La nuova zona rossa, la lettera di Giordani e la realtà del quartiere
della redazione di Seize the Time
Delle cosiddette zone rosse si parla dallo scorso dicembre, quando il ministro Piantedosi con una direttiva ha invitato i prefetti a individuare aree urbane ad alto rischio di criminalità in cui intensificare l’uso degli strumenti repressivi esistenti (ne abbiamo parlato in questo articolo). Tra gli strumenti in questione spicca il daspo urbano, cioè l’ordine di allontanamento che le forze dell’ordine possono comminare a “chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione” di determinati spazi pubblici.
L’invito di Piantedosi è stato accolto prontamente anche a Padova, dove dal 6 febbraio è stata istituita una zona rossa nei dintorni della stazione ferroviaria. Dopo aver prodotto 19.047 identificazioni e 48 ordini di allontanamento (tra cui alcuni comminati a senzatetto “storici” della zona) il provvedimento è, ufficialmente, scaduto il 6 maggio. Ma nel giro di una settimana il prefetto Giuseppe Forlenza è tornato all’attacco e, al termine di una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, ha annunciato una nuova zona rossa che sarà operativa per quattro mesi, dal 19 maggio al 15 settembre.
L’area interessata è una metà del quartiere Arcella, la zona nord della città che conta oltre quarantamila abitanti – un terzo di origine straniera, e per il resto un mix di anziani residenti, studenti, e trenta-quarantenni fermatisi a Padova dopo gli studi che hanno comprato casa lì, primo perché negli altri quartieri sarebbe stato troppo costoso e poi anche perché in qualche modo è diventato cool. Da qualche anno infatti la zona è in rapida trasformazione, con nuovi negozi e locali e un festival estivo che è diventato una delle principali attrazioni dell’estate padovana. Alle iniziative economiche dei residenti – a volte un po’ colorate di tinte sociali – si sono aggiunti negli ultimi anni gli investimenti del comune, ultima la trasformazione della palazzina ex-Coni in Piazzale Azzurri d’Italia in uno spazio dai contorni non chiari, in cui dovrebbero convivere uno spazio espositivo, sale per il quartiere, alloggi popolari e un ristorante di lusso (è il DU30: ne abbiamo parlato qui).

Un quartiere insomma in piena gentrificazione, in cui – riprendendo le parole della prefettura – l’istituzione della zona rossa “può accompagnare e sostenere le iniziative poste in atto dal Comune, per consolidarne l’efficacia”. Tale lettura del provvedimento non è però quella sindaco Giordani che, dopo l’annuncio del provvedimento, ha inviato una lettera aperta agli arcellani in cui lo definisce “imposto dall’alto alla città, frutto della propaganda del governo e utile solo ad accontentare qualche esponente leghista padovano che sta a Roma”. Giordani rivendica il lavoro fatto dalla sua amministrazione sull’Arcella portando “investimenti per oltre trenta milioni”; la zona rossa, scrive, rischia di dare del quartiere “un’immagine gravemente negativa e che durerà a lungo, l’immagine di una situazione emergenziale, pericolosa, fuori controllo”. Con una conseguenza nefasta: “le case e tutti i beni immobili perderanno valore, quando da anni, anche grazie ai nostri investimenti, ne stavano assumendo in maniera molto significativa”.
Sulle posizioni di Giordani si sta compattando buona parte del centrosinistra padovano e per il 27 maggio è stato annunciato un confronto pubblico al parco Milcovich, durante il quale accanto al sindaco interverranno operatori sociali del quartiere ed esponenti del terzo settore. Per parte nostra, criticando il provvedimento del prefetto ma non riuscendo a condividere le motivazioni espresse nella lettera di Giordani, abbiamo provato a sintetizzare alcune riflessioni.
1. La vicenda della zona rossa all’Arcella ci dice qualcosa sulle forme che prende la ricerca del consenso locale nel momento in cui un partito al governo (la Lega) vuole contrastare un’amministrazione di un partito all’opposizione (il PD). Quando Giordani parla di un provvedimento “utile solo ad accontentare qualche esponente leghista padovano che sta a Roma” il riferimento è a Andrea Ostellari, sottosegretario alla giustizia che vive all’Arcella e che in effetti sui social sta puntando molto sullo scontro con Giordani sul tema sicurezza. Di fronte alla contrarietà di Giordani, Ostellari punta il dito sulle sue “bugie” e ci ricorda come Giordani sia, in fondo, legato all’estrema sinistra e alla sua atavica paura della polizia. Se è vero, come sembra suggerire Giordani, che il prefetto ha istituito la zona rossa in Arcella obbedendo a un’indicazione politica proveniente da Roma, l’aspetto più interessante dell’intera vicenda è l’impiego della prefettura quale strumento per manipolare il consenso.
