di Stefania Giroletti
Continuiamo, dopo l’articolo sulle occupazioni di via Valgimigli, con la rubrica di microstorie: lotte e conflitti attivi sul territorio veneto nella seconda metà del Novecento. Lo facciamo perché sono belle e interessanti, perché ci ricordano che le cose a volte cambiano, in peggio ma anche in meglio, perché ci mostrano una faccia a volte inaspettata del nostro territorio e perché spesso hanno vinto. Senza pretesa di accuratezza storiografica, ci muoviamo sull’onda delle parole di chi, ogni giorno, lotta con noi e magari al tempo apriva per la prima volta gli occhi al mondo. Se altri vorranno raccontare, ci scrivano.
Solo gli indifferenti non se ne sono ancora accorti: il Veneto ha un problema grande come una casa. Le ATER venete lasciano quasi seimila alloggi sfitti, mentre migliaia di persone in lista d’attesa rischiano di finire per strada. Affittare o comprare casa è estremamente complicato, fuori dalla portata di una larga fetta della popolazione. Il diritto all’abitare è sotto attacco da più fronti, che vanno dal turismo, alla speculazione, agli intoccabili diritti dei proprietari, a una politica, infine, inetta in quanto disinteressata alle esigenze di una maggioranza.
Per fortuna la maggioranza non resta in silenzio: come redazione abbiamo seguito lo sviluppo di iniziative di denuncia e contrasto attivo alle inique politiche abitative in Veneto, in particolare nelle città di Padova e Venezia. E Venezia è anche la protagonista di questa storia, che affonda le radici in un passato non troppo lontano da essere relegato nel mito; anzi, proprio in quel passato va collocato il nucleo di un osservatorio sulla casa che anche oggi, attraverso una serie di trasformazioni, è operativo e cresce fino alla recente proposta di legge ATA.
Venezia non è sempre stata un parco giochi per turisti ricchi: era (e dovrebbe essere ancora) una città in cui si abitava, con quartieri più o meno popolari, caseggiati umidi, lavoratrici e lavoratori residenti. La sua sfortuna è che qualcuno ha pensato di fare della sua specificità un brand per accumulare profitti enormi nelle tasche di pochi. Il tutto a spese di chi non credeva di abitare a Disneyland, ma in un luogo reale.
Siamo negli anni Novanta, nello specifico nel ’93. La situazione in laguna è particolarmente tesa per via degli sfratti eseguiti con la forza pubblica. Se ne prevedono 3500, di cui 1700 da portare a termine entro l’anno. È settembre: se ogni sfratto comporta una violenza, sfrattare in vista dell’inverno risulta particolarmente infame, in particolare quando non ci sono soluzioni alternative alla strada. La situazione abitativa a Venezia è, già a quel tempo, drammatica: mancano le case o, se non mancano, i proprietari preferiscono lasciarle vuote, oppure affittarle a studenti con contratti di un anno, facendo espandere l’esodo dal centro storico.
È il risultato dell’assenza di una politica abitativa nei precedenti 20 anni, aggravatasi a seguito del commissariamento del comune di Venezia. Al vuoto istituzionale risponde però l’organizzazione popolare. Il Comitato inquilini per il diritto alla casa organizza una protesta in campo San Geremia a sostegno di cinque persone che stanno per essere sfrattate; queste cinque persone iniziano uno sciopero della fame contro le procedure di sfratto che incombono sulle rispettive vite. La comunità, la chiesa e alcune frange della politica non restano indifferenti. Il parroco di San Geremia, primo fra tutti, mette a disposizione gli spazi in cui accogliere i cinque scioperanti; alcuni consiglieri Verdi, alcuni socialisti e esponenti del partito di Rifondazione comunista si uniscono alla protesta, dando inizio a una serie di giornate di sciopero della fame a turno, in solidarietà agli sfrattati. Persino due ufficiali giudiziari si associano alle richieste di modifica delle modalità di sfratto. Si muove anche la CGIL attraverso il Sunia, intraprendendo una serie di incontri istituzionali con il prefetto Scivoletto e il commissario De Muro, il quale, secondo le parole della stampa dell’epoca “fa muro”, mostrandosi poco collaborativo e restio a cedere sull’onda della pressione popolare.
