Il nome dei Pili forse non dice granché a molti residenti di Venezia e della terraferma. Tuttavia, chiunque arriva a Venezia può notare, poco prima di imboccare il Ponte della Libertà, uno spazio abbandonato di paludosa e anonima boscaglia: i Pili. È proprio qui – in un’area non accessibile e non edificata (non ancora) – che si concentrano, da più di un decennio, gli interessi famelici di imprenditori e politici
La zona dei Pili è stata, fino a tempi non lontanissimi, il sito dove venivano “smaltiti” abusivamente gli scarti tossici dell’adiacente raffineria Eni; in particolare fosfogessi, i residui della produzione di fertilizzanti e detergenti. Una prassi non delle migliori, se consideriamo che questa enorme area di discarica è stata trasformata in “parco pubblico” negli anni Novanta. Per potervi autorizzare qualunque tipo di intervento edilizio, quest’area avrebbe bisogno di una necessaria e significativa bonifica che, si stima, richiederebbe una cifra approssimativa di 160 milioni di euro e un cambiamento di rotta rispetto al piano approvato in Regione nel 1999, che ne ha fatto un’area di verde urbano attrezzato.
Vista l’importanza della somma, nel 2005 il comune di Venezia decide di mettere all’asta i 40 ettari dell’area dei Pili. Unica concorrente e vincitrice è la società “Porta di Venezia”, che la acquista nel febbraio 2006 per 5 milioni di euro: un vero affare, considerando che si tratta di solo 12,5 euro al metro quadro. A capo di questa società c’è un imprenditore noto in città: è il proprietario di un’agenzia per il lavoro, Umana, e si prepara a diventare il presidente della Reyer, la nota squadra di basket cittadina. È Luigi Brugnaro, oggi sindaco della città al secondo mandato, e per la zona dei Pili ha un progetto ambizioso: trasformarla nella sede del nuovo palasport Reyer, potenziale successore dell’ormai insufficiente palazzetto Taliercio, annettendovi una serie di strutture commerciali e alberghiere dall’allettante affaccio sul petrolchimico. Si vagheggia anche l’aggiunta di una nuova sede del Casinò. Un’idea che porta con sé prospettive generose di guadagno: il valore dei soli terreni potrebbe aumentare fino a 100-150 milioni di euro, ovvero quasi trenta volta l’investimento iniziale. Rimane però inaggirabile la questione della bonifica, che deve consentire una modifica del piano regolatore comunale e del PAT (Piano di Assetto del Territorio).
La vicenda si trascina senza risultati per quasi un decennio, e si riapre soltanto nel 2015, quando il mecenate del basket scende in campo nella competizione per il Comune, con il centrodestra. Già alla presentazione della candidatura è evidente un conflitto di interessi, e Brugnaro non può sottrarsi a questo tema. Il futuro sindaco lo risolve in maniera svagata, dichiarando semplicemente: «Non farò nulla sull’area dei Pili».
Una volta vinte le elezioni, tuttavia, si capisce che è indispensabile dare una maschera formale a questa sottintesa intersezione tra pubblico e privato: si decide così di affidare la società Porta di Venezia a quello che viene incensato dai giornali economici come il primo blind trust italiano, sul quale Brugnaro non ha alcun controllo – almeno formalmente, visto che si tratta di una proprietà terriera sulla quale chiunque può controllare cosa succede, quindi per niente “cieca”. Seguono anni di delusioni per la giunta attorno alla “riqualificazione” dell’area di Marghera e dell’area industriale: tanto per citarne alcuni, la bocciatura della torre di 245 metri proposta dallo stilista Pierre Cardin; il fallimento del padiglione Aquae, una struttura di 10mila metri quadri pensata come una sede distaccata di Expo e disertata dai visitatori; la trattativa sul possibile terminal per le grandi navi a Porto Marghera, che rimane ancora in bilico.
Concluso l’affidamento dei Pili e di Umana al blind trust, a fine 2017 spunta la proposta di un magnate internazionale, già proprietario di alcuni palazzi nel centro storico: si chiama Ching Chiat Kwong, da Singapore, e propone investimenti favolosi che i giornali locali interpretano come una promessa per palazzetto, alberghi e casinò. Il sindaco terrà fede alla parola data? In un consiglio comunale di febbraio 2018, il sindaco non solo si difende dalle accuse sostenendo di aver fatto «il bene della città già da molto prima di diventare sindaco» e che i proprietari (e chi saranno mai?) dell’area hanno il diritto, dopotutto, di sviluppare i Pili. Tra le lacrime del sindaco e gli applausi dei tifosi Reyer galvanizzati dalla coppa di Serie A, il consiglio comunale dà il proprio parere positivo alla realizzazione del palasport.
