di Emanuele Caon
La prima volta in cui le lavoratrici si sono rivolte a noi di USB ci è subito tornata alla mente una riga di un’intervista a un alto funzionario dell’Università, rilasciata nella tarda primavera 2024: durante le occupazioni di Palazzo Bo dello scorso anno, da parte degli studenti per la Palestina, l’Università ha lamentato una perdita attorno ai 100.000 euro di mancati incassi dalle visite al Palazzo. Per meno di una settimana di occupazione, non è poco: dà l’idea di un’economia legata alla terza missione di tutto rispetto.
Di cosa stiamo parlando? Di una grande e antica istituzione, l’Università degli Studi di Padova, che ha in mano un immenso patrimonio museale; della crescita esponenziale del turismo, anche culturale, e del protagonismo delle università attraverso la terza missione; di lavoratori e lavoratrici, in gran parte ex studenti dell’Università stessa, che per il proprio lavoro qualificato ricevono uno stipendio ridicolo, con diritti assenti.
L’Università nel corso degli ultimi vent’anni ha messo in atto una riqualificazione e valorizzazione del proprio patrimonio, in particolare attraverso alcuni investimenti: al netto dello stesso palazzo Bo, sempre meno sede universitaria e sempre più palazzo di rappresentanza di un’istituzione all’interno della quale quasi 80.000 persone lavorano o studiano, sono significativi l’ampliamento e la ristrutturazione dell’Orto Botanico di oltre un decennio fa e la recente conversione di geologia a Museo della Natura e dell’Uomo. Esistono poi numerosi siti minori, con gestione diversa caso per caso. Nella città di Padova, fregiata dei suoi multipli attestati di sito Unesco, il ruolo turistico dell’Università emerge con sempre maggior impatto.
L’Università, nonostante un bilancio solido e in espansione, e nonostante al proprio interno sia in grado non solo di reperire ma anche di formare le risorse necessarie, ha deciso di appaltare la gestione di questa importante fetta di terza missione. Meglio essere subito espliciti: Unipd decide di appaltare, Unipd decide quanti soldi stanziare per un’ora di lavoro, Unipd decide di guadagnare di più scaricando i costi su lavoratrici e lavoratori. Guardiani, custodi, accompagnatori, coordinamento delle visite, operatori vari sono quindi forniti dai soggetti esterni che hanno vinto l’appalto.
Di chi si tratta? Di due cooperative, Cooperativa Terr.A. e CoopCulture, che hanno formato un raggruppamento temporaneo vincendo l’appalto. Le cooperative hanno fatto una scelta chiara: applicando il CCNL cooperative sociali la prima e il multiservizi la seconda, non riconoscono economicamente le competenze specifiche di lavoratrici e lavoratori della cultura. In breve: pagano poco. Oltre alla beffa evidente, si lavora nello stesso appalto, ma con due CCNL diversi: serie A e serie B.
Chi lavora in CoopCulture prende, lordo, 8, 9 euro l’ora. I contratti sono part-time, le ore poche; una parte importante, però, è costituita da straordinari non contrattualizzati, con i turni che arrivano all’ultimo. Addirittura, CoopCulture ha fatto firmare a chi lavora part-time due clausole di flessibilità: l’obbligo di accettare il lavoro supplementare – non ci si può rifiutare di fare il lavoro extra –; obbligo di accettare i cambiamenti di orario anche con solo 5 giorni di preavviso. D’altra parte, se si vuol lavorare queste sono le condizioni… O almeno fino ad ora.
Di fronte a questa situazione, i lavoratori e, soprattutto, le lavoratrici che si sono rivolte USB hanno iniziato un percorso di sindacalizzazione. Si è arrivati a stendere una piattaforma di rivendicazioni che il sindacato ha raccolto, organizzando riunioni e assemblee in orario di lavoro, e che – chi lavora in CoopCulture – ha deciso di sottoporre all’Università. Alla discussione si vogliono portare sia le problematiche delle condizioni di lavoro attuali, sia del prossimo bando. Il bando attuale infatti è già in proroga, con scadenza al 31 ottobre.
Abbiamo alcune domande importanti: cosa succederà al prossimo bando? L’Università metterà qualche soldo in più per coprire almeno l’inflazione? Deciderà di spingere per l’applicazione di un contratto migliore, come quello Federculture? Deciderà di adottare clausole sociali robuste ossia, quantomeno, di assicurare l’assunzione di chi attualmente sta lavorando? Opterà, come questa volta, per contratti a tempo determinato e a chiamata?
Per tutti questi motivi, venerdì 30 maggio è stato dichiarato lo stato di agitazione: ora tocca alla prefettura cercare di raffreddare la situazione. La proclamazione dello stato di agitazione, tuttavia, non avviene all’improvviso. L’Università ha rifiutato un tavolo congiunto con sindacato e cooperativa, ha indicato infatti a Usb di rivolgersi direttamente al datore di lavoro; come se Unipd fosse estranea alle condizioni di sfruttamento nel suo stesso appalto. Ha, inoltre, deciso di non discutere, adducendo problemi di trasparenza – visto che si discuterebbe del nuovo bando con le coop che potrebbero essere soggetto partecipante. Usb ha allora proposto all’Università un incontro con solo il sindacato: alla richiesta, nessuna risposta. Il sindacato è andato comunque alla discussione con le cooperative, ma molte domande non hanno avuto risposta, è evidente infatti che alcune competenze sono esclusive della stazione appaltante, cioè di Unipd.
Alcune di considerazioni:
1. Le condizioni imposte dalle cooperative rispondono in parte a esigenze di guadagno, ma in parte anche a ciò che è previsto dal committente. In altri termini, l’Università ha la possibilità di imporre condizioni di lavoro migliori ai dipendenti delle sue attività in appalto, ma è facile sottrarsi alle proprie responsabilità. Resta però sempre il committente, di fatto, a creare le condizioni di lavoro.
2. Questo è un caso significativo di una tendenza molto più generale: l’esternalizzazione da parte del settore pubblico (a Padova parliamo di ospedale, comune, scuole, università: decine di migliaia di lavoratori) di porzioni sempre più grandi del proprio servizio a enti privati attraverso appalti. La conseguente creazione di lavoro povero è anch’essa tendenza generale.
3. Il turismo, millantata risorsa del nostro territorio, da una parte crea grandi guadagni, basati soprattutto sulla rendita (vedi alla voce “affitti turistici”); dall’altra, genera una massa di lavoro povero, soprattutto giovanile e femminile.
Ora che succederà? Ci auguriamo che un ente pubblico come l’Università di Padova sappia scegliere la via della responsabilità e del dialogo, che sappia – in altri termini – assumersi l’impegno di creare lavoro dignitoso e di qualità, sfuggendo alla scorciatoia di facili profitti sulle spalle di chi lavora. Se così non sarà, non resta che andare allo sciopero.
Fonte Immagine in evidenza: Di Marcok – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=152821940