Il Veneto è la regione che consuma più suolo d’Italia. Il modello nord-est da mezzo secolo si basa sulla piccola-media impresa, una zona industriale per ogni paese, il capannone – con la casa in parte – come simbolo di successo. Il territorio regionale è stato sacrificato al progresso, con una pianificazione spesso poco efficace; le crisi che si sono succedute, segnatamente quella del 2008, si sono lasciate alle spalle centinaia di strutture produttive inutilizzate ma non hanno bloccato il cemento.
Da qualche anno in questa dinamica ha fatto la sua apparizione Amazon. Il grande centro di Castelguglielmo, in provincia di Rovigo, è solo il polo di una strategia di controllo logistico sul territorio, che si appoggia, oltre che sulle varie aziende di distribuzione, su centri di stoccaggio minori.
Non è questo che sta avvenendo a Casale sul Sile. È una storia che va raccontata, quasi un esempio: si intrecciano la dimensione ambientale, quella sociale, quella del lavoro, quella politica – della destra leghista che da decenni afferma di fare il bene dei veneti, del Veneto.
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Siamo al confine fra Quarto d’Altino e Casale sul Sile, un terreno agricolo stretto fra una zona industriale e il Parco Naturale Regionale del fiume Sile. A cavallo fra le provincie di Venezia e Treviso. Fra i due comuni l’autostrada, a poca distanza il Museo Nazionale e l’area archeologica di Altino, poco più in là la laguna. Un’area agricola di 500 mila metri quadri (attenzione: un chilometro per 500 metri), proprietà di otto privati, da un trentennio è oggetto di tentativi di speculazione. Il primo, del principio degli anni Novanta, la vedeva destinata a parco tematico, cercando di replicare i ‘successi’ del Garda. Il fallimento del progetto, non sostenuto dagli investitori, ha portato a una stasi decennale: mais e ancora mais.
Qualcosa è successo quando, nel 2017 (L.R. 14), la Regione Veneto ha emanato la legge sul Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana. Con questo provvedimento si imposta una pianificazione del consumo di suolo, assegnando a ciascun comune una quota di espansione; per il comune di Casale sul Sile si tratta di poco più di 80000 mq – bloccando, in teoria, la realizzazione di qualsiasi complesso nella zona attenzionata.
È a questo punto che inizia il balletto. I primi a muoversi sono alcuni proprietari delle aree comprese nella Zona ZTO D4 “Parco Tematico”., che il 23giugno 2017, guarda caso un giorno prima dell’entrata in vigore della Legge Regionale, presentano una “prima edizione” di Piano Urbanistico Attuativo. Nel 2019 viene presentata una “seconda edizione” del piano con sostanziali modifiche, fra le quali l’innalzamento dell’altezza massima dei capannoni logistici da 13,5 m a 25 m.
A questo punto, nel settembre 2019, succede una cosa più unica che rara; il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Casale sul Sile Agostino Furlanetto invia ai proponenti il progetto un avviso di rigetto, in quanto ritiene che la superficie territoriale del progetto stesso (ricordiamolo, 500.000 mq) sia superiore alla superficie di suolo consumabile assegnata dalla Legge regionale 14/2017 al comune che è pari a 84.700 mq.
Ma l’amministrazione (civica, di destra) di Casale non desiste e riesce ad ottenere un parere legale secondo il quale, in estrema sintesi, alla proposta del P.U.A. presentato il 23/06/2017 non può essere applicata la legge 14 entrata in vigore il giorno dopo, il 24/06/2017 . Con tale parere la Giunta Comunale capovolge e di fatto sconfessa l’operato del proprio Responsabile del servizio urbanistica e continua imperterrita nell’iter. Il 30 aprile 2020, in pieno lockdown, con una delibera di Giunta e senza il minimo coinvolgimento del consiglio comunale e della cittadinanza, il progetto viene adottato, pur con il parere negativo del Responsabile del Servizio Urbanistica, cosa assolutamente inusuale. Alla fine il con buona pace del Responsabile, che ora lavora in un altro comune,. il centro logistico, che ancora non ha il nome di un compratore interessato all’orizzonte, una novantina di campi da calcio di cemento, si farà. Dicono.
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Siamo stati a Quarto d’Altino e a Casale sul Sile per provare a capire meglio la situazione. Il parco del Sile è un’oasi di verde, si alternano antichi insediamenti e zone umide, che ospitano una ricca biodiversità. Il carattere padano del corso d’acqua non fa temere esondazioni, così gli argini sono bassi e si pedala a pelo d’acqua. A nord, verso le Alpi, si prepara un temporale, ma il profumo è quello della laguna, del mare. A Casale, Quarto d’Altino e Roncade è nato un comitato contro il maxipolo, che raccoglie persone da tutti e tre i paesi che hanno deciso di opporsi alla nuova grande ondata di cemento. Le donne e gli uomini che incontriamo sono preoccupati ma combattivi. Hanno compiuto, assieme ad alcune associazioni ambientaliste (Legambiente, ma anche Italia Nostra) una serie di passi per provare a bloccare il processo.
