settore in sicurezza, ma non a scapito della dignità professionale. Perché se per molti lo spettacolo è sinonimo di divertimento, per altri significa lavoro. Non uno dei migliori.