intervista a Luca Lendaro, Casa del Popolo Berta Càceres
Quindi, Casetta Berta riapre. Ci racconti cosa sta succedendo?
Sta succedendo che l’ex biblioteca del quartiere Arcella, che da alcuni anni è chiusa e abbandonata, diverrà la nuova sede della Casa del Popolo “Berta Càceres”. Questa volta, però, in virtù di un accordo con l’amministrazione comunale, dalla quale abbiamo ottenuto l’assegnazione dello spazio per tre anni.
Come siete riusciti ad averlo?
Facciamo un passo indietro. La Casetta del Popolo di via Callegari è durata poco più di quattro mesi, il lampo di un’estate. Per noi che la animavamo è stato uno dei periodi più intensi della nostra vita, non solo politica. Però la cosa rilevante è che quel luogo e quell’esperienza sono stati fondamentali anche per un pezzo importante del quartiere Arcella. La Casetta è diventata un luogo di incontro, di socialità, di mutualismo e di lotta, in un lasso di tempo che generalmente non basta nemmeno a porre le basi di un lavoro sociale e politico.

Lo sgombero in sé ha murato un luogo, ma non è riuscito a bloccare il progetto. Il corteo di pochi giorni dopo ci ha fatto capire definitivamente una cosa importante: non eravamo soli. La casetta era diventata del quartiere. Sono passati quasi due anni, ma le nostre attività non si sono mai fermate: abbiamo continuato con la recupera e la distribuzione del cibo, durante la pandemia abbiamo organizzato una distribuzione casa per casa di pacchi alimentari, abbiamo attivato uno sportello sociale, messo in piedi e realizzato una complessa inchiesta quantitativa e qualitativa sul quartiere, “La Nostra Arcella”, che ora è nelle sue fasi finali.
L’esigenza di uno spazio fisico, per tutte queste attività, è rimasta comunque centrale. Abbiamo fatto la recupera sotto la pioggia, per strada, abbiamo chiesto ospitalità di qua e di là – e ringraziamo tutti quelli che ci hanno aiutato…
Il progetto dunque non si è mai fermato. Ma come avete ottenuto la nuova sede?
Dopo lo sgombero le alternative erano tre: trovare un’altra sistemazione nelle modalità di Berta, affittare uno spazio, entrare in trattativa con il comune per ottenerne uno. Ti assicuro che le abbiamo valutate tutte con grande attenzione. Per la prima opzione, noi rivendichiamo che quando un’istituzione abbandona un luogo pubblico al degrado i cittadini hanno il diritto di riappropriarsene. L’occupazione, però, non può essere un obiettivo in sé: è uno strumento fra gli altri, per giunta caratterizzato da molti limiti. Spazi in affitto adeguati e a prezzi accessibili per un’associazione come la nostra, che non ha finanziatori occulti e non genera reddito, non è facile trovarli, soprattutto senza allontanarsi troppo da via Callegari. Siamo arrivati anche a fare visure catastali per capire di chi erano le vetrine sfitte e chiederle in affitto, ma non hai idea di quanti proprietari preferiscano tenere vuoto anziché affittare a prezzi accessibili. Peraltro, una parte delle nostre attività le portiamo avanti al Catai, in ponte San Leonardo, e da 5 anni paghiamo un affitto non di favore grazie ad autotassazione, iniziative che al momento sono ferme e donazioni: nemmeno questa strada è stata percorribile. Un dialogo con il comune invece sembrava lasciare qualche spiraglio.
Fin da subito abbiamo provato a parlare con l’amministrazione, visti i segnali positivi che, al momento dello sgombero, sono venuti da alcuni suoi esponenti. Avevano evidentemente ricevuto numerosi segni di apprezzamento e feedback che non consentivano di ignorare la rilevanza e l’utilità, proprio in termini sociali, di quel che facevamo negli spazi dell’ex centro anziani di via Callegari. Da subito alcuni si erano impegnati a dar seguito alla solidarietà e su queste basi è nato un dialogo.
Ma non è stato un dialogo facile. Prima di tutto noi, non siamo assimilabili o in qualche rapporto di dipendenza con le forze politiche che compongono l’amministrazione, per cui chi si confrontava con noi ha dovuto accettare di rapportarsi non in termini di scambio ma di riconoscimento delle nostre attività e di risposta alle richieste che arrivavano dalla cittadinanza. A quel punto, abbiamo iniziato una mappatura degli spazi abbandonati di proprietà del comune, proprio perché crediamo che gli spazi pubblici vadano utilizzati e destinati ad una funzione sociale.
