Seize the Week è una rubrica che, a cadenza settimanale, riporta i fatti più significativi avvenuti nelle città e nei territori del Veneto. Un’informazione sintetica, indipendente e critica su ciò che accade in regione: fatti politici, realtà di movimento, scioperi, problemi ambientali e molto altro. Questo numero della rubrica si riferisce al periodo dal 22 al 27 maggio 2023.
Il (mal)tempo di ritorno
Nelle scorse settimane l’Emilia Romagna, regione a noi vicina, è stata devastata da ripetute alluvioni che hanno causato enormi danni al territorio, oltre a numerose vittime umane. Nei mesi precedenti si è parlato di siccità (abbiamo analizzato la questione qui), ora viviamo l’altra faccia dello stesso fenomeno: la concentrazione delle precipitazioni in un lasso di tempo troppo breve.
C’entra il riscaldamento globale, naturalmente, che immette energia nel ciclo dell’acqua rendendo i fenomeni più intensi e violenti; c’entra lo sfruttamento eccessivo del territorio, che, soprattutto in pianura, è stato edificato e impermeabilizzato senza criterio. Ma pare anche necessario un cambio di paradigma tra chi si occupa di prevenzione. Le mappe del rischio, uno degli strumenti principali che orientano le decisioni sugli interventi di prevenzione, si basano sul concetto fondamentale di «tempo di ritorno»: se un evento avviene statisticamente ogni 30 anni, a parità di altre condizioni, il rischio è più elevato rispetto ad un evento che ritorna in media ogni 300 anni. Ma il tempo di ritorno è un concetto statistico applicabile solo in condizioni di clima stabile: con un veloce cambiamento climatico in atto perde completamente di validità, e rende l’attuale assetto delle politiche di prevenzione in fin dei conti obsoleto.
Per ovviare a questo problema, chi si occupa di prevenzione può pensare di rivedere in modo più cautelativo, al rialzo, la probabilità degli eventi attualmente classificati con tempi di ritorno elevati. Ma con le attuali condizioni di instabilità climatica non può essere sufficiente. Occorre che la politica prenda in carico il problema, proceda a un generale risanamento del territorio, riduca l’impatto edilizio, preveda eventuali dislocazioni di insediamenti dalle zone a rischio e organizzi piani di evacuazione. Altrimenti scenari come quello che abbiamo appena visto non tarderanno a ripresentarsi. Anche da noi, visto che secondo ISPRA il Veneto viene subito dopo l’Emilia-Romagna per percentuale di superficie allagabile in caso di eventi estremi.
Spazi (e) comuni
Dopo anni di dibattito sulla destinazione dell’area dell’ex caserma Prandina, a Padova – parco pubblico o parcheggio? – è saltato fuori che in una norma ad hoc del 1971, su cui è basata la tardiva acquisizione dell’area da parte del Comune (2021), è disposta la destinazione della zona ad area verde. Speriamo che la norma venga applicata; peccato, però, che simili decisioni debbano sempre passare attraverso azioni legali anziché esser frutto di una convergenza tra la politica locale e le esigenze della popolazione.
In questa settimana si è anche tornat* a parlare dell’Ex Macello di Padova, sede per decenni di numerose attività organizzate dal basso e inopinatamente sgomberato nel 2020, con la firma del sindaco, nel bel mezzo di una trattativa tra comune e CLAC (Comunità per le libere attività culturali) per la regolarizzazione dell’assegnazione. Da allora il Comune ha ricevuto una proposta di dichiarazione di uso civico e collettivo dell’area e della sua dichiarazione di Bene comune, ma non si è dichiarata disponibile al dialogo; negli scorsi giorni è stato presentato un secondo appello, che ricorda anche che la richiesta è coerente con il regolamento dei beni comuni approvato proprio dalla giunta Giordani. Ma il Comune per il momento persevera nell’idea di destinare l’area a «cittadella della scienza», senza essere finora riuscito a trovare le risorse.
