di Tancredi Castelli e Marco De Martin
L’assemblea nazionale Tende in Piazza, svoltasi a Milano tra il 16 e i 17 settembre, ha chiamato una giornata di mobilitazione nazionale per rilanciare anche quest’anno la lotta per il diritto all’abitare di tutti gli studenti. Il 17 ottobre sono quindi scesi in piazza migliaia di studenti da Roma a Milano, da Padova a Torino, nonostante le istituzioni sembrino rispondere esclusivamente con indifferenza, disprezzo e manganelli. Con quest’articolo vogliamo provare a fare un breve bilancio dei mesi appena trascorsi, una fotografia della situazione abitativa degli studenti in Italia e soprattutto a Padova.
Tutti all’università
Secondo l’analisi della Cassa Depositi e Prestiti, gli studenti fuori sede in Italia sono circa 800 mila; di questi solamente l’8% risiede all’interno di strutture residenziali universitarie (4,6% pubbliche). I posti letto offerti dalle università nel nostro paese sono circa 60 mila. L’Italia non regge il confronto con le altre nazioni vicine: la Spagna offre almeno 100 mila posti, la Germania 280 mila, la Francia ben 350 mila. Il gap non sembra colmabile, però la situazione potrebbe tornare accettabile, qualora fossero messi a disposizione 100 mila nuovi posti.
La scusa della mancanza di soldi non può reggere. A maggio del 2023 gli studenti di tutt’Italia hanno piantato le tende in università e hanno denunciato una situazione critica che da allora non è cambiata. Il Veneto è stata una delle regioni in cui gli universitari e le universitarie si sono fatti maggiormente sentire; forse perché a Padova si trova uno degli atenei più antichi e prestigiosi d’Italia, forse perché ebbe molta eco la scandalosa dichiarazione di Brugnaro: «Se paghi 700 euro d’affitto non meriti l’Università». La situazione si era stabilizzata con l’arrivo della ministra Bernini, prima a Padova, dove gli studenti sono stati respinti dalla sede della propria università dagli agenti della celere, poi a Verona, dove la ministra ha concesso loro ben dieci minuti di confronto. In questo breve dialogo la Berini è stata chiara: «le università sono state irrorate di fondi», «non hanno mai avuto tanti soldi come ora».
Do’ i xè sti schei?
Di quali soldi stiamo parlando? Ovviamente di quelli promessi dal PNRR: sono circa 960 milioni di euro. Questi fondi però non sono liberi, poiché vincolati a obiettivi specifici concordati con l’Europa. Con questo miliardo l’Italia si è impegnata a creare (parola degna di attenzione) almeno 60 mila nuovi posti letto entro il 2026. I soldi ci sono, bisogna solo usarli. La rata di 300 milioni di euro (febbraio 2022) avrebbe dovuto finanziare circa 7500 mila nuovi posti letto entro la fine dell’anno.
Il risultato sembra essere stato raggiunto, la terza e importante rata da 600 milioni di euro è pronta, ma, in realtà, c’è qualche problema. Infatti, di questi 7500 posti ne sono stati creati solamente 5400. I restanti 2000 si trovano in studentati che già esistevano. Questo cavillo burocrativo (o genialata del ministero) è costato caro. L’Italia si trova a dover compiere nuove trattative per lo sblocco di questi soldi e la soluzione per ora sembra questa: cancellazione del vincolo di 7500 posti, i quali dovranno quindi essere aggiunti ai restanti 52 mila della rata successiva, e rinuncia alla terza rata, i cui fondi sarebbero spostati nella quarta, l’anno prossimo.
Proviamo a riassumere. Si chiede di creare 7500 posti con 300 milioni di euro e di crearne 52 mila con poco più del doppio. Sono dei numeri difficili da comprendere, ma ancora più complesso è capire come è possibile che non siamo stati in grado nemmeno di raggiungere l’obbiettivo minimo.
Il Mercato dello studentato
Ciò che è stato detto finora riguarda gli alloggi universitari: gli studentati. Di questi 60 mila posti letto, solo il 5% è gestito direttamente dalle università, mentre il 22% è gestito da privati (il 66% sono residenze regionali ai sensi del Diritto allo studio universitario; il 7% sono strutture pubbliche o private legalmente riconosciuti). La questione degli studentati privati è sempre più attuale: dei primi posti letto creati con i soldi del PNRR, che ora sembrano ammontare a 9179 (L’Essenziale), due terzi sono privati.
