Abbiamo intervistato Elton Kalica su quelle che comunemente vengono chiamate le stanze dell’amore. In altre parole, una sentenza della Corte Costituzionale nel 2024 ha dichiarato illegittimo il divieto di concedere ai detenuti e ai loro partner dei colloqui intimi. Si tratta quindi di trovare le modalità per rendere possibile tale intimità nei colloqui, ma anche di capire se c’è reale volontà da parte dello stato italiano di garantire questo diritto.
Elton Kalica: ricercatore in sociologia del diritto presso l’Università di Padova, collabora con Ristretti Orizzonti.
Abbiamo letto che nel carcere Due palazzi di Padova inizierà un progetto sperimentale: la stanza dell’amore. Puoi dirci di che cosa si tratta? E a che punto siamo con la sperimentazione?
Al momento non c’è nulla di concreto: nel corso dell’ultimo convegno organizzato da Ristretti Orizzonti il direttore si era preso l’impegno di realizzarle, ovvero ha fatto una dichiarazione di intenti. C’è una sentenza della Corte Costituzionale, ma non una legge; perciò spetta ai vari direttori, come quello di Padova, dare il via libera. La cosa però è complicata e bisogna quindi ragionare su diversi ordini di problemi. Prima fra tutte è la questione fondi. Perché si parla di stanze adibite ai colloqui intimi, e in concreto si tratta di costruire quattro piccoli appartamenti con angolo cottura, un tavolino e una camera da letto. Quindi se non mettono a disposizione i fondi come costruiscono? Seconda questione, chi può avere accesso? Possono accedere tutti i detenuti o chi ha una sentenza definitiva? O addirittura solo chi ha sentenze definitive superiori ai 5 anni? Terza questione, la frequenza di questi colloqui: una volta a settimana, tre volte l’anno? In modo stabile come un diritto o come premio? Quarto quesito, la durata dei colloqui intimi. Quanto durano? In Russia, per le distanze, i colloqui intimi durano 24 ore. A Padova si ipotizzano di 6 o 4 ore, come in Francia, per garantire più turni. Quinto quesito, quale rapporto affettivo è considerato tale dal carcere, moglie, fidanzata? E se c’è solo un legame affettivo come si dimostra che questo è duraturo? L’orientamento del carcere sarebbe di limitare l’accesso solo alle compagne che fanno visita da un tempo ragionevole.
Questo diritto spetterebbe a tutti i detenuti in detenzione?
Il timore dell’istituzione è che il detenuto trovi una compagna a pagamento e il rapporto affettivo non sia autentico, però rimane il rischio che vengano escluse coppie che fanno colloqui raramente perché distanti. Il senso dei colloqui prolungati sarebbe di risaldare le relazioni tra persone che non possono avere colloqui, perché la moglie sta all’estero – o anche in sud Italia – e non può affrontare i costi del viaggio per un colloquio di un’ora. Invece, se la visita fosse più lunga e intima, una persona potrebbe anche decidere di fare questo investimento. Tale caso avrebbe però specifiche complicazioni, perché dimostrare la relazione sarebbe complesso. C’è quindi il rischio che qualcuno sia lasciato fuori.
La questione più urgente per i detenuti però riguarda la possibilità di portare i figli. Per il momento non è prevista, perché per ora si tratta di dare la disponibilità dello spazio per colloqui intimi che prevedono anche il rapporto sessuale. Servirebbe una modifica dell’ordinamento penitenziario, perché la sentenza parla di sessualità e affettività e non di rinforzare i legami familiari nel loro complesso. In realtà, servirebbe anche una progettazione dello spazio offerto per questi colloqui che preveda la presenza di nuclei familiari estesi.
Il direttore del carcere di Padova poneva anche il problema della sorveglianza, perché il colloquio intimo prevede l’assenza di controllori, ovviamente. Ma le carceri hanno la fissa della sicurezza, tutto il carcere è pensato per poter controllare il detenuto e intervenire in caso di situazioni critiche. Si è pensato di mettere un bottone di emergenza o un citofono, ma gli agenti dove stanno? In prossimità? Su queste tematiche, le idee non sono ancora chiare, sebbene il direttore ci stia ragionando.