Nel frattempo, nel quartiere padovano dell’Arcella dovrebbero sorgere una piccola moschea (in via Donizetti) e un tempio induista (in via Vecellio, nei locali dell’ex Kursal), ma l’iter è bloccato per via della legge regionale «anti moschee» del 2016, che impone per la realizzazione di luoghi di culto la richiesta di una complessa e onerosa variante urbanistica.
Dopo la riapertura dello spazio fascista Bucranio, a cui a Padova si era risposto con una manifestazione, è passato in città anche il leader di Forza Nuova Roberto Fiore, che ha espresso simpatie per Putin e freddezza verso il governo. Più o meno contemporaneamente si è tenuto un sit-in di Fratelli d’Italia davanti al tribunale per «rendere l’utero in affitto un reato universale», cioè per proporre una legge che consenta di perseguire penalmente in Italia chi fa ricorso alla maternità surrogata all’estero.
Una salute difficile
Alla vigilia della ristrutturazione della sanità in senso territoriale trainata dal PNRR, la situazione e i numeri del personale sanitario (e il rapporto opaco tra pubblico, privato e privato convenzionato) continuano a far parlare di sé, gettando un’ombra sulla possibilità di far funzionare in modo pubblico e trasparente le numerose Case di comunità che dovrebbero venire istituite nel prossimo futuro.
Secondo un report della fondazione Gimbe, in Veneto sei medici di base su dieci superano il numero massimo consentito di pazienti, e i pensionamenti sono sempre molti di più dei nuovi ingressi; si parla inoltre di abbandono, da parte dei relativamente pochi medici, delle aree più disagiate. Le condizioni di lavoro portano inoltre molti medici di base in formazione a lasciare il percorso, dopo aver fatto le prime esperienze di sostituzione e aver constatato la situazione. Il tutto è aggravato dal fatto che la popolazione sta invecchiando e il numero di visite al medico di base per paziente e per anno sta crescendo molto rapidamente.
Intanto il tentativo di superare la carenza di infermieri con la formazione di un certo numero di «super OSS», ossia operatori socio-sanitari particolarmente qualificati, non sta dando molti frutti: saranno meno del previsto e comunque saranno reclutati tra personale che già lavora nelle RSA, quindi quando si sposteranno negli ospedali rischiano di lasciare scoperte le case di riposo.
Nel frattempo l’attesa per eseguire anche un semplice esame del sangue raggiunge il mese (a meno che non ci si rivolga al privato non convenzionato), e le liste per le prestazioni specialistiche sono lunghissime; il nuovo direttore generale della sanità del Veneto ha esposto un piano di rientro, ma le soluzioni ipotizzate (fondi per lavoro straordinario di medici e infermieri, aumento del privato convenzionato) non sembrano fornire soluzioni strutturali. Probabilmente l’università dovrebbe formare più medici e più infermieri, e lo Stato dovrebbe assumerne di più e smettere di trasferire risorse al privato.
Sciopero a Verona
È da un po’ che tra i lavoratori e le lavoratrici dei Musei Civici di Verona tira aria di sciopero: il loro contratto, che prevedeva già un inquadramento salariale inferiore a quello del contratto nazionale di riferimento, è stato rivisto al ribasso dalla cooperativa da cui sono assunti (Le macchine celibi); il sindacato Usb ha aperto nelle ultime settimane una vertenza; e la questione è venuta alla ribalta anche a seguito di un servizio di Report. Venerdì 26 si è infine arrivati alla manifestazione; abbiamo ricostruito la questione in questo articolo e raccontato gli ultimi sviluppi e la giornata di sciopero in quest’altro articolo di ieri.
Le notizie riportate sono tratte da articoli pubblicati in quotidiani regionali e provinciali e altre testate, in particolare su Il Mattino di Padova, Il Corriere del Veneto, La Nuova di Venezia, Il Gazzettino, SkyTg24, ilsussidiario.net, nella settimana tra il 22 e il 27 maggio 2023.