Con l’annunciato sblocco dei licenziamenti al 30 giugno i posti di lavoro a rischio in Veneto sono 30.000. Per darvi un’idea dell’entità del fatto, e trasformare così il numero in un dato tangibile, sappiate che è come se l’intera popolazione di Belluno rimanesse senza lavoro. 80.000 sono stati già persi: un numero che si avvicina al numero di abitanti di un capoluogo di provincia come Treviso. L’impiego femminile e l’indotto del turismo sono i settori i più colpiti. Solo a Venezia rischiano di saltare 6000 posti di lavoro.
Come leggiamo sul sito dell’USB (Unione Sindacale di Base)
In questi giorni il governo ha preso due decisioni estremamente negative per i lavoratori e estremamente positive per Confindustria e il padronato tutto, a partire dalla conferma dello sblocco dei licenziamenti a partire dal 30 giugno, contenuto nel Decreto Sostegni Bis al cui interno stanno non solo sostanziose risorse per le imprese, più della metà dei 40 miliardi stanziati, ma anche la perdita di altre centinaia di migliaia di posti di lavoro da fine giugno, che si aggiungeranno al milione di posti già perduti.
Questa rappresenta un’ottima idea per CONFAPI, la confederazione italiana della piccola e media industria che finalmente potrà dare vita a virtuosi processi di turnover. La crisi pandemica e l’impossibilità di licenziare, a detta di CONFAPI, hanno infatti reso statico il mercato del lavoro che ora potrà finalmente e fluidamente autoregolarsi.
La pandemia e i suoi effetti infatti sono finiti, non ve ne siete accorti?
Ma è la stessa CONFAPI a paventare la possibilità (in realtà una certezza) di un’emergenza sociale senza precedenti.
Le ore richieste e autorizzate di cassa integrazione sono state tre volte tanto quelle del 2010 e questo dovrebbe dare un’idea dell’entità della crisi che stiamo e continueremo ad affrontare.
Molto ottimista invece Laura Dalla Vecchia, la neo-presidentessa di Confindustria Vicenza, la quale pronostica una grande ripartenza e nega la possibilità di uno tsunami sociale. Non sarà uno tsunami semplicemente perché gli tsunami sono eventi catastrofici che non possono essere previsti, ma appare comodo rappresentare il fenomeno in questo senso, come qualcosa di incontrollabile e invasivo, appartenente più alla natura che alla cultura e che nessuna scelta potrebbe frenare.
Anzi il blocco è stata una misura sbagliata proprio perché ha impedito di «ricollocare chi lavora in aziende decotte» utilizzando il tipico lessico gratuitamente sfrontato che qualifica l’associazione degli industriali.
Come scrive Il Mattino:
Secondo i dati che la stessa Cgil riporta da fonti Veneto Lavoro, l’effetto del blocco dei licenziamenti è stato considerevole: tra il primo trimestre 2019 e il primo trimestre 2021, il numero dei licenziamenti individuali e collettivi per motivi economici registrati in regione è calato da oltre 9.700 a poco più di 3.500. Una flessione di circa i due terzi. Innegabile dunque l’effetto sul lavoro dipendente a tempo indeterminato di una norma che il sindacato chiede da mesi sia prorogata fino ad ottobre 2021.
Non tutti la pensano così, la CNA di Treviso, infatti ritiene che il blocco sia stata una “grande occasione mancata” che ha reso impossibile una reale riqualificazione. Non pare però che questi processi di riqualificazione professionale siano in partenza il primo luglio.
Come scrive Treviso Today:
Secondo CNA, l’errore che nel nostro Paese si sta facendo è trattare situazioni diverse in modo uguale. Se un’azienda sa di poter ripartire è giusto che possa mettere momentaneamente in stand-by la sua manodopera con l’obiettivo di salvaguardare il proprio patrimonio di risorse umane e i posti di lavoro di chi, per quell’azienda, si è speso.
Quindi non bisogna congelare la forza lavoro, tramite quella che per CNA è una tutela di breve periodo, ma lasciare liberi i lavoratori di «rimettersi in gioco» per «acquisire nuove competenze» ripensando il sistema di ricollocamento che in Italia non funziona.
Quindi perché non testare le sue inefficienze tra meno di un mese in modo tale che i lavoratori possano finalmente approfittare del loro licenziamento per accedere ai corsi pubblici gratuiti di riqualificazione professionale?
Ma in tutto questo vediamo come si difendono il PD e il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando.
Scrive la Tribuna di Treviso:
Dal Pd sottolineano che il pacchetto lavoro approvato nel decreto Sostegni bis “conferma l’impostazione data dal ministro Orlando con una serie di opzioni a disposizione delle aziende, alternative ai licenziamenti”. Il decreto, rimarcano, “contiene importanti misure per sostenere la ripartenza delle imprese dopo la pandemia e il mantenimento dei livelli occupazionali”. E ci saranno misure che vanno “dalla cassa integrazione ordinaria gratuita fino a fine anno per le imprese che si impegnano a non licenziare al contratto di rioccupazione a tempo indeterminato, dal rafforzamento del contratto di solidarietà al contratto di espansione per favorire la staffetta generazionale nelle aziende fino agli sgravi contributivi del 100% per i lavoratori assunti nei settori del commercio e del turismo.
Quindi, come ha affermato Enrico Letta, le critiche al ministro Orlando sono “ingenerose e superficiali”.
Andiamo bene.
Confindustria in altre interviste invece, dopo essere stata la principale promotrice della misura, si trasforma in poliziotto buono auspicando politiche attive del lavoro che mitighino gli effetti della misura. Forse prorogarla sarebbe stato un buon modo per mitigarne gli effetti.
Debole la contrarietà dei sindacati che, sebbene evidenzino che non si sia ancora dato all’economia il tempo di ripartire e che quindi la catastrofe sia annunciata, si limitano a chiedere alla Regione l’apertura di un tavolo con tutte le parti sociali per scongiurare licenziamenti unilaterali.
Se una catastrofe si possa dire annunciata, vista l’insita imprevedibilità di cui il termine dovrebbe essere portatore, resta una questione aperta.
Questa scelta rappresenta infatti una consapevolissima decisione che ha sapientemente stabilito chi e che cosa poteva essere sacrificato sull’altare della ripartenza.
Un’altra misura che cammina nella stessa direzione è infatti l’abolizione quasi totale di tutte le normative relative al codice degli appalti, contenuta nel Decreto semplificazione. Un’abolizione che semplifica la vita alle imprese e peggiora le condizioni di lavoratori e lavoratrici, tra le quali il massimo ribasso nelle gare e l’ampliamento della possibilità di appaltare e subappaltare sottoponendole ampiamente al ricatto, fortificato dalla libertà di licenziare.