Seize the Week è una rubrica che, a cadenza settimanale, riporta i fatti più significativi avvenuti nelle città e nei territori del Veneto. Un’informazione sintetica, indipendente e critica su ciò che accade in regione: fatti politici, realtà di movimento, scioperi, problemi ambientali e molto altro. Questo numero della rubrica si riferisce al periodo dal 20 al 26 maggio 2024.
Da una scritta sul muro…
La rassegna stampa di questa settimana inizia con una scritta graffita sul muro dello storico Caffé Pedrocchi: “STOP GENOCIDE“. La vita del graffito è stata breve; immediatamente l’amministrazione pubblica ha contrastato questo “attacco al cuore della città” chiamando gli imbianchini. Il trauma però resta. Stanno infatti iniziando i lavori per una nuova misura a difesa del decoro cittadino, una rivisitazione del regolamento della polizia urbana. Questa modifica non solo prevede una aumento dell’ammenda pecuniaria (multa da 200 a 500 euro), ma anche la possibilità di allargare uno strumento sempre più in voga in città, il daspo urbano, fino ai confini murari di Padova. La notizia è pesante, ma per fortuna la gravità del progetto è mitigata dalla particolare attenzione data, durante l’elaborazione del regolamento, alla cacca dei cani: i proprietari, maleducati o meno, avranno l’obbligo di portarsi sempre dietro una bottiglietta d’acqua per garantire il decoro della città.


Passati pochi giorni dalla restaurazione dello storico locale padovano, il destino si mette in mezzo: il nubifragio che ha fatto scattare l’allerta meteo in tutto il Veneto non ha risparmiato il Pedrocchi: si è allagata la terrazza e la struttura ha subito forti inflitrazioni. La diagnosi è arrivata in questi giorni e sembra che per risistemare l’esercizio ci vorranno circa tre settimane.
In realtà a Padova i danni causati dal maltempo non sono stati ingenti. Meno fortunate, invece, sono state le zone dell’Alta Padovana, dove la paura di un nuovo alluvione è serpeggiata anche nel corso di questa settimana, mentre il livello del Muson continuava a salire. In verità, l’emergenza sembra essere definitivamente rientrata ed è il momento di contare i danni: stalle allagate, strade crollate, garage devastati, animali abbattuti, perdite fino ai 10 milioni a causa dell’allagamento dei campi.

Il disagio poteva essere evitato? Certamente, basti pensare che le soluzioni proposte (messa in sicurezza degli argini, bacini di laminazione e aumento del numero di volontari della protezione civile) sono le stesse di ogni anno quando ormai in maniera sempre più ordinaria arrivano queste piogge definite “straordinarie”.
Uno dei graffiti incriminati che sono finiti sulle pagine dei giornali padovani della settimana recitava queste parole: “OLIMPIADI MAFIA“. Sebbene l’estetica potesse lasciare a desiderare, non si può accusare il o la writer di aver avuto torto. Le nubi sulle Olimpiadi Milano-Cortina si fanno sempre più fosche: non solo lavori arretrati, problematiche ambientali, continuo aumento della spesa, ma anche uno scandalo corruzione. Non poteva mancare niente per un grande evento all’italiana. L’amministratore delegato della Fondazione Cortina-Milano 2026, in carica dal 2018 al 2022, Vincenza Novari è indagato per corruzione e turbativa d’asta. Al centro delle indagini si trova anche Luca Tommasini, fondatore di Vetrya, azienda incaricata di gestire i servizi digitali per la Fondazione. Il giro di soldi sembra ammontare attorno ai 2 milioni di euro, ma lo spettro della corruzione sembra aleggiare anche su qualcosa di meno materiale dei soldi: il logo delle Olimpiadi. Infatti, la scelta del design tramite sondaggio pubblico è effettuato proprio su una piattaforma prodotta da Vetrya.

Intanto le associazioni locali continuano a chiedere una maggiore trasparenza dietro al progetto olimpico, arrivando persino a iniziare una vera e propria campagna di monitoraggio della spesa. Come si diceva, anche in quest’ambito le cose non sembrano andare bene per le grandi Olimpiadi “a costo zero”. Infatti, pur non avendo accesso diretto ai dati (perché la fondazione non li rilascia), il calcolo effettuato dai comitati stima una spesa di 5 miliardi e 720 milioni.
Parlando di grandi eventi sportivi, come possiamo non ricordare la tappa del Giro d’Italia che ha visto protagonista Padova? Come in tutte le occasioni simili è stata una bella passerella per la città, nonostante la confusione più totale per quanto riguarda la viabilità urbana. Ma torniamo per un attimo da dove siamo partiti, dalla scritta sul Pedrocchi: STOP GENOCIDE. Durante l’arrivo a Prato della Valle alcune persone sono riuscite a tendere un enorme striscione sulla scalinata di Santa Giustina che, pur non spingendosi così in là, ha comunque mostrato a chiare lettere un messaggio di vicinanza al popolo palestinese, in barba alla sempre meno velata censura mediatica che la situazione a Gaza e in Cisgiordania sta subendo.

