di Cecilia Beretta
Ne hanno scritto tutti i giornali, titolando tutti allo stesso modo «La Procura di Padova impugna 33 atti di nascita con due mamme: illegittimi».
Ma cosa vuol dire davvero? Cosa comporterà a breve e lungo termine? Quali sono le strade realmente percorribili, qual è lo spazio di manovra, quali sono le mosse a disposizione delle associazioni, i costi, i tempi?
Abbiamo deciso di indagare più a fondo un caso che è nato sul nostro territorio per assurgere agli onori della cronaca nazionale. Un’ingiustizia che potrebbe anche rappresentare il punto di partenza, un’occasione per affrontare una volta per tutte, anche a livello giuridico, una questione per cui dobbiamo lottare tutti. Anche se a spese dei bambini e di 33 famiglie padovane.
La Procura della Repubblica non di frequente si attiva in ambito civile ma ha deciso di farlo in questo specifico caso, chiedendo la cancellazione del nome della madre non biologica e la rettifica del cognome attribuito alla figlia in un atto di nascita del 2017. La Procura ha motivato il ricorso con una motivazione che rasenta l’inverosimile, «la giovane età della bambina esclude che la modifica del cognome come richiesto possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale».
Ma a parte la motivazione espressa, la Procura ha ragione a dire che è tenuta a far rispettare la legge e che con l’attuale normativa non può fare altro?
E’ davvero illegittimo registrare il proprio figlio biologico come figlio della donna con la quale si convive? O meglio, ha sbagliato il Sindaco di Padova a registrare l’atto di nascita a nome delle due mamme, biologica e non? La prima udienza è fissata a novembre.
Come tutte le azioni di questo genere che hanno un iter giudiziario potremo avere la risposta solo alla fine del processo, quando si esauriranno tutti i gradi di giudizio (ovvero fino alla Cassazione, sempre che le 33 famiglie non mollino prima). Potrebbero volerci anche 20 anni. Alcuni dei bambini saranno già laureati.
A meno che un giudice, ogni giudice ha il potere di farlo (ma nessun avvocato), decida di sollevare davanti alla Corte Costituzionale la questione di illegittimità costituzionale della normativa.
Se questo accadesse si sospenderebbe il giudizio e la Corte Costituzionale potrebbe pronunciarsi sulla questione in relazione alla norma o alle norme che il Giudice remittente ha individuato. In particolare, sembra profilarsi una lesione dell’art. 3 della Costituzione secondo il quale:
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Attualmente la Corte Costituzionale è sommersa da una mole di questioni portate alla sua attenzione che spesso giudica manifestamente infondate.
In questo caso, tuttavia, potrebbe non andare così visto che, in modo plateale, non è garantita la parità di trattamento ai figli delle coppie eterosessuali e ai figli dei genitori dello stesso sesso.
Già una volta infatti la Corte Costituzionale si è pronunciata (28.03.2022) e ha eliminato un paletto importante dichiarando illegittima la norma che non prevedeva alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante, in quanto lesivo dell’identità del minore e della sua appartenenza alla nuova rete familiare che costituisce il suo quotidiano.
La ministra Roccella nelle sue brillanti uscite si bea del fatto che, a prescindere dalle scelte del Legislatore (l’ente astratto che descrive l’operato del Parlamento), la tutela non venga meno grazie all’esistenza della Corte Costituzionale che garantisce la legittimità delle norme.
Eppure è innegabile che ci sia qualcosa che non va, dal momento che risulta necessario l’intervento della Corte Costituzionale per tamponare quanto deliberato dal Legislatore perché in contrasto con la Costituzione.
Inoltre la Corte non legifera, si limita a rimuovere le illegittimità e il fatto che debba intervenire non è una conquista, ma un segnale negativo.
Ma se invece un giudice non dovesse portare il caso all’attenzione della Corte Costituzionale?
In tale eventualità il caso dovrebbe passare tutti i gradi di giudizio per arrivare in Cassazione ed eventualmente poi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, se le famiglie decidessero di fare causa allo Stato di origine.