Lo aveva già anticipato la ministra Berini a Verona: «È il mercato che garantisce il welfare». La presenza di questi agenti privati è quindi incentivata dallo Stato, incapace di rispondere a questo bisogno, ma è preoccupante, poiché nella legge che dovrebbe regolare i fondi del PNRR non esiste nessun tipo di controllo: non c’è indicazione di un tetto massimo d’affitto e nemmeno l’obbligo di destinare i posti agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio (si dice «solo» prioritariamente). Inoltre, con i nuovi bandi di gestione del patrimonio in arrivo dall’Europa è stata innalzata la soglia di cofinanziamento fino al 75% (con un minimo del 50%). Ciò significa che queste strutture private saranno finanziate, almeno per metà, con soldi pubblici. A fronte di questi “aiuti” tali soggetti si impegnano a rispettare il vincolo d’uso, destinare i posti agli studenti, che, però è stato abbassato da 25 a 12 anni. Una volta trascorso questo tempo, gli immobili resteranno ai privati che potranno usarli come preferiscono.
Diversi mesi fa abbiamo provato a mappare gli studentati in costruzione a Padova e abbiamo segnalato diverse criticità relative a questi progetti, prima fra tutte il costo degli affitti. Queste soluzioni si presentano come studentati di lusso: strutture avanguardistiche che garantiranno un tetto sopra la testa solamente ai pochissimi studenti che se lo possono permettere. L’ex Hotel Abritto, ad esempio, affitterà circa 120 posti letto al prezzo di 550 euro al mese. Questa dinamica non solo radicalizza la polarizzazione tra il modesto alloggio pubblico e il lussuoso alloggio privato, ma, soprattutto, influenza pesantemente il mercato residenziale cittadino, forzando anche gli affittacamere privati ad aumentare il canone. Ci sarebbe tanto altro da raccontare (cementificazioni, lavori mai iniziati, conflitti di interesse, capitali esteri), ma non è questa l’occasione; segnaliamo solamente che il progetto per l’Ex provverditorato è stato ritirato, mentre è arrivato il via libera per un nuovo studentato davanti al Parco delle Mura in via Paolo Sarpi, lungo la quale dovrebbe essere già in ristrutturazione l’edificio dell’Ex cooperativa tipografica, ma i lavori non sono mai iniziati.
E il restante 90% degli studenti?
Per ora abbiamo parlato di una fetta quasi irrisoria dell’offerta residenziale studentesca. Infatti, almeno il 90% degli studenti fuori sede paga l’affitto a singoli privati.
Il mercato della casa è impazzito in tutta Italia, ma proviamo a concentraci esclusivamente sul caso di Padova. I dati del 2021 segnalano che, in totale, ci siano circa 40 mila fuorisede, dei quali poco meno di 10 mila sono matricole. L’offerta di posti garantita dall’università è estremamente limitata, perciò questi soggetti devono entrare nel mercato residenziale padovano caratterizzato dall’assenza di case e da affitti ridicoli. Pensiamo che una stanza singola nel 2022 costava in media 439 euro, il 40% in più rispetto al 2021; oggi si parla di un ulteriore aumento del 15% (500 euro di media).
In un articolo dello scorso anno abbiamo provato a chiarie i motivi di questa crisi. Il Covid ha bloccato l’arrivo dei nuovi studenti e molte case sono rimaste vuote. Molti proprietari hanno perciò provato a tutelarsi in vari modi: c’è chi ha iniziato lunghi lavori di ristrutturazione grazie al bonus 110, c’è chi ha alzato l’affitto e chi ha convertito le proprie stanze in airbnb, cavalcando un progetto comunale che sembra voler trasformare Padova in una nuova Venezia (Padova Urbs Picta). Una volta esauritasi l’onda del Covid, il mercato si è rimesso in moto, pronto ad accogliere nuovi turisti in cerca di svago e migliaia di nuovi e vecchi studenti che per due anni avevano lasciato la città. Le case disponibili però sono molte meno e gli studenti sono sempre più disperati. Ciò provoca un aumento complessivo dei prezzi d’affitto aggravato ulteriormente dal prestigio turistico e didattico della città dello spritz. In città però non ci sono solo gli studenti, ci sono anche molti lavoratori; infatti, Padova è in piena crisi identitaria e non sa cosa vuole essere: città turistica, città universitaria, polo produttivo (industriale o logistico).
