Lo sciopero generale dei sindacati di base si chiude con una buona partecipazione e una serie di contraddizioni. Partiamo dai numeri: migliaia di persone sono scese in piazza fra Padova e Venezia, con partecipazione in alcuni casi di intere realtà di fabbrica, come vedremo, e di rappresentanti da tantissimi settori del mondo del lavoro. Con alcune contraddizioni: quattro cortei in due città, conseguenza delle divisioni che storicamente attraversano questo mondo vitale, in espansione, ma litigioso – con la spada di Damocle del dibattito sul green-pass. I sindacati di base sono infatti riusciti a concentrare in una sola data le rivendicazioni che pesano non solo sui lavoratori ma in generale su tutti e tutte: licenziamenti, aumento delle bollette, rilancio di un piano sul welfare e attenzione alla gestione dei fondi del PNRR.
I due cortei di Padova, tuttavia, erano divisi sulla posizione da tenere di fronte al green pass: la CUB ha caratterizzato il corteo su posizioni contrarie, mentre l’ADL ha tenuto e tiene una posizione netta sulla necessità di vaccinarsi. In questa settimana, quando entrerà appunto in vigore, l’obbligo del green pass sui posti di lavoro, dopo l’attacco fascista alla CGIL di sabato a Roma, non è un argomento da poco. Noi siamo andati a Venezia alla manifestazione dell’USB e dell’SGB, e abbiamo ascoltato le voci di chi stava in piazza.
Il corteo, a Venezia Mestre, parte da piazza Barche per concludersi, due chilometri e mezzo dopo, in via Torino 151/c, davanti alla sede legale di Confindustria Veneto Siav. Oltre ai lavoratori e alle lavoratrici di USB e SGB, a camminare per le strade di una Mestre vuota e assolata ci sono studentesse e studenti della FGC Venezia-Mestre, Potere al Popolo, il Partito Comunista dei Lavoratori e il Partito Comunista Internazionalista. Alle ragioni degli studenti (che trovate riassunte qui in un post della FGC e che, in generale, riguardano le condizioni del rientro in classe post-lockdown), si sommano quelle più geograficamente determinate della Actv (l’azienda comunale del trasporto pubblico di Venezia) e degli operai della ditta Seven di Villafranca di Verona coordinati da USB.
Alberto Cancian, del coordinamento provinciale USB Lavoro Privato Venezia e RSU dell’Actv, individua le cause dello sciopero nelle politiche neoliberiste del governo che ricadono sulla classe lavoratrice e, più nello specifico, nel taglio di servizi e linee di navigazione e nella dismissione degli accordi integrativi di secondo livello da parte del gruppo Actv Avm. Alla fine del gennaio 2021, in seguito agli effetti dell’acqua alta (novembre 2019) e della pandemia, il gruppo comunicava ai sindacati l’interruzione degli accordi in quanto «eccessivamente onerosi da sostenere in un periodo in cui sia la crisi economico-finanziaria che quella turistica hanno ridotto gli introiti dell’azienda e fatto venire meno le stesse esigenze che avevano portato alla stipulazione di tali accordi». Cancian critica la dipendenza che lega il benessere dell’economia lagunare al turismo – e che silenzia le esigenze di chi a Venezia ci vive – e la penalizzazione dei lavoratori come unica soluzione apparentemente disponibile di fronte ai periodi di crisi.
Alfonso, di origini calabresi e residente a Nogarole Rocca, lavora alla Seven (azienda logistica di Villafranca di Verona che fornisce manodopera di facchinaggio, personale specializzato e magazzini per stoccaggio merci) e sciopera insieme ad altri compagni – sono quasi quaranta gli operai della Seven che partecipano al corteo – per il riconoscimento dell’indennità di freddo. Da quasi quattro anni gli impiegati della Seven che lavorano a – 27° nelle celle frigorifere chiedono di ricevere un’indennità suppletiva denominata “di disagio” che l’azienda si rifiuta di accordare. Insieme all’indennità, vogliono un aumento della busta paga: la maggior parte degli operai, tra cui molti immigrati, lavora da anni con un contratto a tempo indeterminato e «lo stipendio è sempre rimasto quello, mentre i prezzi sono aumentati tutti».
Davanti alla sede di Confindustria Veneto Siav si formano numerosi capannelli, e ognuno di questi è un nucleo particolare da cui si irradiano traiettorie di lotta: gli operai della Seven, i lavoratori della Fenice di Venezia, dell’azienda del trasporto pubblico, gli studenti e le studentesse, i pensionati e le pensionate. A tenerli uniti è un tessuto concreto di bisogni che si traducono in forme di contrarietà: no al processo di aziendalizzazione della scuola, no all’impoverimento della forza lavoro, no alla difesa statale delle ragioni del capitale. Il secondo ragazzo della Seven che si lascia intervistare ci dice, supportato dai compagni: «Non va bene così, perché non viviamo per il lavoro, ma lavoriamo per vivere, quindi così no, solo per mangiare no». E un sindacalista del teatro la Fenice, che mentre ci parla viene interrotto brevemente da un collega che deve raggiungere di corsa il padre in una RSA, gli fa eco: «La vita, la tranquillità del vivere, in sostanza, deve prevalere rispetto a quella lavorativa».