Nell’ordine, abbiamo incontrato: l’allora vicesindaco Lorenzoni, il sindaco Giordani, poi di nuovo il sindaco assieme all’allora assessore al patrimonio Micalizzi. A loro abbiamo chiesto notizie dello spazio di via Dupré, di pertinenza però dei servizi sociali. Abbiamo quindi presentato la nostra richiesta di utilizzo e siamo entrati in contatto con l’assessora Nalin, con cui si sono presi gli accordi definitivi.
E in cosa consistono questi accordi?
Semplicemente nella possibilità di portare avanti le iniziative che in quei quattro mesi hanno fatto innamorare tante persone. Continueremo a fare ciò che abbiamo sempre fatto e a portare avanti concretamente l’idea del mutualismo, per cui il lavoro sociale è un mezzo per costruire comunità, consapevolezza, lotta. L’accordo prevede una concessione dello spazio per tre anni, in coabitazione con alcuni servizi, come il doposcuola, che il Centro di Animazione Territoriale (CAT) già svolge in zona. Speriamo di collaborare proficuamente per affrontare alcune delle problematiche presenti nel rione. Per noi questo accordo è un riconoscimento dell’esperienza nel suo complesso, delle sue capacità migliorative del tessuto sociale, della sua valenza politica e trasformativa. è infatti chiaro a tutti che noi non siamo un’organizzazione di volontariato: noi vogliamo che le cose cambino strutturalmente, non ci limitiamo a fornire un aiuto materiale, ma cerchiamo di fare in modo che le persone partecipino in prima persona alla vita politica della città.

Avete già in mente delle attività per il nuovo spazio?
Abbiamo intenzione di attivare immediatamente l’attività di recupero e distribuzione gratuita degli alimenti che la grande distribuzione spreca, uno sportello sociale sui temi della casa, del welfare e del lavoro e un corso di italiano L2. C’è inoltre l’idea, già abbozzata, di uno sportello di genere. Come nella casetta di via Callegari, abbiamo soprattutto intenzione di ascoltare il quartiere, e di partire dai bisogni materiali delle persone che lo attraversano ogni giorno. Per questo, tra l’altro, ci sarà molto utile l’esperienza dell’inchiesta e le competenze acquisite attraverso di essa. Poi, in sé, il posto è ottimo! Si presta a qualsiasi forma di iniziativa culturale che si possa immaginare! Come diceva un poeta, Vittorio Sereni: «non sai che città, che primavera ti preparo…»
E ci sono anche tante case ATER lì vicino…
Eh già… il presidente Zaramella sarà contento!
Proprio a proposito di questo, sono subito partite le solite polemiche sul fatto che sia stato dato uno spazio a degli abusivi, a degli ex occupanti.
Già, polemiche stanche e prevedibili, a dire il vero. La solita manfrina della destra, che si aggrappa agli argomenti della legalità e della sicurezza in modo del tutto strumentale… Si dimentica sempre, guarda caso, di ricordare che quella della casetta di via Callegari non è stata un’occupazione che ha sottratto qualcosa a qualcuno, bensì un gesto di riappropriazione politica di cui ha beneficiato tutto il quartiere e dal quale a noi non è venuto nulla in tasca. Se non avessimo occupato, peraltro dopo aver ripetutamente chiesto quegli spazi in affitto senza ricevere alcuna risposta dall’ATER, un bene pubblico che allora giaceva abbandonato sarebbe nel frattempo stato venduto per far cassa. È soltanto grazie alla nostra iniziativa, che ha richiamato l’attenzione su quegli spazi e sulla necessità che avessero la destinazione sociale per la quale erano stati concepiti, che l’ATER ha deciso di non vendere e di costruire su quel terreno una residenza per persone portatrici di disabilità. Anche senza considerare quel che abbiamo fatto nella Casetta, chi può dire che abbiamo fatto male?
Ultima cosa: voi fate parte di un soggetto politico nazionale, Potere al Popolo. Che rapporti ci sono fra PaP e la nuova casa del popolo?
Le attività che da anni portiamo avanti sono tutte state concepite all’interno di una cornice più ampia, un progetto nazionale che adesso si chiama Potere al Popolo. Questa progettualità rimane viva e continua a guidare il nostro modo di concepire il mutualismo, il lavoro sociale, la lotta. Ma l’ex biblioteca di via Duprè è un immobile di proprietà comunale che è stato concesso all’associazione Casa del Popolo Berta Càceres, e non sarà una sede di Potere al Popolo, di cui peraltro solo alcune delle persone volontarie fanno parte. Una casa del popolo è però un luogo dove si fa politica, nel senso più ampio, e migliore, del termine.