di Riccardo Fasano e Sebastiano Tita Dorich
In regione, a partire da settembre i problemi del diritto allo studio si sono fatti sentire. A partire dalla cronica mancanza di case e dalle università sovraffollate, quest’anno le richieste degli studenti si sono concentrate sulle borse di studio. Quest’anno è infatti riemersa una figura che da tempo era scomparsa, quella dell’idoneo non beneficiario: studente che per legge avrebbe diritto alla borsa, ma non la ottiene per mancanza di fondi.
Riccardo Fasano e Sebastiano Dorich dello Spazio Catai, che assieme al Sindacato degli Studenti e al Fronte della Gioventù Comunista ha seguito le mobilitazioni, ripercorrono ciò che è successo da novembre ad oggi a partire dal momento di maggiore partecipazione.
È il 13 dicembre 2022. Siamo in circa centocinquanta, partiti in corteo da Piazza dei Signori per ribadire la necessità che la Regione Veneto stanzi nuovi fondi per erogare tutte le borse di studio promesse agli studenti delle sue università. Tra di noi c’è chi nella graduatoria per le borse di studio viene indicato come “idoneo non beneficiario“: la Regione ammette che questi studenti, sulla base del proprio background socioeconomico, avrebbero bisogno di una borsa di studio per poter frequentare l’università (idoneo), ma non la rilascia, perché i fondi sono finiti (non beneficiario). Questa situazione riguardava, alla prima assegnazione, quasi 2500 studenti Unipd, e 2000 dopo la seconda assegnazione di fine marzo.
Siamo quindi all’ennesima mobilitazione di un ciclo partito a novembre, e la carica si sente ancora tutta. Sfiliamo urlando i nostri cori fino all’interno di Palazzo Bo. Chiedendo un’interlocuzione con la rettrice, troviamo per tutta risposta la polizia a sbarrarci le scale della nostra università: la Rettrice parla solo con i rappresentanti degli studenti eletti istituzionalmente, non vuole legittimare la protesta con un’interlocuzione e sa che, come effettivamente succede, i rappresentanti Udu non scenderanno ad ascoltare i propri colleghi.
Siamo studenti respinti due volte dalla nostra stessa Università: respinti quando ci è stata negata la borsa di studio di cui avevamo bisogno, respinti quando qualsiasi figura istituzionale che abbiamo interpellato ha rifiutato di ascoltarci. Sappiamo che il background familiare conta nell’accesso all’università, e che non erogare le borse equivale ad escludere studenti e studentesse delle classi popolari dall’istruzione superiore. Con noi ci sono studenti stranieri venuti a Padova proprio perché qui avevano trovato un’università che aveva promesso loro i mezzi per studiare.
Siamo studenti che hanno fatto fatica a trovare casa, che stanno già cercando un lavoro da affiancare agli studi e che, per questi motivi, si sono mobilitati.
QUALI SOLUZIONI? QUALCHE NUMERO
Il problema, benché chiaramente politico nelle cause e nelle ripercussioni sulla comunità studentesca, può avere come soluzione immediata solo un intervento di finanziamento economico. I numeri citati negli interventi in piazza sono chiari: il costo della copertura totale delle borse di studio, secondo le previsioni dell’ufficio benefici di Unipd, è di circa 51 milioni; la somma dei fondi a disposizione invece arriva a circa 41 milioni. Sono soldi che provengono da diverse fonti, fra cui un fondo nazionale (FIS) e anche dal Pnrr, ma non bastano. L’Università di Padova dal 2015 è costretta – anche sotto spinta delle mobilitazioni studentesche che hanno già animato la città – a stanziare la cifra necessaria per evitare che il sottofinanziamento cronico, da parte del governo nazionale e dell’amministrazione regionale, lasci chi studia senza borsa. Quest’anno la Rettrice deve aver cambiato idea, perché i fondi impegnati da Unipd, pari a 7,5 milioni, non bastano.
