La posizione del medico di medicina generale, cioè di base, è centrale in questo delicato momento; eppure non è chiaro quasi a nessuno né come sia strutturata, né come valutare le richieste che sulla categoria vengono fatte da Zaia. Per capirci qualcosa abbiamo approfondito queste tematiche in un’intervista.
P. è un giovane medico, ha 27 anni e si è laureato durante l’estate, tra la prima e la seconda ondata di Covid. Quest’anno per lui come per tutti gli altri studenti e le altre studentesse di medicina, la laurea è stata direttamente abilitante. Quindi a settembre P. ha fatto il test di specialità e in attesa di sapere se e dove potrà imparare a fare lo psichiatra – attesa che, lo ricordiamo, tra ricorsi e ritardi non è ancora terminata nonostante il test sia stato il 22 settembre – sta lavorando come medico di base nel veneziano. Preferisce mantenere l’anonimato perché, dice, in tutta Italia fioccano cause delle ULSS contro il personale medico che ha criticato la gestione dell’emergenza Covid o ha segnalato malfunzionamenti ed errori del comparto sanitario.
Cominciamo dal tuo lavoro: come e quando hai cominciato?
Ho iniziato il 1° ottobre, come medico di base e come medico in una casa di riposo (RSA). Ho un incarico provvisorio che formalmente ha durata di un anno. Praticamente c’è una tale carenza di medici che è abbastanza improbabile che l’ULSS trovi un medico con il titolo di formazione richiesto che prenda il mio posto. Quindi in questo momento storico dipende più da me che dall’ULSS se io rimarrò più o meno a lungo.
In quanto medico di base, tu lavori per la regione?
In realtà non ho un rapporto di dipendenza, bensì di convenzione: una sorta di ibrido, perché nel 1978 i medici di base si sono rifiutati di entrare nel Sistema Sanitario Nazionale per motivi di convenienza. Quindi io sono un libero professionista, con partita IVA e tutte le spese del caso (affitto ambulatorio, utenze, gestione rifiuti speciali, eventuali assistenti, ecc…), che ha stipulato una convenzione con l’ULSS 3 – Serenissima. A livello nazionale c’è un accordo collettivo (ACN) che viene aggiornato periodicamente.
Capito. Ti hanno dato indicazioni per gestire il Covid?
In questi mesi si sono susseguite tantissime ordinanze, ognuna delle quali integrava e modificava le precedenti, ma senza una chiarezza globale. E comunque quando ho iniziato ho dovuto chiedere io che mi venissero dato indicazioni: c’è stata molta disponibilità da parte dell’ufficio convenzioni, ma di fatto non c’è un rapporto di collaborazione con il distretto tale che ti venga spiegato bene cosa fare. Poi il 3 ottobre ci è stata inviata l’ordinanza firmata da Zaia in cui viene detto che, a partire dal 5 ottobre, sarebbero stati a disposizione per il ritiro i test antigenici rapidi. Quindi partire dal 5 io potevo, potenzialmente, fare i tamponi.
Quelli rapidi, però. Che differenza rispetto ai tamponi normali (molecolari)?
La differenza sta nell’accuratezza del test. I molecolari sono in questo momento il “gold standard”, il test migliore che abbiamo a disposizione per la sua capacità di ottenere veri positivi e veri negativi. Sono molto sensibili e molto specifici. Quando ci hanno dato i tamponi rapidi, invece, non ci hanno detto quale fosse il livello di accuratezza del test. Ci hanno solo detto che non erano sostitutivi dei molecolari, lasciandoci di fatto in un limbo decisionale, senza informazioni per valutare quando utilizzare uno e quando l’altro. Siamo andati a buon senso, immaginando che non fossero attendibili tanto quanto gli altri. Diciamo che se un tampone rapido ti dice che sei positivo, vuol dire che lo sei, mentre se ti dice che sei negativo potresti in realtà essere positivo.
Poi le cose sono cambiate.