Facciamo un passo indietro. Ci spieghi come avvengono i colloqui in carcere? Chi ha diritto di fare una visita alla persona detenuta? Ogni quanto può avvenire la visita, quanto dura, in che modalità si svolge? Purtroppo la maggior parte delle persone ha un’immagine tutta televisiva della vita in carcere, aiutaci a capire come funziona realmente.
Allora la questione principale è che dal momento in cui entri in carcere al momento in cui avviene il primo colloquio passa molto tempo. Finché ci sono le indagini preliminari non è il direttore che autorizza i colloqui, ma il giudice dell’indagine. Solitamente chi è appena arrestato deve aspettare parecchio per fare i colloqui. Nel complesso ci vogliono circa 2 o 3 mesi dall’arresto, se va bene. Infatti, chi arriva in carcere di solito fa 40 giorni di isolamento giudiziario, poi va in sezione, si confronta con gli altri detenuti e capisce cosa fare: richiedere il certificato familiare, scrivere al giudice, allegare il certificato…
Ai detenuti comuni sono garantite 6 ore di colloquio su più giorni. Per i detenuti in regime di alta sicurezza sono 4 ore. Ci sono anche precise regole, che sono riportate su alcuni avvisi all’ingresso del carcere che informano detenuti e familiari. Ad esempio, c’è una lista di cose che si possono portare e altre vietate.
Prima del colloquio si è perquisiti, sia detenuti che familiari. Per il familiare il colloquio è uno strazio, non solo perché può dover affrontare un viaggio per arrivare, ma perché l’attenzione della polizia penitenziaria è rivolta soprattutto a lui: anche i bambini vengono perquisiti per timore che gli si nascondano addosso delle cose.
Durante il colloquio qual è il livello di sorveglianza? È ammesso contatto fisico?
Non è ammesso il contatto fisico, sebbene non ci sia più il vetro e il nucleo familiare si siede attorno a un tavolino. In ogni sala per colloqui ci possono essere anche 6 tavoli e le stanze hanno una parete di vetro dietro al quale rimane un agente, o più di uno, che da una posizione un po’ rialzata sorveglia costantemente la situazione. Nel momento in cui due persone si baciano, è capitato anche a me, o si abbracciano, l’agente batte sul vetro e si devono fermare immediatamente perché se non ti conformi al suo richiamo l’agente ha il potere di interrompere il colloquio in ogni momento. Da regolamento, nessun contatto fisico è ammesso, perché potrebbe essere un momento per scambiarsi qualcosa. Poi il detenuto impara a conoscere gli agenti: ci sono quelli che appena ci si sfiora, battono sul vetro, e ci sono quelli più umani che, per esempio, tollerano alcune cose, come abbracciare i figli. I colloqui comunque sono tutti registrati e archiviati. Questa è un’ossessione del controllo della comunicazione (controllare parole, messaggi, sussurri all’orecchio) tipicamente italiana. In altri paesi una volta che il processo è chiuso, finisce l’angoscia del colloquio come potenziale pericolo.
Ma solo i parenti possono venire a trovarti? E se un amico vuole venire?
Quello è lasciato a discrezione. Finché sei in attesa di giudizio i giudici spesso autorizzano tutti quelli che ne fanno richiesta, anche per la speranza di intercettare qualcosa di utile all’indagine. Nel momento in cui la persona è condannata la decisione spetta al direttore. Il detenuto può fare motivata domanda per autorizzare i colloqui con la cosiddetta “terza persona”, cioè non-familiari. Il direttore fa quindi un’indagine su questa persona: se ha un precedente penale tendenzialmente non lo fa entrare. Si può comunque insistere se si tratta di precedenti lievi o lontani nel tempo e magari ottenere la visita. Insomma, è a discrezione del direttore. Ovviamente, le tempistiche sono lunghe, anche mesi.
Ti sembra che la sentenza della Corte Costituzionale verrà veramente applicata? Noi leggiamo una situazione delle carceri italiane difficile, fatta di sovraffollamenti, dolori, suicidi; è realistico credere che alle persone detenute venga riconosciuto il diritto all’affettività e anche alla sessualità?