Un’altra eccezione tutta padovana è il ruolo dell’Esu (Azienda regionale per il diritto allo studio universitario), che a Padova non partecipa all’assegnazione delle borse di studio regionali, lasciando tutto in mano direttamente all’Università. Il Veneto ha quindi un ente per il diritto allo studio che, citando il direttore di Esu Padova Gabriele Verza, “non se ne occupa“.
Dal canto suo la Regione stanzia solamente 4,5 milioni, esattamente il minimo che la legge impone di fronte agli 11,2 mln del FIS: le regioni, infatti, sono tenute a stanziare come minimo il 40% del fondo nazionale. La giunta regionale ha quindi la responsabilità più evidente, nonostante alcuni membri blaterino della necessità di un intervento statale, dimenticandosi forse che un aumento del FIS porterebbe i fondi regionali al di sotto del minimo di legge.
LA MOBILITAZIONE
A metà novembre, con le lezioni e la vita universitaria a pieno regime da circa un mese e mezzo, vengono pubblicate le graduatorie per l’assegnazione delle borse di studio regionali. Il silenzio istituzionale davanti alla ricomparsa della figura dell’idoneo non beneficiario poteva far presagire che la volontà di Esu e Università sarebbe stata quella di nascondere il problema del sottofinanziamento del diritto allo studio, invece di affrontarlo. Così, a Padova, a dover affrontare direttamente il problema siamo stati noi: un gruppo di un centinaio di studenti e studentesse che, una volta organizzatisi insieme ad alcuni gruppi politici cittadini (noi del Catai, insieme a Sindacato degli Studenti ed Fgc), ha trovato la forza di scendere in piazza regolarmente e con obiettivi chiari, pretendendo da Unipd, Esu e Regione Veneto un incontro pubblico e 10 milioni di euro di fondo extra necessari per la copertura totale delle borse.
Le nostre proteste sono partite il 18 novembre dalla sede dell’Esu di via San Francesco, con un presidio determinato a ricevere una risposta da Gabriele Verza, direttore di Esu Padova. Non avendo ricevuto udienza, abbiamo radunato maggiori forze e ci siamo dati appuntamento il 24 novembre al Bo, per un corteo che è giunto nuovamente alla sede dell’Esu, rimanendo là in presidio. Galvanizzati dal nostro numero, con i nostri cori, le nostre urla, dobbiamo essere sembrati particolarmente minacciosi alla polizia, che ci ha impedito di entrare nel cortile e lì riunirci in assemblea e ha utilizzato l’assurda pratica intimidatoria di schierare la celere in tenuta antisommossa a lato del presidio. Solo una delegazione di 3 studenti è stata fatta accedere agli uffici, dove Verza ha promesso un confronto alla delegazione, salvo rifiutare di fissarne luogo e data. Cercando inoltre di scaricare ad altri la responsabilità, è arrivato ad affermare che l’Esu rientrasse tra le parti lese dalla situazione, rifiutandosi però di affiancare gli studenti nel far sì che la Regione affrontasse il problema. Insomma, un ipocrita “sto con voi, ma non farò nulla per aiutarvi”. Il suo consiglio è stato quello di “provare a scrivere una mail alla regione”.
Il secondo muro in faccia nel giro di una settimana ha però spinto noi studenti a dirigerci nuovamente verso il Bo, per chiamare in causa anche l’altro attore rimasto fino a quel momento silenzioso, l’Università. Nuovamente, le forze dell’ordine ci hanno impedito di entrare nella sede della nostra Università, e siamo stati costretti a far pressione dall’esterno, facendoci sentire dagli uffici del Bo con i nostri cori.
“We want scolarships”
“You promised that we could study, now you have to give us the money”.
Sono cori in inglese, perché gran parte di chi ha protestato è studente internazionale. Emerge così l’ipocrisia del grande polo universitario padovano, che intraprende campagne pubblicitarie per attirare studenti stranieri e migliorare la propria performance per quanto riguarda il parametro dell’internazionalizzazione (ormai fondamentale in ogni classifica delle “migliori università”) ma poi, una volta arrivati in Italia e iniziate le lezioni, abbandona le matricole senza la borsa promessa; che al primo anno di lezioni esclusivamente in presenza lascia migliaia di studenti senza borsa trattandone il dissenso come un danno d’immagine da contenere il più possibile. Il disconoscimento da parte di Unipd degli studenti coinvolti in questa protesta è esplicito fin dall’inizio, e concorre a renderlo evidente il reiterato rifiuto di ogni interlocuzione e l’utilizzo sproporzionato delle forze di polizia per contenere le proteste.