Il comune-Brugnaro dovrà quindi dare l’autorizzazione alla proprietà dei Pili-Brugnaro di approvare una variante del piano urbanistico: secondo le dichiarazioni del primo cittadino, comunque, il costo della bonifica di questi terreni dovrebbe essere a carico dello Stato. Ma nel frattempo, forse a causa della maggiore attenzione della stampa nazionale verso l’area (alcuni quotidiani nazionali e la trasmissione Report dedicano un servizio alla vicenda) o forse per via di qualche minuscolo problema di credito con le imprese che si sono occupate del restauro dei suoi palazzi veneziani, Kwong sembra essere fuggito. Giuseppe Venier, amministratore delegato di Umana, sempre a inizio 2018 precisa infatti che «Kwong è una possibilità» e che i sindacati possono stare tranquilli perché «non siamo un’azienda che fa speculazioni immobiliari» – bontà loro. C’è solo una blanda promessa di un investimento da 4 milioni per il palasport.
Anche le decisioni del 2018 si risolvono in un nulla di fatto e tutto tace per due anni. Più di recente, un’inchiesta de La Nuova di Venezia ha rivelato uno scambio di mail del 2017 tra Derek Donadini, ex funzionario di Porta di Venezia e in seguito vice capo di gabinetto di Brugnaro, e una ditta costruttrice legata a Kwong, per capire se fosse possibile una variante urbanistica per realizzare alberghi. La questione sulla legittimità di agire sui Pili si riaccende – specie dopo la rielezione del sindaco a settembre 2020 – e le opposizioni chiedono un consiglio comunale straordinario per capire le prospettive per i prossimi cinque anni. Brugnaro si presenta stizzito di fronte ai consiglieri, lamentando di sottrarre tempo alla gestione dell’emergenza sanitaria, e ripete il solito copione: «Sui Pili farò ciò che la città vuole che io faccia». A questo aggiunge delle offese a una consigliera comunale, definita “ragazzina” per aver insinuato alcune perplessità “giustizialiste”.
Attorno ai Pili, insomma, sembrano emergere tutti i nodi conflittuali dell’amministrazione veneziana: i massicci interessi sulla turistificazione, il disastro ecologico di Porto Marghera e della laguna, la perenne collusione degli interessi pubblici con quelli dei grandi gruppi privati e, di conseguenza, l’esclusione di fatto della possibilità di recupero dei molti spazi lasciati in abbandono, recupero che porterebbe qualche beneficio per la collettività. Lo stesso intreccio – non certo una novità dell’amministrazione di centrodestra – si è visto nelle scelte di politica abitativa nel centro storico, nella questione delle grandi navi e del Mose.
Non abbiamo comunque alcuna informazione sulla fattibilità delle intenzioni di Brugnaro. Ma al di là di ciò ci sono però due osservazioni che possiamo fare. La prima è che, anche solo in via ipotetica, la proposta di un possibile progetto con ville, alberghi e casinò fa aumentare il valore dell’area. Al blind trust e a Brugnaro conviene quindi in ogni caso proporre delle ipotesi e anzi, più monumentali sono, più aumenta il valore del terreno.
La seconda riguarda gli alberghi, un filo rosso di questa vicenda su cui Brugnaro sembra non voler cedere. Proponendo solo il palasport il progetto avrebbe avuto forse vita più facile. Perché sono essenziali gli alberghi, allora? Per trovare investitori, certo, ma anche per recuperare le spese molto più in fretta che con i soli eventi sportivi. In questo senso i Pili sono diventati un esempio di una regola ormai consueta nelle scelte di sviluppo urbano a Venezia e in terraferma, anche se non certo esclusiva delle giunte Brugnaro: se il piano di sviluppo prevede strutture alberghiere, tutto fila liscio. Se invece c’è anche solo la possibilità che strutture turistiche non vi siano, anche nel caso di aree comunque redditizie – come quella centralissima dell’ex ospedale di Mestre, ancora abbandonata – il meccanismo si inceppa. Non stupisce allora che l’intervento più massiccio degli ultimi anni sia quello a destinazione esclusivamente turistica: 16 mila metri quadrati in prossimità della stazione di Mestre, non lontano dai Pili, sono stati destinati nel 2017 a ostelli e alberghi per un totale di 2000 posti letto circa. Di recente, si è potuta notare la solidità di questo modello di sviluppo promosso dal sindaco: a fine ottobre, uno dei maggiori tra questi ostelli ha chiuso e chi ci lavorava è stato mandato a casa, con una scappatella legale che ha permesso di aggirare il blocco dei licenziamenti.
1 thought on “Sindaco, pensaci tu! Gli interessi (privati) del pubblico ai Pili di Venezia”
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