Un’altra scritta, ma di diverso tipo, è comparsa in questi giorni per le strade di Padova. Alcuni cartelli delle vie del centro storico sono stati rinominati in maniera posticcia dai militanti di Casa Pound a sostengo della consulta che da mesi preme sul comune al fine di intitolare una via a Sergio Ramelli, militante neofascista del fronte della gioventù, ucciso da alcuni militanti di Avanguardia operaia a Milano nel 1975. Per fortuna molti, tra cui l’amministrazione comunale, sono consapevoli che una via del genere sarebbe destinata presto a diventare luogo di commemorazioni neofasciste che negli ultimi anni sembrano essere diventate molto popolari.
Una notizia così semplice come una scritta su un muro ci ha permesso di attraversare alcuni degli assi notiziari più interessanti della settimana, ma non è ancora finita. Una delle parole d’ordine della rivisitazione del regolamento della polizia urbana è decoro. Questo status sembra essere così caro ai padovani da parlarne ogni settimana. Il comune è da anni impegnato in una battaglia di logoramento contro la movida e il degrado cittadino, tuttavia sembra ormai pronto alla resa. Infatti, dopo le polemiche sollevate dall’erezione di una statua ritraente un alpino armato, il comune sembra proprio volersi candidare per ospitare uno degli eventi che potenzialmente porta più disagio e mancanza di decoro nelle città del nord-est: l’Adunata nazionale degli alpini 2028.

Parlando di cose un po’ più serie
Lunedì sera il consiglio comunale deciderà di approvare o meno l’ampliamento dello hub logistico di Alì in zona industriale. La mozione verrà valutata parallelamente a una seconda: il progetto di riqualificazione della zona dell’ex-caserma Romagnoli a Camin. Questa scelta di accorpare la discussione attorno a questi due temi, tra loro apparentemente scollegati, dimostra che la prospettiva adottata dal consiglio comunale e da chi vuole questo ampliamento (Zanonato) sia quella di considerare la riqualificazione di Camin come un atto compensatorio rispetto al consumo di suolo che subirà la zona industriale. Infatti, i soldi necessari al progetto dell’ex-caserma, circa 7 milioni (5 milioni per l’esproprio del terreno e circa 2 milioni per le attività compensative), verranno direttamente da Alì.
Sebbene il coniglio comunale si sia ricompattato dietro all’idea che l’intera operazione possa rappresentare una “svolta green” per Zona industriale, i residenti minacciano di far ricorso al Tar, mentre Legambiente, dopo un incontro fallimentare con Giordani, denuncia perplessità più che sensate. Il primo dubbio riguarda il concetto di compensazione: è possibile considerare la creazione di un parco a 10 km di distanza un atto di compensazione rispetto a una nuova colata di cemento in Zona industriale? Senza contare che questa riqualificazione prevede poi una variante che renderebbe edificabili diversi ettari di terreno agricolo proprio a Camin. Infatti, sono già stati autorizzati 70 mila metri cubi di nuove edificazioni nell’area dell’ex-caserma, una cifra che sfora di ben 10 ettari l’impegno preso in campagna elettorale con il Piano degli Interventi del comune. Francesco Tosato di Legambiente sottolinea poi come l’intero progetto di “compensazione” che riguarda l’area Romagnoli sia in realtà già presente all’interno del Piano degli Interventi e che nulla c’entrasse con l’hub di Alì. Quello che viene quindi chiesto a Giordani è di rendere noti i dati sui quali hanno fatto i conti dell’intero progetto, perché a chi sta monitorando la situazione non tornano.

Un’altra importante notizia della settimana riguarda Fincantieri, di cui abbiamo scritto pochi giorni fa. L’azienda con sede a Trieste, ma con fortissimi interessi al Porto di Marghera, avrebbe siglato un accordo con Edge, uno dei principali gruppi mondiali di tecnologia avanzata e di difesa, che darà luce a una joint venture (controllo a due) chiamata Maestral. Evidentemente Fincantieri sta fiutando il momento e capisce che gli armamenti stanno diventando una merce molto redditizia. In ogni caso, questa nuova azienda avrà sede ad Abu Dhabi ed Edge ne controllerà il 51%, avendo, tra l’altro, diritti di prelazione per gli ordini non NATO. Infatti, il primo ordine arrivato a Fincantieri è di costruire 10 pattugliatori d’altura per la flotta navale degli Emirati Arabi (400 milioni di euro). E non finisce qui, perché è notizia della settimana che l’US Navy abbia richiesto a Fincantieri la produzione di due fregate “constellation” dal valore di 1 miliardo di euro.
Del fatto che abbiano trovato ed arrestato Fleximan ci interessa poco. Mentre è molto importante che la mobilitazione per la Palestina non sia terminata con l’abbandono di Palazzo Bo al termine dell’accampada. Durante il Career day dell’Ateneo, la fiera è stata il palcoscenico di una nuova contestazione contro l’Università patavina, connivente nel genocidio che il popolo palestinese sta subendo tramite gli accordi di ricerca con le università israeliane. Contemporaneamente a questa notizia arriva una nota di Unipd che fa il conto dei danni patrimoniali ed economici che l’università ha vissuto a causa dell’occupazione: circa 100 mila euro. Di fronte a questa provocazione, noi ci domandiamo da quando delle mancate entrare economiche (tra l’altro, in parte legate a visite turistiche), siano da considerati danni per un’istituzione pubblica? Tutto ciò non fa altro che confermare la mentalità aziendalistica dell’università padovana.