Breve storia dell’educazione sentimentale nelle scuole italiane
di Livia Pinzoni
È di poche settimane fa la notizia che in una scuola media della provincia di Treviso è stata annullata la proiezione de “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, film tratto dalla storia vera di un quindicenne suicida, vittima di bullismo omofobo, a causa delle proteste di alcuni genitori. Che il Veneto non sia il luogo più all’avanguardia dal punto di vista della lotta alle discriminazioni di genere lo sapevamo già, ma questo episodio è sintomo di una questione un po’ più profonda: la gestione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane. Al momento, infatti, la questione è interamente rimessa alla sensibilità delle singole istituzioni scolastiche, che in totale autonomia possono decidere se istituire percorsi di educazione sessuale e/o affettiva, sempre e solo, ovviamente, con il consenso dei genitori.
La situazione è sostanzialmente la stessa di quindici anni fa, quando io frequentavo il liceo, e in quei cinque anni l’unica educazione sessuale/affettiva che ho ricevuto sono state due ore di gelide spiegazioni mediche sul funzionamento dei genitali maschili e femminili, i metodi anticoncezionali, la prevenzione dalle infezioni sessualmente trasmissibili, il tutto coronato da una frase finale, pronunciata con tono grave, “l’unico modo per stare sicuri resta l’astensione totale”. Nulla sul tema del consenso, sulla distinzione tra sesso e genere, sulle soggettività altre da quelle binarie, solo un imbarazzato accenno agli orientamenti sessuali, ma soprattutto nulla che andasse oltre la stretta logistica del rapporto sessuale, affrontata rigorosamente dal punto di vista eterosessuale. Come poteva una simile postura sperare di parlare in qualche modo a quel branco di adolescenti affamati e pieni di domande?
Il problema di questo approccio prescrittivo e normativo è che esprime una precisa posizione morale, e comunica un’idea delle relazioni e dell’affettività che è anche, e soprattutto, politica, che delimita ciò che può essere insegnato e lo divide da ciò che invece non è normato, e quindi “normale”. Un percorso educativo di questo tipo è dannoso oggi ancora più di allora, visto che paradossalmente per gli adolescenti di oggi è più facile trovare esempi e informazioni inclusive fuori dalle aule scolastiche, che così diventano uno spazio di esclusione e marginalizzazione. C’è una questione generazionale: se le persone nate prima degli anni duemila hanno vissuto l’adolescenza in una sorta di fame collettiva di informazioni, la generazione Z e ancora di più quella alpha crescono invece immerse in un’epidemia di immaginari. La produzione di intrattenimento culturale e di contenuti sulle relazioni, sul sesso, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere è sterminata, e contiene al suo interno una vastità di possibilità che può diventare sovra-stimolante.
Secondo i dati raccolti nel 2023 dall’Osservatorio Giovani e Sessualità 2023: Durex e Skuola.net insieme, su un campione di oltre 15.000 giovani tra gli 11 e i 24 anni, quasi la metà ha dichiarato di affidarsi a Internet per trovare le informazioni su sessualità e affettività, per imbarazzo o per mancanza di altre opzioni. Eppure, il 94% di loro pensa che dovrebbe esserci una materia scolastica che affronti questi argomenti. Se da un lato c’è stata un’esplosione di contenuti che alimentano questa educazione accidentale, a che punto siamo con quella programmatica e scolasticamente strutturata?
La storia di questa battaglia è lunga e, purtroppo, prevedibile. È del 1975 la prima proposta di legge “Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola statale”, del deputato Giorgio Bini (PCI). A questa hanno fatto seguito molte altre: nel 1995 da parte del PDS, di Nichi Vendola (all’epoca PRC) e Alberta de Simone (DS) nel 1996, di Flavio Rodeghiero (PRC) nel 1999, di Franco Grillini (DS) nel 2007. Nessuna di queste è andata a buon fine. Nel 2011 L’Italia firma la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, e firmando si impegna ad “includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado materiali didattici su temi quali la parità dei sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza di genere e il diritto all’integrità personale”. Forte di questo impegno nel 2013 la deputata di SEL Celeste Costantino presenta alla Camera la proposta di legge “insegnamento dell’educazione sentimentale nelle scuole del primo e del secondo ciclo dell’istruzione”, proposta che non verrà mai discussa. Nel 2015 viene approvata la riforma della “Buona Scuola”, che prevede, almeno sulla carta, “l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Questo scatena un rigurgito conservatore, ed ecco che comincia ad aleggiare nei corridoi scolastici il fantasma dell’ideologia gender e dei complotti di “rieducazione sessuale” dei bambini. Di fatto la formulazione stessa della riforma è così vaga, e i fondi così pochi, che l’educazione sentimentale non entra nei programmi scolastici. E infatti, nel rapporto del 2023 del Global Education Monitoring dell’UNESCO (Comprehensive sexuality education (CSE) country profiles – UNESCO Digital Library) l’Italia continua ad essere uno degli ultimi stati membri dell’Unione Europea senza educazione sentimentale obbligatoria (vale la pena ricordare che la Svezia l’ha introdotta già nel 1955, l’Austria dal 1970, e la Germania dal 1990).