La Corte Edu, purtroppo, anche molto recentemente, non è stata particolarmente aperta nei confronti di una questione ancor più divisiva, quella del riconoscimento dei figli concepiti tramite maternità surrogata all’estero, avallando il rifiuto dello stato italiano di trascrivere negli atti di nascita il nome del genitore non biologico anche a fronte della possibilità di ricorrere all’adozione del figlio del proprio partner (stepchild adoption), un procedimento attualmente già a disposizione in Italia. Specificando però l’importanza di mettere al primo posto l’interesse del bambino.
Il vero problema è che molti di questi procedimenti non arriveranno mai nemmeno in Cassazione, non per la mancanza di forza di volontà o per le tempistiche estenuanti.
Ma per una questione economica.
Il denaro necessario è molto, potrebbe superare 50 mila euro per caso per arrivare in Cassazione.
Inoltre, se non dovessero vincere al primo grado, l’avvocato o gli avvocati scelti avranno solo 10 giorni, come termine perentorio, per fare reclamo e andare in Corte d’Appello.
I dati giurisprudenziali al momento non sono pubblici ma sembra improbabile che, per tagliare i costi, i singoli procedimenti possano essere uniti, anche se in tutti e 33 i casi una delle parti è la Procura delle Repubblica.
Un’altra opzione a disposizione sarebbe richiedere di affrontare i procedimenti lo stesso giorno, ma forse non sarebbe una buona strategia. Un po’ perché la difesa, nell’interesse delle singole esperienze, può assumere forme molto diverse a seconda della configurazione familiare, un po’ perché sono procedimenti molto lunghi anche a seconda del numero di testimoni coinvolti (nonni, fratelli, zii, assistenti sociali, maestre e maestri…) e probabilmente non riuscirebbero a condensare più di un processo in un giorno.
I processi quindi probabilmente non potranno essere accorpati e la questione che sarà dirimente se non vogliamo arrenderci a ricorrere alla stepchild adoption – anche in questo caso un procedimento legale che richiede tempo e denaro, con implicazioni molto diverse rispetto al vedersi registrare immediatamente come genitore nell’atto di nascita – è di natura economica.
Molti casi non riescono a esaurire i gradi di giudizio e ad andare in Corte EDU perché non hanno i soldi per arrivare alla fine. E dunque cosa possiamo fare?
Sicuramente continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema facendo in modo che la questione non venga dimenticata, organizzando manifestazioni, conferenze, incontri e gazebi nelle piazze.
Ma soprattutto le associazioni direttamente coinvolte o che semplicemente hanno a cuore il caso dovrebbero contribuire economicamente per andare fino in fondo, per cercare di munirsi dei migliori avvocati possibili che probabilmente, se lo faranno seriamente come auspichiamo, dovranno chiudere lo studio per dedicarsi per mesi solo a questo.
A subire sulla propria pelle questa discriminazione sono purtroppo queste 33 famiglie che faranno da cavie e, se ne avranno la forza e saranno adeguatamente sostenute, potranno vincere una battaglia di civiltà per tutti, sul lungo termine forse anche per le famiglie, eterosessuali, la maggioranza, e omosessuali, che ricorrono a maternità surrogata.
Vero è che la scienza è stata estremamente più rapida della giurisprudenza, ma forse, raccogliendo molti dati, molti fondi, dando vita a molte campagne, potrà passare l’idea che non stiamo parlando di numeri, ma di bambini con una faccia e un nome che già esistono, vanno a scuola, festeggiano il compleanno e ai quali stiamo rischiando di rovinare la vita.
Perché non è una semplice questione nominale, di nomi e cognomi, ma se si eliminano i legami civili di questi bambine e bambini con le loro madri non biologiche, in caso di malattia, divorzio, separazione e di tutte quelle cose assolutamente dolorose ma anche quotidiane con le quali le famiglie si trovano ad avere a che fare, non saranno minimamente tutelati i diritti di uno dei genitori e, di conseguenza, dei bambini che hanno cresciuto.