Domenica 8 novembre in Prato della valle alcune donne polacche hanno organizzato un presidio per far conoscere quel che avviene nel paese in queste settimane, e per mandare un segnale di solidarietà alle donne che in Polonia stanno manifestando per i propri diritti. Anche noi abbiamo partecipato: pubblichiamo qui un’intervista e il bel discorso tenuto da alcune di loro.
Miguel Benasayag – filosofo e psicanalista argentino, oltre che militante della guerriglia guevarista, disse “Lo schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri, verso la città e verso il luogo in cui vive”. Disse anche: “La libertà individuale non esiste, esistono soltanto atti di liberazione che ci connettono con gli altri”. In polacco c’è una canzone che dice: “Wolność, kocham i rozumiem, wolności oddać nie umiem”. Libertà, amo e capisco, libertà, non so lasciarla andare”.
Il 22 ottobre, la Corte Costituzionale polacca decise che l’aborto in caso di malformazioni del feto è da considerarsi incostituzionale. Questa decisione è stata presa da un organo politicizzato, eletto in maniera illegale. Ma soprattutto è stata una scelta presa senza chiedere a coloro che sono l’oggetto della discussione. Le donne hanno deciso di protestare. Il primo giorno sotto la Corte Costituzionale, i successivi, in sempre più città si sono riunite persone che si sono sentite stufe. La rabbia, espressa negli slogan come wypierdalac, ha raggiunto il picco.
Inoltre ci sono stati importanti problemi di natura procedurale attorno al verdetto della Corte Costituzionale per cui non può essere considerato come legalmente applicabile, anche se si arrivasse alla pubblicazione nella gazzetta ufficiale. E’ una conseguenza della crisi rispetto alla Rule of Law che vede i suoi inizi nel 2015. I giudici che si sono espressi nel tribunale rispetto al verdetto sono stati eletti durante una procedura illegale, che lo stesso tribunale ha dichiarato incostituzionale. La Corte stessa di allora ha dichiarato nulla l’elezione di tre giudici. Né loro (né i loro successori diretti) sono quindi i giudici della Corte costituzionale dal punto di vista giuridico. Tutte le sentenze emesse con la loro partecipazione sono quindi non valide, compresa l’ultima sentenza relativa al diritto all’aborto. Per di più, uno dei giudici del Tribunale che hanno preso parte all’aggiudicazione è stato ancora un deputato del partito al potere fino al 2019, e in quanto deputato ha firmato una petizione corrispondente a quella esaminata dal Tribunale. Ciò potrebbe indicare una mancanza della sua imparzialità come giudice e potrebbe essere una violazione del principio giuridico fondamentale secondo cui non si può essere giudici per la propria causa.
In tempi di emergenza pandemica il governo ha deciso di spingere il dibattito sul loro corpo delle donne. Decisioni che dovrebbero essere prese dalle donne, sono state prese da un organo istituzionale che non ha chiesto loro opinioni. Ad aprile dello stesso anno le donne hanno già protestato contro l’entrata in legge di un progetto che avrebbe avuto lo stesso effetto. Alla fine il progetto non è passato. Oggi, come allora, ci stupisce la temporalità con cui il governo ha deciso di esprimersi attorno alle questioni personali, come l’aborto, invece di occuparsi della sanità e delle persone a rischio.
La rabbia. Questa emozione così forte, ha permesso di vedere la donna non più come un oggetto passivo del discorso, ma un soggetto con una propria coscienza e diritto di esistere e decidere. Le persone scese in piazza, alcune per la prima volta, autorganizzandosi dal basso, creando reti su facebook e proponendo eventi nella propria città, hanno così recuperato la propria voce. Non si tratta più di una legge che non è passata, ora si parla di noi, come persone in grado di decidere, che desiderano, vedono l’alternativa in una società differente. Tra queste si trovano persone che sono state negli anni la mira del discorso politico, come la comunità lgbtqia+.
