Da qualche tempo i lavoratori della Fondazione Arena di Verona registrano una scarsa disponibilità al dialogo da parte della dirigenza. Due fatti recenti hanno portato in settimana a una grande assemblea sindacale e alla dichiarazione dello stato di agitazione da parte del sindacato USB.
di Leonardo Mezzalira e Emanuele Caon
Tra i lavoratori della Fondazione Arena di Verona, un corpo eterogeneo di decine e decine di persone composto da membri dell’orchestra, del coro e tecnici, si respira da qualche tempo un clima di profonda insoddisfazione. Diversi casi del recente passato testimoniano la scarsa qualità del dialogo con la dirigenza, in un quadro generale già teso a causa del CCNL scaduto da anni. Negli ultimi mesi, tuttavia, due fatti gravi hanno alzato il livello di allerta dei lavoratori. Domenica 13 ottobre nella Sala del coro si è svolta un’assemblea sindacale a cui hanno partecipato un’ottantina di persone, e, vista la mancanza di risposte da parte della direzione, il sindacato USB ha deciso di indire lo stato di agitazione.
Il primo caso che ha generato inquietudine tra i lavoratori riguarda l’arpista Valerio Lisci, che nel novembre 2023 ha vinto il concorso per Prima arpa presso l’orchestra dell’Arena. A giudicare dalla sua biografia, in cui figurano una sfilza di premi e riconoscimenti e una notevole carriera concertistica internazionale, si tratta di un musicista eccezionale, e le testimonianze dei colleghi lo confermano sottolineando anche le sue qualità umane e il suo spirito di cooperazione. Ebbene, il 18 luglio scorso, mezz’ora prima di una recita, Lisci è stato preso da parte all’ingresso della buca orchestrale da due funzionari della direzione e gli è stata comunicata l’intenzione di interrompere il suo rapporto con la Fondazione. Nei giorni successivi gli è stata consegnata una lettera che disponeva il suo licenziamento entro i termini del periodo di prova.
Oltre ad essere stata comunicata in un modo assai poco elegante, la decisione è risultata incomprensibile ai musicisti che avevano lavorato con Lisci nei mesi precedenti, avendo avuto modo di apprezzarne le qualità sia musicali che umane. Le prime parti dell’orchestra hanno indirizzato una lettera alla sovrintendente dell’Arena, la celebre soprano Cecilia Gasdia, esprimendo un giudizio molto positivo sul collega e chiedendo che la decisione riguardo a Lisci fosse discussa nel corso di una riunione ufficiale. A questa lettera sono seguite altre testimonianze e attestazioni di stima, ma nessuna di queste comunicazioni e richieste ha ricevuto risposta.
A questo quadro di scarsa chiarezza si aggiunge che, prima di procedere al licenziamento di un musicista in periodo di prova, la Fondazione avrebbe l’obbligo di consultare le RSU. Nel caso in questione non è stato fatto alcun incontro prima della lettera di licenziamento; le RSU sono state convocate solo dopo, per un’informativa a decisione già presa. Di fronte a una simile mancanza di chiarezza sorge inevitabilmente il sospetto che l’interruzione del rapporto con Lisci sia stata dovuta a motivazioni o dissidi di carattere personale, anziché a un giudizio sulla sua reale idoneità al ruolo.
Il secondo fatto che ha portato allo stato di agitazione riguarda la “trasferta” dell’allestimento della Turandot creato da Franco Zeffirelli nel 2010 per l’Arena di Verona, che va in scena proprio in questi giorni alla KSPO Dome, la più grande sala al coperto della Corea del Sud. L’allestimento è partito su una serie di container ed è stato raggiunto da una piccola parte del personale dell’Arena, con il compito di aiutare le maestranze artistiche locali nel ricreare le scene zeffirelliane. Gli orchestrali e le altre maestranze dell’Arena, non coinvolte nella trasferta, hanno tuttavia notato che l’evento veniva pubblicizzato in modo ambiguo, lasciando intendere che la produzione fosse interamente dell’Arena di Verona anziché prevalentemente coreana.
Ora, che la Fondazione Arena possa “vendere” all’estero la propria immagine mandando però materialmente all’estero solo alcune decine di persone, e lasciando a casa il resto del personale ha comprensibilmente allarmato i lavoratori. Il timore è che, se questo schema iniziasse a ripetersi, si possa arrivare ad uno scollamento tra il nome della Fondazione e il gruppo di persone che sta dietro alle sue produzioni, e nel peggiore dei casi anche ad una perdita di posti di lavoro e di professionalità all’interno dell’ente. Interpellata, anche su questo argomento la dirigenza non ha fornito alcuna risposta.
Di fronte al silenzio della Fondazione una parte consistente dei lavoratori, insoddisfatti di come i sindacati confederati avevano gestito altre situazioni precedenti, ha deciso di rivolgersi a USB, già segnalatasi in città nel settore del lavoro culturale per la vertenza relativa ai musei civici di Verona. Il sindacato USB era già presente in Arena con una RSU e aveva reagito con energia alla situazione critica per la sicurezza del lavoro nell’anfiteatro scaligero determinatasi l’estate scorsa per il caldo eccessivo e per la caduta di un elemento di scenografia (un’enorme rosa dal peso di alcuni quintali) che aveva segnalato carenze nella manutenzione degli elementi scenici.
Alla richiesta di un’assemblea inizialmente la Fondazione ha risposto con un diniego, affermando di non riconoscere USB come sindacato. In seguito, per evitare l’eventualità di un ricorso, l’assemblea è stata concessa, ma continua a mancare una disponibilità al dialogo da parte della dirigenza, composta principalmente, oltre che dalla Gasdia, dal segretario artistico Francesco Ommassini e Stefano Trespidi che ricopre contemporaneamente le cariche di vicedirettore artistico e direttore delle risorse umane e delle relazioni sindacali. Le comunicazioni ufficiali ricevute finora hanno avuto solo carattere difensivo, con lo scopo di delegittimare le richieste dei lavoratori e dei sindacati.
Come si legge nel comunicato stampa relativo all’agitazione, sta ora alla Fondazione Arena di Verona decidere se riassumere il prof. Valerio Lisci e fornire spiegazioni ai suoi dipendenti sugli altri fatti preoccupanti emersi, o prepararsi a una stagione di scioperi.