Lunedì è iniziata la scuola, fra mille incertezze e problematiche. Il governo si è mosso lentamente, le carenze strutturali dell’istruzione italiana non sono state colmate, di modo che una cattedra su tre è vuota e molte delle classi iniziano senza professori. I problemi dell’eccezionalità si sommano ai problemi ormai incancreniti. Per inaugurare l’anno scolastico, siamo andati a fare due chiacchiere fra chi non ci sta.
Il clima e la scuola, due tematiche di importanza centrale per la nostra società, rese comunicanti grazie ai grandi scioperi per il clima portati avanti dagli studenti in questi anni. Due tematiche che la mattina del 9 hanno animato un’assemblea di studenti medi all’interno del Venice Climate Camp, che, causa COVID, quest’anno è stato trasferito dagli organizzatori dal lido di Venezia al centro sociale Rivolta di Marghera.
Circa un centinaio di ragazze e ragazzi di coordinamenti studenteschi provenienti da tutto il nord Italia si è trovato per discutere della scuola di domani inserita nel contesto dell’attuale crisi climatica. Le problematiche che si prospettano per il nuovo anno scolastico sono ben chiare nella testa e nelle parole dei partecipanti, dai cui interventi è emersa la volontà di comprenderne a fondo le cause in modo da dare una contestualizzazione teorica alle pratiche che negli scorsi due anni hanno mostrato il loro potenziale mobilitativo. Molto presente nel dibattito è stata inoltre l’amara consapevolezza del futuro che si prospetta loro davanti, come esseri umani a rischio di estinzione ancor prima che come studenti delle superiori.
Già dal primo intervento è stato sottolineato come la pandemia di SARS-CoV-2 non possa essere affrontata senza prendere in considerazione la cornice sistemica che ne ha permesso lo sviluppo. In più di un passaggio è stato infatti ribadito come l’antropizzazione di fette sempre più grandi di terre emerse e la produzione industriale di cibo abbiano un costo ambientale estremamente elevato oltre ad aver facilitato il salto dei coronavirus da animali a uomo.
Dal contesto ambientale si è passati poi a discutere di quello scolastico e di quali saranno i nodi da affrontare al rientro in classe. Primo fra tutti la didattica a distanza, ritenuta dai partecipanti uno strumento inadeguato e classista, che di fatto consegna l’istruzione nelle mani delle grandi multinazionali del digitale. Una misura al ribasso che dall’essere stata adottata in via eccezionale sta invece diventando strutturale. Il fatto che anche quest’anno la maggior parte delle scuole, in particolare le superiori, dovrà ricorrere a questo metodo didattico agli occhi dei presenti dimostra una volta di più in che considerazione venga tenuto il ruolo della scuola nella società da parte della classe dirigente di questo paese. “La DAD ci è stata presentata come inevitabile, ma la realtà è che è stata resa inevitabile da anni di tagli”, dice nel suo intervento una studentessa padovana.
Dalla DAD l’assemblea è poi passata ad analizzare i mutamenti dei ruoli all’interno del mondo dell’istruzione. Da quello degli insegnanti, ormai sviliti a meri distributori di nozioni standardizzate, a quello dei presidi, capi sempre più assoluti degli istituti che dirigono, sebbene questa sia una tendenza già in atto dalla riforma Gelmini in poi. Più in generale si è poi discusso del ruolo della scuola che si sta trasformando in una sorta di organizzatore unilaterale della vita degli studenti, lasciando loro sempre meno spazio per il confronto e l’organizzazione e diventando sempre più invasiva nella loro vita privata. Una scuola affetta da dinamiche ti tipo aziendale che addestra i ragazzi fin dai primi anni al vivere precario e al controllo continuo.
L’incontro non ha voluto solamente essere un momento di analisi della tragedia in corso ma anche un momento di discussione collettiva su cosa fare per provare a fermarla e su come farlo. Tanti gli interventi e le proposte in tal senso. Il compito principale che i coordinamenti si sono dati è riuscire a far tornare nelle piazze un protagonismo giovanile che sia l’espressione più vasta possibile del mondo studentesco.
In tal senso i partecipanti si sono detti pronti a dare battaglia su più fronti. Sulla questione della gestione della sicurezza i temi del sistema di trasporti inadeguato e della digitalizzazione della scuola sono stati i più sentiti. Anche la questione ambientale promette di essere terreno di contestazione. È stata infatti posta al centro la necessità di bloccare l’entrata nelle scuole dei grandi protagonisti della devastazione ambientale in atto, come ENI.

Un cambiamento radicale di rotta, questa la richiesta uscita con forza dall’assemblea. Se infatti è chiaro quali siano le dinamiche da non far passare lo è altrettanto che tipo di scuola i presenti vogliano per loro stessi e per le future generazioni di studenti. Un luogo che garantisca a tutti e tutte, a prescindere dalle proprie condizioni familiari/economiche, la possibilità di formarsi. Uno spazio di confronto, attento all’attualità, che sappia dare strumenti appropriati ai giovani per poter analizzare la realtà contemporanea, per poter immaginare qualcosa di migliore e per riuscire a realizzarlo.
Una scuola molto diversa da quella che ci restituisce il nostro governo, in piena continuità con quelli precedenti, nel trambusto di un dibattito politico non all’altezza della situazione. “Un governo che ha scelto di immolare sull’altare della ripartenza economica un’intera generazione, a cui da ormai troppo tempo il diritto all’istruzione viene negato”. Come detto da uno dei ragazzi presenti.
La sfida sarà quella di riuscire a coinvolgere i tanti ragazzi e ragazze che si apprestano, spesso con rassegnazione, ad affrontare un altro anno di scuola “d’emergenza”. A partire dalla manifestazione per il clima lanciata per il 25 di questo mese dal movimento Friday For Future.
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