di Leonardo Mezzalira
«Io sono ricordato come ministro della sovranità alimentare». Così il presidente Luca Zaia, intervistato lo scorso 25 novembre da Radio Capital durante una trasmissione dedicata alla carne artificiale, ha riassunto il proprio operato da Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali durante il quarto governo Berlusconi (2008-2010). Il riferimento è anche, naturalmente, al cambio di nome a cui recentemente è stato sottoposto il Mipaaf, diventato dal 22 ottobre scorso, data dell’insediamento del governo Meloni, Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Lo Zaia dell’epoca, però, non avrebbe utilizzato la stessa espressione: il sintagma «sovranità alimentare» si è fatto strada nel vocabolario della destra italiana solo recentemente, e da molte persone viene associato al «sovranismo» portato avanti in particolare dalla Lega dopo l’abbandono delle posizioni secessioniste. Non tutti sanno che invece l’espressione nasce in tutt’altro contesto e, prima di diventare una bandiera di partiti come Lega e Fratelli d’Italia, è stata protagonista di una lunga storia che merita di essere ripercorsa per le lettrici e i lettori di Seize The Time, in modo da verificarne la consistenza con l’uso che ne fa l’ex ministro Zaia.
Con la dichiarazione di Managua (Nicaragua) del 1992 e la dichiarazione di Mons (Belgio) del 1993 nasce a livello internazionale il movimento Via Campesina. Impegno centrale del movimento è la difesa dell’esistenza contadina nei confronti delle politiche economiche neoliberali che la minacciano e condizionano dall’esterno, con particolare attenzione alle politiche di aggiustamento strutturale o condizionalità imposte dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, con le quali queste istituzioni si sono rese responsabili di una serie di disastri sociali ed ecologici nei paesi fortemente debitori del Sud del mondo.
Già tra i punti fondamentali della dichiarazione di Mons viene affermato «il diritto a un’agricoltura diversificata che garantisca, in modo prioritario, una disponibilità di cibo sano e di alta qualità a tutti i popoli del mondo, basata su un profondo rispetto nei confronti dell’ambiente, per una società più equa e un effettivo accesso alla terra». Con la seconda conferenza internazionale di Via Campesina, tenutasi nel 1996 a Tlaxcala (Messico), le rivendicazioni del movimento vengono condensate per la prima volta nel concetto di «sovranità alimentare» (food sovereignty, soberanía alimentaria o souveraineté alimentaire, nelle tre lingue in cui è redatta la dichiarazione).
Come si comprende chiaramente dalle carte di Managua, Mons e Tlaxcala, alla sua nascita la proposta della «sovranità alimentare» è legata al rifiuto di un modello economico neoliberista basato sul via libera alle grandi aziende multinazionali, sulla promozione delle esportazioni di prodotti alimentari, sull’industrializzazione dell’agricoltura, sulla privatizzazione del materiale genetico da parte delle aziende biotech, sul ricatto finanziario nei confronti paesi debitori, su politiche agricole estrattiviste e dannose verso l’ambiente. La parola «sovranità» viene scelta per richiedere una forte partecipazione delle organizzazioni contadine e indigene nelle decisioni che riguardano la terra e la produzione di cibo, contro le decisioni prese da pochi politici e tecnici lontani dalla terra e la repressione delle organizzazioni contadine e ambientaliste.
La sovranità alimentare nasce dunque per riassumere un insieme di rivendicazioni in aperto conflitto con le politiche ufficiali delle grandi organizzazioni internazionali di settore. Per rendersene conto è sufficiente ricordare che durante il World Summit on Food Security, tenutosi a Roma nello stesso 1996, uno dei summit più importanti della storia della FAO, la parola chiave era la molto più rassicurante «sicurezza alimentare», ovvero – come si legge nella Dichiarazione di Roma – «il diritto di ciascuno ad avere accesso a cibo salubre e nutriente». Mentre a Roma si discuteva di come ridurre la fame nel mondo senza mettere in discussione i pilastri delle politiche economiche neoliberiste, ponendo per il 2015 l’obiettivo di dimezzare il numero delle persone denutrite (obiettivo che sarà raggiunto solo da 29 paesi su 129), a Tlaxcala si indicavano nelle istituzioni internazionali che avevano promosso quelle stesse politiche i responsabili non solo della fame, ma anche della povertà, dell’ingiustizia sociale, della distruzione della civiltà contadina.
Dopo il 1996, la rivendicazione della «sovranità alimentare» prosegue sulla linea dettata da Via Campesina attraverso tappe quali il Forum mondiale sulla sovranità alimentare all’Avana (2001) e soprattutto il Forum internazionale sulla sovranità alimentare tenutosi in Mali nel 2007, da cui sortisce la Dichiarazione di Nyéléni, in cui probabilmente la definizione originale del concetto di «sovranità alimentare» assume la sua forma più compiuta.
