Sabato 30 maggio a Venezia, e in contemporanea in altre undici città di Italia, lavoratrici e lavoratori della cultura e dello spettacolo sono scesi in piazza a manifestare allo slogan “La ripresa non è uno spettacolo”.
Come sta accadendo anche per molte altre categorie, la situazione emergenziale ha aggravato una serie di criticità pregresse, insite nella cosiddetta “normalità”. Come sempre, sono coloro con meno tutele a pagare le conseguenze più pesanti.
Ad oggi, per il settore della Cultura e dello Spettacolo, non esistono ammortizzatori sociali, non esistono forme contrattuali adeguate, non esistono tetti giornalieri per l’orario di lavoro. Maternità, malattia o infortunio non sono privilegi permessi.
Per denunciare questa condizione, sabato in piazza hanno parlato attori, attrici, tecnici, musicisti, facchini, scenografi, ballerini. Al termine della manifestazione, abbiamo intervistato alcune persone, per farci raccontare come si vive all’interno di una condizione lavorativa che molto spesso non solo è scarsamente tutelata, ma, sotto i grandi paravento di parole come Arte, Divertimento e Passione, non viene neppure considerata un lavoro.