Attraverso progetti di legge abominevoli come “stop pedofilia” si è cercato di strappare alle persone la loro umanità. Il progetto “stop pedofilia” che, contrariamente a quanto verrebbe da pensare, non trattava affatto di pedofilia, ma era una manipolazione. L’obiettivo era quello di criminalizzare l’educazione sessuale a scuola, servendosi inoltre di supposta “evidenza scientifica” rispetto al legame tra l’omosessualità e pedofilia., per nascondere gli atti di abuso della chiesa emersi in superficie negli ultimi anni. Le persone non ce la fanno più. Non si parla di ritiro. Questo momento, in cui manifestiamo per i nostri diritti, rimarrà nella storia.
Il 27 ottobre, Jarosław Kaczyński, leader del partito al governo (Legge e giustizia), sebbene non sia il presidente né il primo ministro, ma l’autoproclamato governatore dello stato polacco, si è espresso contro la manifestazione, invitando i cittadini a rispondere agli attacchi delle/degli manifestanti per difendere la nazione polacca. I media internazionali e la politica estera hanno paragonato questo a una dichiarazione di guerra civile. Dopo il discorso di Kaczyński, la violenza nelle strade è aumentata. Gruppi nazionalisti organizzati hanno attaccato i manifestanti con gas e violenza fisica. Il ministro della Giustizia, che ha un ampio potere di interferire nelle competenze dell’ufficio del pubblico ministero, spesso costringe i pubblici ministeri a rilasciare gli aggressori oppure incaricare gli stessi di accuse di minore gravità.
Pochi giorni dopo, il Ministro dell’Istruzione Nazionale ha rilasciato una dichiarazione in cui intende intraprendere azioni legali contro gli insegnanti che appoggiano lo sciopero. Tuttavia, non ha il potere di farlo, rendendo tale azione un’intimidazione illegale. Intanto il presidente Andrzej Duda ha presentato al Parlamento «una proposta di modifica», in modo da consentire l’aborto nei casi in cui la diagnosi prenatale mostri un’alta probabilità di morte del feto. Tale proposta è stata fortemente contestata dagli/dalle manifestant*. Infatti tale modifica avrebbe reso la legge finora vigente comunque più restrittiva, mentre ciò che si sta chiedendo è il riconoscimento a pieno titolo dei propri diritti umanitari.
Nel frattempo 1 novembre Ogólnopolski Strajk Kobiet, Sciopero Generale delle Donne ha creato un Consiglio Consultivo, che ha riunito in sé 13 differenti gruppi tematici, tra cui; i diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+, la costituzione di uno stato laico e di diritto, la tutela della sanità e dei lavoratori, l’istruzione, il mercato del lavoro, il supporto alle persone con disabilità, la protezione del clima e degli animali, stop alla fascizzazione della vita pubblica, media liberi e la lotta alla crisi in psichiatria. Alla lista dei postulati sono state ulteriormente aggiunte altre proposte tra cui; indirizzare il 10% delle finanze dello stato alla protezione della sanità, l’arresto della finanziazione della chiesa, la possibilità di scegliere se frequentare o meno le ore di religione e l’abolizione della clausola di coscienza (riguardante non solo l’aborto, ma anche la somministrazione di anticoncezionali).
Oggi ci viene data la possibilità di supportare lo sciopero delle donne in Polonia con i nostri compagni e compagne italiani e italiane, che hanno supportato la nostra causa e le hanno dato visbilità. Ieri a Macerata le nostre voci si sono alzate forti contro le parole abominevoli di Don Leonesi che ha messo sullo stesso piano l’aborto e pedofilia. Oggi in Polonia si protesta anche per le vittime della chiesa, che negli ultimi anni si è macchiata di molteplici delitti.
Grazie alla solidarietà espressa alle donne polacche dal Catai, Link e Non Una di Meno, la solidarietà è la nostra arma! Solidarność naszą bronią!