Sì: dieci giorni fa, in seguito alle resistenze dei medici di Medicina Generale a fare i tamponi nei propri studi (consideriamo che alcuni sono letteralmente degli appartamenti adibiti a studio, senza entrate e uscite separate, all’interno di condomini di cui condividono vani scale ecc.) è stato stipulato un aggiornamento all’ACN per cui per ogni tampone eseguito all’interno dell’ambulatorio viene data una retribuzione lorda di 18€, mentre fuori dall’ambulatorio di 12€. Di fatto si tratta di una monetizzazione dei tamponi: da un punto di vista corporativo, la FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) come sindacato ha fatto un buon lavoro! Volendo, ti viene dato anche un contribuito in caso tu volessi assumere qualcuno per aiutarti, ad esempio un infermiere. Dal momento che la sanità è regionale, l’accordo è stato poi declinato a livello locale. In Veneto Zaia ha emanato un’ordinanza, unica in tutta Italia, con cui obbliga i medici di base ad eseguire i tamponi, pena la sospensione della convenzione.
Una sorta di licenziamento? Ma può farlo?
Suppongo di sì, ma stiamo navigando in territorio inesplorato, dal momento che ufficialmente i medici di base non sono dipendenti ma lavoratori “autonomi” (e anche di questo bisognerebbe parlare, dal momento che si tratta di un unicum in Europa!).
Quindi in questo momento tu sei obbligato a eseguire i test antigenici rapidi sui tuoi pazienti. Cosa vuol dire questo nella pratica?
In realtà ancora niente, perché operativamente, oltre agli annunci propagandistici che cavalcano l’idea che il medico di medicina generale non faccia niente, non si è organizzato nulla. Ci hanno solo chiesto se già lo facevamo e se avevamo bisogno che il distretto trovasse uno spazio per noi. Quindi da questo punto di vista c’è stata un’attivazione rispetto alle nostre perplessità. Io personalmente ho 700 pazienti (su 1.500 di massimale) e mediamente richiedo 5-10 tamponi a settimana, cioè glieli prescrivo e li prenoto al drive-through. Però l’ordinanza di Zaia conteneva un’altra sorpresa: oltre al tampone per i miei assistiti dovrò fare anche i tamponi richiesti dal SISP (Servizio Igiene Sanità Pubblica) per persone che non rientrano tra i miei assistiti abituali. In ogni caso, assistiti o non assistiti, su di me ricade anche l’onere del tracciamento dei contatti se il tampone è positivo: il che significa chiamare tutti i contatti stretti del positivo per metterli in quarantena e per programmargli un tampone alla fine della quarantena, oltre che spiegargli le misure igienico-sanitarie e comportamentali che devono seguire. Capite che anche solo una telefonata richiede moltissimo tempo, perché bisogna parlare con le persone e rispondere alle loro domande e ai loro dubbi, compresi quelli relativi all’assenza da lavoro.
Quindi un notevole carico di lavoro. Che impatto potrebbe avere sulla tua normale attività?
Si allungheranno le liste di attesa per tutte le visite in ambulatorio, dal momento che io lavoro già circa 12 ore al giorno, considerando anche il lavoro in casa di riposo (anche quello comunque convenzionato con l’ULSS). Quindi sarò costretto ad allungare la lista di attesa per fare un lavoro per cui non sono necessarie le competenze di un medico. Né per fare i tamponi, né per fare il tracciamento dei contatti. I primi li può fare un infermiere, il secondo un amministrativo. Se fanno tutto i medici di base, a risentirne è l’attività ambulatoriale, quindi di cura e di prevenzione, che è il loro principale lavoro. Sono amareggiato perché muovendosi prima e con una maggiore organizzazione si sarebbe potuto evitare di far ricadere questa cosa sui cittadini. Avrei potuto capire una misura di questo tipo a marzo-aprile, durante l’emergenza, ora la ritengo scorretta e frutto di scelte politiche sensazionalistiche che non hanno a cuore la salute della popolazione. C’è il ribaltamento della responsabilità, questo è il fatto. Così sono i medici di base (e i veterinari!) che passano come i “cattivi” che non si prestano a prendersi cura della popolazione, e rimangono con il cerino in mano in questo gioco allo scaricabarile. Quando invece c’è stato tutto il tempo che serviva per organizzare i servizi in maniera diversa. E ricade tutto sul cittadino.