Qui ci sono due ordini di problemi. Il primo riguarda il governo attuale, che ha promesso tanto ai sindacati di polizia (un bacino di voti sicuri) che sono per principio contrari a concessioni e aperture ai detenuti. Davanti a un sovraffollamento crescente e a disagi in aumento, è stato proposto di aumentare la liberazione anticipata (sconto di 45 giorni a semestre, da portare a 60 giorni), una misura anche a favore della polizia penitenziaria stessa, dal momento che se ne aumenterebbe il potere, mentre i detenuti sarebbero incentivati a comportarsi meglio. I sindacati di polizia si sono opposti e il governo ha cancellato questa proposta. Anche rispetto ai colloqui intimi i sindacati si sono sempre opposti. Ora c’è però una sentenza verso la quale possono fare poco. Ovviamente ci sarà imbarazzo per il governo, che secondo me trascinerà la cosa rimandandola più che può.
Il secondo problema è che ci sono carceri senza spazi. A Padova il direttore si è dato disponibile anche perché lo spazio c’è, ma altre realtà non lo hanno. A Udine, in un edificio ottocentesco in centro città, dove le costruiscono le stanze dell’amore?
Ma poniamo il caso che la cosa venga messa in atto nonostante il governo, secondo te questa misura, nell’arcipelago carcerario italiano, aumenterà la differenza tra carceri di serie A e di serie B?
Certo, potrebbe rafforzarsi la differenza che c’è tra le carceri.
Si farà infatti nelle cosiddette carceri di orientamento trattamentale. Devi sapere che nelle carceri c’è questa logica della carota e del bastone. Se ti comporti bene ti lascio questo e quello; se ti comporti male ti mando in isolamento o ti tolgo i colloqui. Ci sono carceri “punitive” (di orientamento non trattamentale), in cui è difficile che vengano costruite le stanze dell’amore, sia perché non vogliono, sia perché di solito sono carceri piccole. Ciò significa non solo che manca lo spazio, ma anche che il clima tra gli agenti è più compatto e difficilmente scalfibile. Ci sono carceri dove ci sono perquisizioni semplici, altre dove ti fanno spogliare e fare le flessioni prima e dopo il colloquio (e magari anche un’altra volta al ritorno in sezione). Sono pratiche chiaramente umilianti e rendono la dimensione del colloquio angosciante.
Quindi è difficile che si realizzino veramente le stanze dell’amore?
Secondo me sarà difficile che venga fatto in modo sistematico dal governo o a norma di legge. Penso invece che partiranno sperimentazioni di direttori sensibili all’argomento. Ma saranno una manciata, le solite cinque carceri: Padova, Milano, Tornio, Firenze, Roma. I vertici penitenziari avranno abbastanza materia di vanto mentre continueranno a dire che nelle altre carceri non ci sono gli spazi.
Come ti sembra che possa essere recepita la possibilità di avere colloqui intimi in carcere? Sia da parte dell’opinione pubblica che del personale che opera in carcere. Noi, onestamente, temiamo una grande banalizzazione, del tipo: bella vita in carcere, ora puoi anche far sesso.
Non sono tanto preoccupato per l’opinione pubblica. I tempi sono cambiati: la sessualità è ormai considerata un diritto e non è più ritenuta uno scandalo oppure un lusso che i detenuti non si devono permettere; lo stesso carcere si è laicizzato. Ora l’opposizione non è tanto legata a una dimensione morale (propria di un primo volontariato cattolico in carcere), quanto ideologica. L’estrema destra, le guardie, i loro sindacati vogliono un certo tipo di carcere, spesso punitivo e di sofferenza. Quindi il problema non è l’opinione pubblica, ma i sindacati penitenziari e lo spazio che i media danno ai sindacati ogni volta che devono fare un comunicato stampa per fare richieste ideologiche, come più uomini e più libertà d’azione; invece di chiedere aperture simili che trasformano il loro luogo di lavoro in uno spazio più rispettoso dei diritti di tutti. Insomma, non mi sembra un problema culturale italiano l’accettazione del diritto alla sessualità, il problema è politico. Se si trova l’accordo politico, procede anche la realizzazione.