Intanto il Comitato inquilini stampa un numero significativo di cartoline con impressa l’immagine di uno dei recenti sfratti eseguiti con la forza pubblica, denunciando la violenza fisica e psicologica di tale situazione e sottolineando la necessità di mettere in discussione l’uso della polizia in questi contesti. Nel giro di poche settimane all’indirizzo del prefetto Scivoletto arrivano 10.000 di queste cartoline: è la voce del popolo che supporta e che si fa sentire.
Oltre a chiedere il blocco delle procedure di sfratto fino all’insediamento di una giunta democraticamente eletta, è ritenuta urgente e necessaria l’elaborazione di politiche abitative di più lunga durata: una presa di posizione politica sulla casa, quindi, e non una toppa provvisoria per calmare le acque. In questa direzione si muove la proposta di legge del deputato verde Gianfranco Bettin, che chiede alcune modifiche alla legge 360 del 1991, legge speciale sul territorio veneziano: la tutela del territorio, afferma il deputato, passa anche dalla sua abitabilità. Questa deve essere garantita attraverso forme di controllo sulla casa e sulle proprietà: per ingiungere uno sfratto le motivazioni devono essere provate, la reale necessità dei proprietari va accertata e devono esserci soluzioni abitative alternative per chi si trova senza più un tetto sopra la testa. Non si sfratta per mere operazioni speculative, per lasciare la casa vuota o affittarla a studenti a prezzi maggiorati. Le proposte di modifica alla legge riguardano, oltre al centro storico di Venezia, anche i territori del Lido e di Pellestrina e vengono integrate a quelle analoghe avanzate dai deputati Pellicani e Bianchini.
Alla nuova giunta si chiede l’utilizzo dei fondi della legge speciale per la ristrutturazione di appartamenti vuoti del Comune (erano circa 11.000 gli alloggi sfitti nel centro storico); l’acquisto di nuove abitazioni; l’istituzione di un Osservatorio sulla casa; il coinvolgimento attivo degli enti assistenziali con grosso patrimonio abitativo, affinché si impegnino ad affittarlo ai veneziani. Tutto ciò con lo scopo dichiarato di bloccare l’esodo dei giovani (e dei meno giovani) dal centro storico.
Lo sciopero dura dal 4 al 19 settembre e si conclude il 24 settembre con un successo: gli sfratti saranno bloccati fino all’insediamento di una nuova giunta. L’iniziativa degli sfrattati, la loro organizzazione attraverso i comitati inquilini, il supporto popolare e la possibilità di trovare una sponda sindacale e politica sono stati gli ingredienti fondamentali di una vittoria. Certamente la vittoria non è stata definitiva e gli sfratti sono poi continuati, insieme allo spopolamento di Venezia. È continuata, però, anche la lotta, che ancora oggi denuncia l’urgenza di intervenire sulle politiche abitative della città attraverso la proposta di legge di ATA sulla regolamentazione degli affitti brevi.
La storia fa i suoi giri, ha i suoi corsi e ricorsi, anche quando sembra tornare daccapo, non è mai immobile. Nel canzoniere popolare veneziano c’è una bella canzone, La ballata dell’affitto, risalente agli anni ’70. Anche a quel tempo la gente doveva andarsene da Venezia perché la casa costava troppo. Anche allora si lottava. E se si lotta qualcosa si ottiene, a piccoli o grandi passi.
Con la fine dell’anno corrente
il padrone m’aumenta l’affitto
se non pago m’arriva lo sfratto
ed in strada mi toccherà andar
Questa vita è sempre più dura
non riesco a sbarcare il lunario
aumentatemi invece il salario
e l’affitto rimanga com’è
Nella zona vicino alla mia
costruiscono nuovi palazzi
ma che prezzi son cose da pazzi
solo i ricchi ci possono star
Noi crepiamo di troppe fatiche
mentre voi ve ne state tranquilli
ci credete davvero imbecilli
da pagarvi la tranquillità
O padroni, sporchi padroni
ingrassati da questo governo
vi credete di vincere un terno
ma vedremo chi la vincerà
Se l’affitto ci ha rotto le tasche
tu governo ci hai rotto i coglioni
per gli amici di tutti i padroni
in Italia più posto non c’è.