Ma alla fine del 2023 il 105esimo femminicidio dell’anno, quello di Giulia Cecchettin, riapre il dibattito: esattamente un anno fa il Senato approva all’unanimità il ddl S 923 recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, in cui ironicamente la parola “educazione” non compare neanche una volta, perché il testo di fatto parla solo di misure repressive e inasprimento delle pene. Nello stesso mese, a seguito di forti pressioni, ecco che compare “Educazione alle relazioni”, iniziativa del ministro Valditara per le sole scuole superiori di cui ricorderete forse le dubbie figure proposte come coordinatori designati (Alessandro Amadori, autore dei testi “La guerra dei sessi” e “Il diavolo è (anche) donna”, seguito da suor Monia Alfieri e dalla candidata del Partito della Famiglia Paola Zerman). Il progetto prevede dei percorsi educativi extra-curriculari (quindi relegati al doposcuola), per un totale di 30 ore annue, a partecipazione facoltativa, che ogni istituto può decidere in autonomia se attivare, previo consenso dei genitori. E chi dovrebbe farsi carico di questo gravoso compito? Un parterre ben assortito di influencer, cantanti, attori e figure professionali come psicologi, avvocati, assistenti sociali, e organizzazioni impegnate contro la violenza di genere. È il grande momento della conversione femminista di Valditara, che cavalcando l’onda mediatica della tragedia appena accaduta si lascia andare a dichiarazioni che meritano di essere riportate: “Noi dobbiamo sradicare dalla società italiana i residui di un maschilismo arcaico che umiliano la donna. Quindi dobbiamo partire proprio dalla scuola, dalla cultura, dalla formazione dei nostri giovani”.
Facciamo un salto di un anno e ascoltiamo il Valditara del 2024 dire che la lotta al patriarcato è ideologica e divisiva, addirittura contro i “valori costituzionali”, e che l’aumento dei fenomeni di violenza sessuale è “legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. E dove l’ha detto? In collegamento con la Camera dei Deputati in occasione della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, che punta a portare educazione affettiva e al consenso nelle scuole, con l’obiettivo di agire in sinergia con altre realtà già presenti sul territorio nazionale per cercare di colmare l’enorme vuoto istituzionale. Sì, perché in questo anno dal lancio del dépliant “Educazione alle relazioni” non è successo assolutamente nulla. La proposta di legge della deputata M5s Stefania Ascari per introdurre veri percorsi di educazione affettiva e sessuale a scuola è ancora ferma in attesa di essere discussa, non si hanno notizie su passi in avanti nel coordinamento del progetto di Valditara (a parte un fantomatico tavolo di lavoro sul bullismo affidato ad un ignaro Paolo Crepet che smentisce), e intanto la scuola continua a non occuparsi in maniera sistematica di educazione sessuale e affettiva.
Una realtà che si riflette in episodi emblematici come quello del preside del liceo padovano Tito Livio, dove Giulia Cecchettin aveva studiato, che nega la richiesta degli studenti di organizzare un minuto di rumore in occasione dell’anniversario della morte di Giulia, invitando al silenzio (o magari ad accendere una candela) perché “non c’è nulla da aggiungere ai fiumi di parole che sono state dette”.
Non si riesce ad uscire dalla dinamica delle tragedie che si fanno trend momentanei, cavalcati finché le telecamere restano accese, in cui si avanzano proposte che di volta in volta hanno al loro interno voragini enormi perché guardano solo al tassello contingente. Il problema è che si continua imperterriti a censurare e silenziare le esigenze di questi giovani, quando basterebbe ascoltarli per capire cosa servirebbe davvero per costruire un programma completo, che tocchi tutti i nodi dell’educazione alle relazioni e ai sentimenti, e che fornisca gli strumenti per poter prendere spazio e voce in questa società della performance, senza esserne inghiottiti.
L’educazione non è solo un luogo di trasmissione, è un dispositivo di potere, uno spazio in cui si definiscono confini, e forse dovremmo anche chiederci: in quali mani vogliamo lasciarlo? Ha senso parlare di educazione obbligatoria e di responsabilità collettiva se poi gli adulti che dovrebbero farsi carico di questa educazione sono quelli che invitano al silenzio, vietano film, censurano l’insegnabile? Chi educherà questi adulti a interrogare i propri vissuti, gli stereotipi e i ruoli che hanno interiorizzato, e soprattutto il potere che viene loro concesso?
La scrittura di questo articolo, nelle sue riflessioni storiche e critiche, è stata arricchita e ispirata dalla lettura del libro di Maura Gancitano, Erotica dei sentimenti – Per una nuova educazione sentimentale (Einaudi, 2024).