È passato quasi un anno dalla scadenza del Contratto Collettivo Nazionale del settore metalmeccanico, forse il contratto di categoria più importante e simbolico del paese. Le trattative si sono interrotte ad inizio ottobre, quando Federmeccanica-Assistal ha rifiutato le richieste avanzate dalla FIOM-CGIL per il rinnovo. La piattaforma prevedeva un aumento salariale dell’8%, a cui gli industriali hanno risposto con la misera offerta di 40 euro in 3 anni.
La FIOM ha risposto dichiarando lo stato di agitazione. Tra le giornate del 9, 12, 15 e 16 ottobre ben 21 aziende solo nella provincia di Padova hanno indetto da 1 a 4 ore di sciopero – con relative assemblee a fine turno. A livello nazionale, lo sciopero è stato fissato per il 5 novembre – data che marca un anno esatto dall’inizio delle trattative – e durerà 4 ore. A questo si aggiunge il blocco degli straordinari e della flessibilità per tutto il mese di ottobre. Ieri a Padova si è tenuta la conferenza stampa di preparazione alla giornata di domani; l’appuntamento è stato fissato per le 10:30 presso la sede di Assindustria Veneto Centro e coinvolgerà non solo la FIOM, ma tutte le principali sigle sindacali.
Sulla scia di questa mobilitazione, abbiamo già assistito a diverse iniziative sparse su tutto il territorio regionale. Ad avere particolare risonanza sono stati gli scioperi alla Permasteelisa di Treviso, alla CEIT di Monselice, alla Facco di Padova – partecipazione intorno al 90% – e alla Pandolfo Alluminio di Feltre. Le assemblee degli operai si sono svolte all’aperto (anche di notte), in completa adempienza alle norme anti-Covid. Il 29 ottobre, un presidio di iscritti FIOM ha protestato presso la sede di Lottomatica a Mestre contro lo smart-working e la possibile esternalizzazione. La notevole estensione di queste lotte – non solo in Veneto, ma in tutta Italia – ha certamente contribuito all’esito favorevole del tavolo di venerdì scorso tra il premier Conte e CGIL, CISL e UIL, che ha portato alla proroga della cassa integrazione e al prolungamento fino a marzo del blocco dei licenziamenti. È quantomeno lecito quindi sperare in un’ampia partecipazione per lo sciopero unitario nazionale.
Serve unità, quindi, anche perché l’attacco di Confindustria è frontale e minaccia tutti i lavoratori e le lavoratrici del paese
La lotta paga, dunque, ma è vietato accontentarsi. La spinta per un equo rinnovo deve inserirsi nel contesto di agitazione diffusa cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, andando ad alimentare una prospettiva di collaborazione e solidarietà. Un dialogo e una coordinazione strutturata con le maestranze dello spettacolo, con i lavoratori autonomi e con i sindacati di base permetterebbero di dare a queste mobilitazioni un respiro e una continuità che vadano oltre i confini del singolo settore produttivo. Nell’ondata di intense manifestazioni degli ultimi giorni, infatti, fatta eccezione per alcune rivendicazioni portate avanti dal sindacato di base per lo spettacolo, a mancare sono stati proprio i lavoratori del secondario, che invece, all’inizio dell’emergenza, si erano resi protagonisti di un’ondata di scioperi anche spontanei. Serve unità, quindi, anche perché l’attacco di Confindustria è frontale e minaccia tutti i lavoratori e le lavoratrici del paese; a questo si aggiunga poi una gestione governativa dell’emergenza covid-19 che rischia di andare ad intaccare proprio i diritti di sciopero e di associazione nei luoghi di lavoro. Lo sciopero di domani serve non solo a difendere questi diritti sacrosanti, ma anche a richiedere più tutele e più sicurezza, oltre che a far sentire il peso dei lavoratori nella dinamica in atto.
Se da un lato, però, è necessario evitare la chiusura in lotte di categoria, dall’altro bisogna anche fare attenzione al pericolo di serrate corporativiste: il rischio che la crisi schiacci lavoratori e lavoratrici sulle pretese padronali esiste ed è concreto. Si sente ogni giorno dire “Salviamo le imprese”, e non poche misure economiche vanno in questa direzione, senza però chiarire chi dovrà pagarne il costo economico e senza nemmeno mettere in conto un ripensamento minimo del nostro sistema produttivo (nonostante le difficoltà evidenti in cui l’economia italiana versava sin da prima del Covid-19).
Per queste ragioni, è importante che lo sciopero di domani assuma un carattere politico che vada oltre la pur importante vertenza; che insomma chieda una cosa semplice, che già è nell’aria ed esula dai normali rapporti fra sindacato e padronato: che la crisi la paghino i ricchi. Nei prossimi giorni staremo a vedere; anche se, sappiamo, la lotta di classe non inizia, né finisce, con la firma di un contratto.