L’emergenza da pandemia non ha aiutato, le difficoltà nell’incontro si sono messe in mezzo, eppure gli incontri in questo anno e mezzo sono continuati, con modalità diverse, e hanno portato alla presentazione di una VAS (Verifica di assoggettabilità a una valutazione sull’impatto ambientale). I documenti presentati a livello istituzionale, infatti, contengono delle grosse carenze in questo senso. Non viene tenuto nel dovuto conto, ad esempio, l’impatto che l’enorme impermeabilizzazione avrà sul sistema idrico, oltre che lo sconvolgimento in un ecosistema (tutelato dalla presenza del Parco del Sile) già fortemente compromesso dagli interventi dell’ultimo mezzo secolo.
La presentazione della VAS ha avuto il merito di portare l’ARPAV ad esprimersi in merito, mettendo in luce le contraddizioni in cui versa il progetto. Il problema esposto dall’Agenzia Regionale Protezione Ambientale è molto semplice: come si può fare una valutazione sull’impatto ambientale, se non si sa a quale uso saranno destinati questi milioni di metri cubi di cemento?
In generale qui sta il nodo grosso, tutto politico, della vicenda: l’amministrazione comunale di Casale sul Sile sta portando avanti un colossale progetto, destinato a cambiare per sempre la fisionomia del paese, contravvenendo alle più elementari norme di chiarezza dovute ai cittadini. Tutti parlano di Amazon (e d’altronde, chi ha bisogno di una cubatura del genere per un polo logistico?); e tuttavia questo nome non è scritto da nessuna parte. Tutte le valutazioni sono così frutto di criteri generali, che non tengono conto dell’eccezionalità di quello che diverrebbe il più grande polo logistico del nord-est. Come possono essere adeguate, dunque, ad esempio, le previsioni rispetto all’aumento del traffico dedotte da modelli generalizzabili? Si può affermare, come fanno le amministrazioni interessate, che la rete viaria comunale è sottodimensionata, quando sarà investita da uno sconvolgimento logistico?
Si dice di fare l’interesse dei cittadini, del popolo veneto, ma a guadagnarci sono i proprietari; si svendono intere porzioni del territorio a multinazionali americane (che hanno una potenza economica impareggiabile, e non pagano tasse in Italia) e si dice che porteranno lavoro e benessere. Le destre venete non si smentiscono mai. Grazie presidente Zaia e grazie a tutti gli onesti amministratori.
D’altra parte, solo una lotta dura, una grande mobilitazione, potrebbe essere in grado di mettere un freno a questi progetti – ricordiamo che questo è il più grande intervento di Amazon in Veneto, ma non l’unico. È necessario l’appoggio di altri attori sociali, che ricomincino a pensare politicamente la politica, come dialettica e scontro di forze invece che come elemosina di bricioline. Che fa la CGIL? Si esprime così, in una recente nota:
«In merito al deposito di smistamento che dovrebbe aprire a Dese in autunno, come CGIL chiediamo che si concretizzi subito una “contrattazione di anticipo” al fine di garantire lavoro di qualità, stabilità occupazionale, applicazione corretta dei contratti di lavoro e garanzie che riguardino tutta la filiera che si determinerà con l’arrivo di Amazon. Non saremo disposti ad accettare quanto abbiamo visto in altri territori dove sono emerse condizioni di lavoro inaccettabili, sia per i lavoratori diretti che in appalto»
Tradotto: bene l’insediamento di Amazon, ma vogliamo condizioni di lavoro chiare. Viene da chiedersi se credano alle loro stesse parole. Se credano, cioè, che la contrattazione sulle condizioni di lavoro passi da accordi preventivi, senza contatto con i lavoratori (che ancora, appunto, non ci sarebbero), comunque costretti – questo è risaputo – a una precarietà, una stagionalità dunque una ricattabilità che rende difficilissima la sindacalizzazione. Sono gli effetti di una mentalità da sconfitti, che non crede più nel potenziale di lotta dei lavoratori e si appella alla clemenza delle aziende e dello stato.
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Allo stato dell’arte, tutto è nelle mani del comitato, che sfida il gigante globale partendo da questa terra dalla storia antica. È una battaglia sull’ambiente, sul lavoro, e su una gestione politica diversa della nostra regione. È una battaglia difficile, che deve essere combattuta dal punto di vista istituzionale come da quello politico, sul piano ambientale e su quello del lavoro. Ma è una battaglia che può ancora essere vinta.
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