di Emanuele Caon
A me il razzismo istituzionale l’ha spiegato, alle 7:17 della mattina, un controllore di Trenitalia nella tratta Padova-Bassano del Grappa. O forse no, me l’ha spiegato un signore africano: «A lui non lo controlli?». Lui ero io, semplicemente bianco, italiano e in camicia per andare al lavoro. Quando è passato il controllore ero al telefono e ormai, si sa, gli abbonamenti sono digitali. Quindi per mostrare il biglietto ho detto al mio interlocutore che l’avrei richiamato: «Devo far vedere l’abbonamento, scusa». Il controllore mi ha sorriso gentile e mi ha sussurrato di non disturbarmi. Anche quello sul sedile davanti a me era al telefono, solo che era nero e con le scarpe antinfortunio: «A lui non lo controlli?», era proprio irritato, indignato, un po’ sfinito. Il controllore si è scusato ed è andato oltre. Si è vergognato, perché non ci aveva pensato, aveva solo risposto a un riflesso condizionato.
Secondo la polizia si sarebbe buttato in acqua per sfuggire a un controllo; secondo alcune testimonianze, invece, la polizia avrebbe agito in modo violento.
Oggi, sabato 28 gennaio 2023, alle ore 14:00 ci troviamo nel piazzale della stazione dei treni di Padova. C’è un corteo convocato dal Coordinamento antirazzista italiano e dai familiari di Oussama Ben Rebha, un ragazzo tunisino di 23 anni trovato morto nel fiume Brenta a Pontevigodarzere. Secondo la polizia si sarebbe buttato in acqua per sfuggire a un controllo; secondo alcune testimonianze, invece, la polizia avrebbe agito in modo violento. La faccenda non è chiara, e appunto per questo il corteo è stato convocato per chiedere verità e giustizia sulla morte del ragazzo. Due anni fa, il 4 giugno 2021, un caso simile sempre a Padova: un giovane, Khadim Khole, si getta nel Brenta per sfuggire alla polizia; viene poi ritrovato morto poco dopo.
La manifestazione di oggi non è solo per Oussama Ben Rebha, ma contro il razzismo istituzionale: quello che non deriva da un odio consapevole o almeno non per forza, ma da una forma di incomunicabilità o, meglio, di inconciliabilità tra parti, da una serie di meccanismi che si creano e che nessuno in fondo vorrebbe, ma che purtroppo sono dura realtà.
L’opinione pubblica, la gente, che cosa penserà di questa morte? Forse nulla, forse che il ragazzo se l’è cercata, in fondo chi non ha nulla da nascondere non scappa. Di sicuro si sarà trattato di uno spacciatore. O forse che è vero, così non dovrebbe andare, ma che Oussama avrebbe fatto meglio a non scappare: «Come ti viene in mente di tuffarti in un fiume, vestito e in pieno inverno?».
Che cosa penserà chi abita a Pontevigodarzere? Qualcuno lì segnala e denuncia la presenza dello spaccio, chiama la polizia, si lamenta, usa il suo voto come meglio gli pare. Forse a qualcun altro viene anche in mente: «Più che spacciatori, magrebini o africani, sono poveri, un modo per vivere devono pur trovarlo». Sì, però se hai lo spaccio sotto casa non sei contento. Non sei contento nemmeno di essere intimorito quando cammini per strada, che poi la minaccia sia reale è un’altra storia.
E cosa penseranno i poliziotti? Avranno dormito la notte? Qualcuno di loro forse si sarà detto che potevano lasciar stare, che già uno era morto così due anni fa, che tra inseguirlo bloccandogli le vie di fuga o farselo scappare non cambiava nulla. Certo che poteva anche non scappare. E con la gente che ti chiama come si fa? Devi far vedere che fai i controlli, così le persone si rassicurano e i politici sono contenti. Oppure il poliziotto si ricorda di quella volta che per un fermo è finito in pronto soccorso con un dito rotto, così smette di pensare e chiude gli occhi.
E la nostra amministrazione comunale? Che cosa si saranno detti in maggioranza? Che non ci voleva anche questa, che già uno era morto due anni fa, e adesso ci attaccheranno da sinistra. Che però se non mettiamo telecamere ovunque e non facciamo le ordinanze e non mandiamo la polizia a fare i controlli poi la gente si lamenta, e poi votano a destra e allora sì che le istituzioni si fanno razziste. O forse è andato tutto diversamente e in Comune si stanno solo chiedendo come mettere fine al razzismo istituzionale.
Se sei straniero ti controllano più spesso e con più convinzione. Forse le botte dalle forze dell’ordine le hai già prese, in Italia o in patria. E se poi non hai il permesso di soggiorno rischi di essere messo in un Cpr [Centri di permanenza per i rimpatri], cioè in una prigione in cui aspetti di essere rimpatriato. Rimandato in patria, se si può chiamare così un posto da cui te ne sei voluto andare. Se un salto in un fiume, vestito, in pieno inverno è più allettante di una perquisizione qualche domanda, banale, bisogna farsela. Che la polizia sia stata violenta o meno.
Anche oggi mi hanno spiegato che cos’è il razzismo istituzionale, marciavo sereno e mi hanno fatto vedere un messaggio mandato alla pagina di una delle realtà che ha organizzato il corteo. Una signora scriveva di voler venire in manifestazione con il marito e il figlio e poneva una domanda a cui non avevo pensato: «Questora autorizza? È sicuro per noi stranieri?».
Politicamente bisogna prendere una posizione e mostrare che esiste un pezzo di società che queste cose non le vuole più vedere
Dopo il corteo di oggi mi resta un senso di insoddisfazione. Di sicuro la manifestazione è stata giusta, non basterà, ma è stata giusta lo stesso. Politicamente bisogna prendere una posizione e mostrare che esiste un pezzo di società che queste cose non le vuole più vedere, che chiede che lo stato si opponga ai suoi stessi cortocircuiti. L’insoddisfazione però mi resta soprattutto per l’apatia con cui la città ha guardato a questa vicenda e alla manifestazione, forse perché la morte di Oussama è difficilmente collocabile in uno schema bianco e nero, buoni contro cattivi. Mi resta la percezione di qualcosa che è difficile nominare, una storia di paure e mezze ragioni che si avviluppano e producono altre paure e altre mezze ragioni. In sostanza meccanismi che si insinuano nella società e nelle sue istituzioni e i cui effetti sono pagati da più parti. Anche se non da tutte allo stesso modo.
3 thoughts on “Eppure si muore: quel razzismo che nessuno vorrebbe”
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