2. Alla faccia del Giordani di estrema sinistra, l’argomentazione – legata al valore delle case – con cui il sindaco si oppone alla zona rossa in Arcella è semplicemente inaccettabile. Se davvero gli immobili dovessero calare di prezzo, la cosa andrebbe tutta a vantaggio delle persone che attualmente cercano di comprare casa e devono confrontarsi con prezzi doppi o tripli rispetto anche solo a cinque anni fa; lo stesso discorso vale per gli affitti. La crescita del valore commerciale e della rendita degli immobili, quasi priva di conseguenze per chi già possiede una casa nel quartiere e ci abita, interessa solo a chi sul patrimonio immobiliare fa speculazione o ne vuole massimizzare la rendita.
3. La zona rossa dell’Arcella non è sbagliata per i suoi presunti effetti negativi sul valore delle case o sul mercato degli affitti, né perché mette in ombra il processo di gentrificazione in atto. È sbagliata e pericolosa perché, come le altre zone rosse nelle città italiane, di fronte a rischi di microcriminalità – ma anche alla pura e semplice povertà percepita come “degrado” – punta a escludere, reprimere, allontanare anziché affrontare le cause della mancata integrazione. Sposta le persone indesiderate altrove o le ricaccia nell’invisibilità anziché cercare di creare opportunità per migliorare la loro vita. Ed è particolarmente pericolosa in combinazione con il decreto sicurezza approvato lo scorso aprile, che permette di utilizzare il daspo anche verso le persone che nei cinque anni precedenti siano state semplicemente denunciate per reati contro la persona e il patrimonio – una norma con forti sospetti di legittimità, tanto che la sua applicazione nelle zone rosse di Firenze è stata censurata da una sentenza del TAR.
4. Le zone rosse hanno degli effetti materiali, che si esprimono nei controlli e nei daspo urbani, e un’efficacia deterrente, che si esprime nella paura delle persone ad avvicinarsi a queste zone. In altre città si sono immaginate delle zone rosse che sfruttino questo effetto, legandole a periodi particolarmente intensi dal punto di vista turistico: a Verona durante febbraio, mese di San Valentino cui la città scaligera si è legata; a Venezia durante il Carnevale, poi la Biennale (cioè quasi tutto l’anno); infine un’estensione tardo primaverile per Jesolo e Chioggia. Estremizzando, si contrappone così il diritto del turista-consumatore di esperienze a quello dell’abitante marginale. All’Arcella, come da antico copione leghista, si va in altra direzione, inventando il caso sicurezza; però l’efficacia deterrente, che renderà insicuro il quartiere per chi lo abita pur non avendo la pelle chiara o i documenti perfettamente in ordine, sarà la stessa.
Ecco qua: l’Arcella, come il resto di Padova, non è e continuerà a non essere un posto sicuro. Non per tutti, quantomeno. Di certo non per chi dopo mesi di ricerca non ha ancora trovato casa, scontrandosi con affitti speculativi e un mercato immobiliare impazzito – in parte proprio a causa della gentrificazione. Non è sicura per i lavoratori stranieri che devono vivere in quindici in una casa e avere problemi con la residenza, e dunque con i documenti, o per gli studenti che devono vivere in una stanza piccola e fatiscente pagandola come dieci anni fa si pagava un intero appartamento. Non è sicura per chi non riesce a trovare un medico di base con posti liberi, per i bambini che non trovano posto all’asilo nido, per i ragazzini che devono frequentare scuole in cui piove dentro e ci sono meno di quindici gradi. Per i ragazzini delle medie appena arrivati in Italia che non parlano la lingua e vengono inseriti nelle classi dove si chiede loro di mettersi al passo in fretta senza avere le risorse necessarie ad aiutarli.
L’Arcella è un quartiere di contraddizioni, con tanto verde ma anche tanti palazzi brutti e da ristrutturare, con molta vita sociale in estate ma con aree in cui bisogna camminare per mezz’ora per trovare un locale aperto, con tante aree giochi in cui si vedono socializzare bambini di tutte le etnie ma pochi spazi sociali al chiuso e quasi tutti della chiesa. Se si vuole migliorare la situazione si possono fare tante cose – si può investire sull’edilizia residenziale pubblica, sulla scuola, sulla sanità territoriale; si possono creare spazi sociali veri, magari pensandoli un po’ meglio di come è stato fatto per il DU30. Si può, con sforzo di immaginazione, immaginare un quartiere nel quale fra 20 anni sarà possibile vivere anche per persone normali, senza stipendi astronomici. Di sicuro la zona rossa non servirà a nulla, se non a cercare di riportare qualche consenso verso un partito in crisi (la Lega) in vista delle prossime elezioni comunali.
