Un incontro con Porpora Marcasciano
A Padova, nella casetta del Parco Piacentino (quartiere Arcella) nell’ambito del ciclo di eventi Catai diffuso, si è svolta lo scorso 21 Ottobre 2020 la prima presentazione pubblica della nuova edizione di Tra le rose e le viole. La storia e le storie di transessuali e travestiti di Porpora Marcasciano, libro del 2002 ristampato quest’autunno dalla casa editrice Alegre.
«Nel verbale d’arresto di Roberta», si legge in una delle tante storie incluse nel libro Tra le rose e le viole di Porpora Marcasciano, «erano riportati e descritti i capi d’abbigliamento, comprese le mutande, indossati al momento del fermo. Erano quelli i capi di imputazione che venivano addossati a lei e alle altre amiche». Abiti incongrui e scandalosi, in grado di indurre le autorità a ordinare diffide, sorveglianza speciale, confino, carcere e di produrre in ultimo l’assurda sentenza del giudice: «Io ti condanno per il tuo modo di fare e di vestire».
Roberta è trans, ed è proprio da questo genere di esperienza, quella di chi per prima porta in pubblico desideri e pratiche oscene, sconvenienti e rimosse – e per questo sperimenta una repressione durissima – che prende le mosse la storia della visibilità trans nell’Italia del Novecento. Una storia che l’autrice di Tra le rose e le viole, lei stessa testimone e protagonista delle vicende narrate, ha raccolto in un libro uscito per la prima volta nel 2002 e ora ristampato dalla casa editrice Alegre. Dieci interviste a cui negli anni successivi hanno fatto seguito altre pubblicazioni: Favolose narranti, AntoloGaia, L’aurora delle trans cattive. Un favoloso percorso di riappropriazione, e di rielaborazione personale e politica, di una storia che altrimenti sarebbe rimasta in gran parte invisibile.
«Ciò che mi interessava», racconta Porpora in occasione della prima presentazione pubblica della nuova edizione di Tra le rose e le viole, il 21 Ottobre 2020 a Padova nell’ambito del ciclo di eventi Catai diffuso, «era dare la parola ai soggetti protagonisti». In questo caso le trans MtF – nel libro non si parla dell’esperienza di transito opposta, quella FtM –, una pluralità di vite che fino a quel momento erano state narrate solo da altri: dal discorso scientifico, medico, giuridico e legale. «Siamo nate in un gabinetto scientifico, sul lettino di uno psicanalista: e spesso ci siamo rimaste. La sfida è proprio scendere da quel lettino».
Per iniziare un lavoro di narrazione di questo tipo non basta esser state presenti e ricordare. È necessaria una certa coscienza politica: una coscienza dell’importanza non solo personale, ma collettiva, della storia narrata. «Le persone che subiscono la storia tendono a dare per scontato il loro ruolo subalterno, o a non rendersene nemmeno conto pienamente». E i libri di Porpora hanno valore, oltre che come pagine di letteratura, proprio come contributo alla costruzione di una consapevolezza collettiva del percorso intrapreso dalle trans MtF in Italia nel Novecento, a partire dalle pioniere «che non avevano nulla da perdere se non le proprie catene» e a cui mancavano perfino le parole per dirsi.
Un percorso che ha visto le prime persone trans subire sul proprio corpo repressione e ingiurie, ma che le ha anche viste appropriarsi del proprio corpo e sperimentare con esso: al centro di molte storie è proprio il corpo, «il corpo sognato, sospirato» che rende visibili quali veramente ci si sente. Una storia di cui, senza il lavoro di Porpora, si sarebbe in parte persa memoria: già ora, a vent’anni di distanza dalla stesura del libro, molte delle protagoniste se ne sono andate; di altre si sono perse le tracce. Un processo infine che vede la conquista di diritti dal basso, a partire dalla legge 164 del 1982 – primo riconoscimento giuridico in Italia dell’esistenza trans – fino ai passaggi fondamentali degli anni Novanta, come l’apertura del primo consultorio per la salute delle persone trans, a Bologna presso il MIT (Movimento Identità Trans) del quale Porpora è anima storica e portavoce abituale.
Non manca, nel dialogo con Porpora, la visione lunga sul seguito: sul modo in cui questa storia si può intrecciare al presente ed al futuro. Agli occhi di Porpora – già abituata, insieme alle compagne, «ad agire necessariamente fuori dalla legge e a strappare ciò che ci veniva sottratto» – il dibattito politico attuale, sia per quanto riguarda la questione trans sia in generale, è piuttosto fermo. Anzi, in apparenza è fin troppo vivace – il riferimento è ad alcune polemiche sui social – ma manca di un «discorso di senso»: dove senso forse significa più che altro direzione, tensione storica e proiezione utopica non soltanto biografica ma collettiva.
Ad una domanda sull‘abbondanza di identità oggi in qualche modo disponibili per una persona trans, a confronto con un passato in cui era necessario inventarsi totalmente il proprio percorso, Porpora dà infatti una risposta prettamente politica. Alla base di tutto – dice – deve esserci un principio di «coscienza di sé»: di chi si è in relazione al mondo, al di là del fatto di essere per esempio trans (ma è una considerazione che può essere trasferita anche ad altre soggettività). Senza una coscienza di sé e una lettura del contesto è difficile «essere sé stess*», e questa lettura è venuta a mancare. L’accesso al consultorio del MIT – segnala Porpora – è spesso vissuto come un’esperienza istituzionale completamente apolitica, «come andare al Sant’Orsola», mentre i servizi che vi sono offerti sono nati dalle lotte di una collettività che aveva sviluppato una coscienza del proprio specifico rivoluzionario in relazione ai tempi in cui viveva.
Verso la fine della presentazione del libro, Porpora estrae un foglio piegato. Mentre lo apre, racconta della casa in collina in cui ora vive, lontano dal caos di Bologna, e della sua abitudine a scrivere i propri pensieri: la casa ce l’immaginiamo piena di fogli scritti a penna, come quello che ci sta per leggere. È un testo sul presente e sul futuro, in relazione al passato di cui narra nel libro. Lo riportiamo integralmente qui sotto.
«Bisogna saper leggere i tempi, contestualizzare, capire profondamente cosa ci circonda. Dopo gli anni della rivolta, dell’insurrezione, del riportare il cielo sulla terra oppure “dell’attacco al cielo”, oggi abbiamo la grande responsabilità di annodare i fili, tessere e restituire ciò che è stato storicamente rimosso al contesto attuale, al presente. Lo dobbiamo alla rivoluzione in cui crediamo. Non è ricordando che si risponde, ma annodando quella storia al presente e al futuro. C’è bisogno di un fondo di riflessione, intelligenza, approfondimento altrimenti spezzeremo il senso stesso della rivoluzione: rinunceremo. In un mondo che ci distrugge ma che non è eterno e non lo è mai stato, ora ci viene richiesto una sforzo maggiore di comprensione, rielaborazione e costruzione. Stiamo sabotando il brutto che governa il mondo e questo non è cosa semplice, benché tanto meno scontato. Questa è la sfida».