Più o meno nello stesso periodo, l’espressione «sovranità alimentare» inizia ad uscire dal contesto dei movimenti contadini e ad entrare nelle politiche governative. Tra i primi Stati ad introdurla nel testo di una legge figura il Mali, nella sua Loi d’orientation agricole del 2005. Negli anni successivi diversi Stati, soprattutto latinoamericani, hanno inserito l’espressione nelle proprie leggi o addirittura nella Costituzione, tendenzialmente ispirati da politiche di sinistra. Durante questo processo, inevitabilmente, la portata conflittuale del termine ha iniziato a diluirsi: in un report della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite pubblicato nel 2009, la definizione diventa «il diritto dei popoli e degli Stati sovrani di determinare democraticamente le proprie politiche agricole e alimentari».
Ad un certo punto anche la FAO se n’è dovuta occupare; la sua linea è rimasta perlopiù legata al concetto di «sicurezza alimentare», però, anche se come si legge in un suo documento presentato nel 2012, «il concetto di sicurezza alimentare – adottato dagli Stati membri della FAO – è in qualche modo neutro in termini di relazioni di potere. […] Al contrario, il concetto di sovranità alimentare prende le mosse proprio constatando l’asimmetria di potere nei vari mercati coinvolti».
Ancora nel 2012, dunque, la «sovranità alimentare» fa paura ad alcuni perché è troppo anticapitalista. Com’è stato possibile risignificare il termine in modo da renderlo disponibile per partiti come Lega e Fratelli d’Italia? La responsabilità va probabilmente cercata oltralpe: sarà Macron, nel 2020, a seguito della crisi e delle paure dovute alla pandemia, ad appropriarsi del concetto; ma del significato originale, nell’uso che ne fa il governo francese, sembra rimasto poco. In un numero della rivista ufficiale del Ministero dell’agricoltura e dell’alimentazione del 2021 interamente dedicato alla sovranità alimentare, il ministro inizia il suo editoriale dichiarandosi preoccupato che «La Francia, benché prima potenza agricola dell’Unione Europea, dipende ancora troppo dalle importazioni, ad esempio da quelle di proteine».
È qui che, forse per la prima volta, la sovranità alimentare viene usata per promuovere una sorta di ideale di autosufficienza legato all’affermazione della potenza nazionale. Nel maggio 2022 il ministero francese viene rinominato Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare. Nella campagna elettorale italiana dello stesso anno l’espressione compare – a dire il vero molto di sfuggita – nel programma della Lega. E nell’ottobre dello stesso anno, su diretta ispirazione francese, anche il corrispondente ministero italiano ha cambiato nome.
È in questo contesto che l’ex ministro Zaia, sempre molto sensibile alle mode, rivendica per sé il titolo che ora appartiene a Francesco Lollobrigida, cognato della premier Giorgia Meloni. In verità, però, il presidente della regione Veneto sembra aver iniziato ad utilizzare sistematicamente l’espressione «sovranità alimentare» solo a partire dalla scorsa primavera. Il 15 marzo 2022 la nomina in un’intervista al Corriere della Sera, concludendo, assurdamente, che «l’obiettivo è l’autosufficienza». Torna a nominarla nei giorni successivi, in un altro comunicato della regione, dandone una definizione più accettabile, mentre il 17 marzo in un terzo comunicato il termine torna ad indicare la riduzione della dipendenza dalle importazioni, in un contesto di «terza guerra mondiale commerciale e finanziaria».
Ma, a parte i proclami per il futuro, cosa sostiene di aver fatto Zaia, durante il suo biennio da ministro, per promuovere la sovranità alimentare? Tra le varie azioni che avrebbe potuto citare, nell’intervista a Radio Capital non sembra aver dubbi su quale sia la più rappresentativa. «Io mi sono inventato il famoso panino McItaly», ci ricorda con orgoglio. «Chiamai l’allora amministratore delegato di McDonald’s, gli suggerii di inserire i prodotti tipici italiani in un panino che non aveva identità e gli dissi che bisognava chiamarlo McItaly».
Sovranità alimentare, insomma, è suggerire a una grande multinazionale una strategia di marketing basata sulla valorizzazione dei prodotti tipici. Forse è meglio non chiedersi cosa avrebbero pensato i movimenti contadini e indigeni riuniti a Tlaxcala nel 1996, se avessero intravisto nel futuro una simile possibilità. È più divertente abbandonarsi momentaneamente alla nostalgia dell’era Berlusconi e citare le parole del critico gastronomico britannico Matthew Fort: «Se mai c’è stato un simbolo del fallimento morale del governo Berlusconi, è la visione di un grembiule di McDonald addosso alla snella figura del Ministro dell’agricoltura Luca Zaia intento a promuovere il lancio della nuova linea di hamburger McItaly. I festini pieni di ragazze del Presidente del consiglio, i sospetti di connessioni losche, di accordi finanziari opachi, le dubbie appartenenze politiche e in generale tutta la gestione equivoca del suo governo è nulla di fronte a questo mostruoso atto di tradimento nazionale». Articolo al quale Zaia non mancò di rispondere in modo raffinatissimo, accusando Fort di essere un vecchio comunista chiuso nella sua ortodossia mentale e annunciandogli che «Stalin è morto».