Soluzioni fantasiose e borse di studio
Questa confusione sul futuro della città si manifesta in soluzioni paradossali: le case degli studenti diventano alloggi turistici, mentre gli alberghi vengono trasformati in posti letto per fuorisede. La startup TidHome ha sviluppato questa “pratica” soluzione: affittare agli studenti alcune stanze d’albergo ad Abano, di fatto, cacciandoli dalla città in cui vorrebbero studiare. Se nel 2019 si pagava 350 euro una stanza singola in pieno centro, oggi con un centinaio di euro in più, è possibile frequentare i corsi in hotel da Abano.
TidHome non è la sola startup che sta provando a trarre profitto da questa situazione. Diverse agenzie hanno iniziato a porsi come terze parti per mediare tra i proprietari e gli affittuari; ciò coinvolge anche gli studenti. In particolare, l’agenzia Unibed, convenzionata con l’Università di Padova, si sta assumendo la responsabilità di fornire agli studenti stanze in giro per la città (a un prezzo compreso tra i 300 e i 500 euro). Altre piattaforme alzano ulteriormente il prezzo: Bedstudents affitta stanze a 650 euro in piazza De Gasperi.
Il target di riferimento preferenziale di queste piattaforme sembra essere sempre lo stesso: gli studenti internazionali. Queste figure sono degne di attenzione, poiché ci danno l’idea di quanto l’attrattiva di Padova e della sua università sia cresciuta negli ultimi anni. Nell’anno accademico 2000/2001 furono 1436, nel 2022/2023 sono stati 5658, ai quali, naturalmente, vanno sommati gli studenti dei programmi Erasmus. L’azienda universitaria padovana da anni sta provando a reclutare un numero sempre maggiore di iscritti; l’anno scorso, la rettrice Mappelli ha persino alzato le borse di studio disponibili. È un peccato che manchi ancora l’erogazione di 2400 di queste borse destinate a studenti aventi diritto: gli idonei non beneficiari.
(È di pochissimi giorni fa la notizia che è stata approvata una manovra di bilancio regionale che dovrebbe sbloccare i fondi necessari all’erogazione di circa 3000 borse di studio arretrate: meglio tardi che mai).
Questo è un grave problema di diritto allo studio che ha colpito con particolare forza proprio gli studenti internazionali. Molti di loro si sono iscritti all’università patavina, ma appena arrivati in città hanno capito che case non ce n’erano. Alcuni sono tornati nel loro paese, altri si sono messi in hotel, altri ancora hanno chiesto spiegazioni alla rettrice. A rendere paradossale questo quadro è il fatto che per ottenere la borsa di studio serve una firma su un contratto di locazione, il quale tuttavia era impossibile da trovare. Molti hanno fatto i salti mortali accettando anche condizioni ai limiti della legalità o affitti non credibili; molti hanno fatto tutto questo e sono comunque stati privati della borsa dall’Università. Era il 2022 e alcuni di loro non potevano nemmeno tornare a casa, in Iran.
In Conclusione
L’anno scorso sono state fatte tante promesse, ma dopo un anno non è ancora cambiato nulla. Anzi, le speranze legate ai fondi europei si son fatte sempre più tenui, perché ancora una volta le istituzioni, che sia lo Stato, la Regione, il Comune o l’Università, non sembrano in grado di rispondere a dei bisogni da loro stessi prodotti. Vogliono sempre più turisti e studenti in città, ma nessuno sa come gestire quest’afflusso di soldi e di persone. La vicinanza e la comunanza di interessi tra il Comune e l’Università è stata confermata durante l’incontro di accoglienza delle matricole svoltosi il 5 ottobre ai Giardini dell’Arena: da un lato Sergio Giordani, dall’altro Daniela Mappelli. Quest’ultima ha detto: «Veniamo spesso definiti un ateneo generalista, ma questa è la nostra forza; la nostra è un’università inclusiva». In attesa di vedere molte più Tende in Piazza, ci chiediamo cosa sia l’inclusione di cui parla la Rettrice, se sempre meno persone possono permettersi di vivere nella città in cui studiano, se gli studenti vengono allontanati dalle proprie aule, se i vertici delle istituzioni nazionali manifestano odio verso chi protesta per chiedere un po’ di dignità o almeno quello di cui ha diritto.