L’11 ottobre è stato organizzato lo sciopero generale dei sindacati di base, il primo da anni – o meglio, il primo in assoluto – che coinvolge tutti i gruppi appartenenti al mondo del sindacalismo di base (Adl, Si Cobas, USB, sgb ecc.). Tra le ragioni che hanno sollecitato la proclamazione dello sciopero (che si possono leggere nel dettaglio qui ), ci sono i noti licenziamenti alla GKN, Whirpool, Logistica e altri, di più bassa risonanza, in aziende medio-piccole; l’impatto sociale della pandemia; l’uccisione del sindacalista Adil Belakhdim; gli sfratti.
Come si legge nel sito di USB in occasione dell’assemblea di preparazione allo sciopero che si è tenuta a Roma il 25 settembre scorso: «lo sciopero […] assume ancora più valore alla luce degli sviluppi delle centinaia di crisi aziendali in atto, a partire da Alitalia, e dell’evoluzione di un quadro politico che presenta un’impressionante identità di vedute e di intenti tra il governo e Confindustria, come testimonia l’inedita standing ovation tributata a Mario Draghi nell’assemblea annuale del padronato».
Questo breve articolo è stato pensato come lettura introduttiva a una serie di interviste dedicate ai sindacati di base per spiegare a chi non ne sa molto, preventivamente e in breve, che cos’è il sindacalismo di base e perché è importante lo sciopero unitario dell’11 ottobre, due cose di cui parleranno più diffusamente gli stessi sindacalisti che in questi giorni ci hanno raccontato il lavoro portato avanti negli ultimi anni (qui trovate un report del caso di Grafica Veneta, in cui è intervenuta Adl).
Di sindacalismo di base, o alternativo o, ancora, indipendente, si comincia a parlare agli inizi degli anni ’90 per indicare quelle associazioni di lavoratori nate ai margini, e sulla base di presupposti diversi, di CGIL-CISL-UIL. I sindacati di base, numerosi sia a livello locale che di categoria (macchinisti, metalmeccanici, lavoratori chimici, della scuola, dei trasporti ecc.) e con storie e strutture organizzative diverse e in alcuni casi ormai più che trentennali (ad esempio la Confederazione Unitaria di Base, fondata nel 1992, o i Cobas scuola, come vedremo nati informalmente nell’89), si fondano sull’autonomia, l’indipendenza politica e l’internazionalismo. La caratteristica trasversale a queste associazioni di lavoratori, e che ne determinano, in parte, la nascita, è la necessità di creare uno spazio di lotta su base locale in grado di garantire la partecipazione effettiva e democratica dei lavoratori stessi. La rappresentanza non viene quindi delegata ai dirigenti di una struttura verticistica, ma condivisa all’interno di gruppi che intendono instaurare forme di organizzazione orizzontale con l’obiettivo di offrire maggior possibilità di confronto e decisionale tra i membri che ne fanno parte.
Forme organizzative di questo tipo si rifanno alle esperienze dei consigli di fabbrica e dei comitati (di base, di lotta, ecc.) che si diffondono negli anni Settanta all’interno del movimento operaio e studentesco e che vengono poi definitivamente abbandonate dai sindacati confederali (CGIL-CISL-UIL) con la cosiddetta svolta dell’EUR. Con questa espressione si indica la nuova linea incentrata sulla moderazione salariale e, in generale, sulla riduzione temporanea del potere d’acquisto dei lavoratori tenuta dai sindacati confederali a partire dalla conferenza nazionale del 1978 al Palazzo dei Congressi dell’EUR a Roma.
La conferenza seguì la caduta del brevissimo governo Andreotti provocata dalla protesta di circa 300.000 metalmeccanici e ebbe un ruolo determinante nell’accordo che sancì l’ingresso nel nuovo governo – per la prima volta, ma senza ministri – del Pci. La strategia “moderata” si rilevò presto un fallimento e segnò l’inizio di un calo progressivo degli iscritti in seguito alla sfiducia crescente prodotta dalla convinzione che il sindacato non riuscisse a difendere gli interessi dei lavoratori.
Scrive lo storico Paul Ginsborg sulle lotte della metà degli anni Settanta: «Mentre nel 1975 i sindacati erano ancora abbastanza forti da raggiungere un accordo sull’adeguamento della contingenza, in modo da proteggere convenientemente il potere d’acquisto dei salari più bassi, un anno dopo, invece, la lotta per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici e dei chimici si concluse con la prima sconfitta sindacale dai tempi dell’“autunno caldo”. Sotto la pressione della crisi economica, l’equilibrio prima esistente all’interno delle fabbriche si ruppe, e il potere passò di nuovo lentamente ai datori di lavoro. Nello stesso periodo il movimento sindacale si istituzionalizzò maggiormente. L’intreccio tra base e vertice, che aveva caratterizzato gli anni precedenti, si coagulò in un più tradizionale modello di direzione centralizzata. I consigli di fabbrica cominciarono a perdere d’importanza, mentre l’elezione dei delegati sempre più spesso avveniva in base alle indicazioni delle tre confederazioni».
L’«istituzionalizzazione», la «direzione centralizzata» e il crescente dialogo con le forze politiche espressione degli interessi del padronato sono dunque i presupposti che portarono alla formazione delle prime esperienze di sindacalismo conflittuale a cui si rifanno i sindacati di base fondati negli anni Novanta, inizialmente nel settore pubblico, con l’intenzione di ripristinare e conservare operative le pratiche consiliari approntate e sperimentate in un decennio ad alto tasso di conflittualità esibita, esplicita e palese. Nacquero così, ad esempio, il CO.M.U. (Comitato dei Macchinisti Uniti, 1992), che organizzava i macchinisti delle ferrovie dello stato; i Cobas, ossia i “comitati di base” della scuola pubblica, che aprirono la strada all’autorganizzazione dei lavoratori anche in altri settori; l’A.D.L. Cobas, sempre nel ’92 nel padovano; e (davvero) molti altri. Vari tentativi di riunire queste sigle in un unico soggetto, che arrivi a pesare di più a livello nazionale, hanno avuto un successo solo parziale, ad esempio con la nascita dell’USB nel 2010.
La storia del sindacalismo di base è stata, come tutte le lotte politiche e sindacali degli ultimi trent’anni, in salita, spesso segnate da frizioni interne anche molto gravi; eppure proprio qui si trovano alcune delle parti più vitali di chi oggi ha il coraggio di opporsi frontalmente al capitalismo e ai suoi effetti sulla vita di tutti noi. Per questo vediamo positivamente questo tentativo di costruire un dialogo fra le tante sigle, e per questo l’11 sciopereremo anche noi – non da seizethetime, però!
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