L’atteggiamento sprezzante di fronte ai manifestanti tenuto dalla Rettrice, che ha cercato e trovato nel dialogo istituzionale con la rappresentanza Udu la scusa per non ricevere chi era in piazza, non è stato poi così diverso da quello del Consiglio Regionale e dell’assessora Donazzan quando la protesta è arrivata, per due volte, il 29 novembre e il 14 dicembre, fino alle sedi dell’amministrazione regionale a Venezia.
Dalla destrissima giunta non sono mancate le dichiarazioni irricevibili e razziste contro le studentesse iraniane senza borsa da parte dell’assessore Pan, che ha invitato “le signorine a trovarsi un lavoro”, né Donazzan ha deciso di dare risposte: “Il diritto allo studio non è una priorità e non parlo con chi urla e suona tamburi”, ha affermato davanti a noi studenti. Non ci stupisce che un’esponente di Fratelli d’Italia non veda con favore i manifestanti, ma che l’assessora all’istruzione della terza regione più ricca d’Italia sostenga che, sotto la sua amministrazione, il diritto allo studio non sia una priorità dovrebbe destare scandalo.
E in effetti, quando la protesta riesce a bucare il velo con cui le istituzioni provano ad invisibilizzarla, la solidarietà è esplicita ed evidente. Lo è stata quando la scorsa settimana (il 3 apirie, N.d.R.), dopo la seconda assegnazione, siamo entrati in quaranta nelle aule del Bo e del Liviano per sollecitare studenti, studentesse e professori ad unirsi alla protesta, con i nostri soliti cori e slogan. Che il consenso espresso e diffuso nella comunità studentesca basti a riportarla in piazza dopo anni di disabitudine alla mobilitazione non è certo, ma l’inverno di presidi e cortei ci ha dimostrato che, per trovare spazio critico e di conflitto all’università, mobilitarsi a partire dal tema del diritto allo studio con queste modalità è possibile e necessario.
Ignorare del tutto l’impatto della mobilitazione è stato infatti impossibile, ed un primo importante risultato è stato raggiunto: il Consiglio regionale ha approvato un aumento di 1,5 milioni ai fondi per il diritto allo studio. Lo ha fatto senza incontrare realmente i rappresentanti della comunità studentesca in piazza, poiché la sponda offerta dalla rappresentanza studentesca in Consiglio d’amministrazione dell’Esu è servita anche in questo caso ad inscenare un incontro fasullo, a cui i manifestanti non hanno potuto partecipare e a cui l’assessora Donazzan ha prima promesso di presenziare per poi mandare un funzionario al suo posto.
E ORA?
Le ore passate in piazza e in assemblea hanno quindi ripagato, ma a fronte del milione e mezzo di euro trovato ce ne sono ancora 8,5 che mancano.
La mobilitazione quindi continua, con l’obiettivo di allargare la partecipazione anche evidenziando gli altri problemi che riguardano il diritto allo studio, dall’assenza di studentati ai vari servizi insufficienti, tenendo fermo il punto sulla necessità della copertura totale delle borse. Dopo il presidio del 13 febbraio, contro le celebrazioni per l’801° anno di Unipd con la ministra Bernini, abbiamo lanciato una petizione firmata già da quasi 400 persone. C’è però da mantenere la determinazione, perché il comportamento delle istituzioni non è confortante: né Esu, né Unipd e nemmeno i rappresentanti degli studenti hanno fatto alcunché per rafforzare la voce della mobilitazione di fronte alla Regione. L’incontro farlocco “concesso” dall’assessora Donazzan ne è l’esempio: sentiamo forte sulla nostra pelle quanto i rapporti di forza siano impari, quanto i meccanismi istituzionali si oppongano a chi cerca di costruire potere dal basso.