intervista a Mattia Boscaro, abitante e attivista
ATER Padova annuncia una «riqualificazione» in grande stile di 10 palazzine situate nel cuore del rione Palestro, all’interno del quadrato delimitato dalla via omonima, oltre che dalle vie Toselli, Varese e Magenta. Gli alloggi interessati sono 63, di cui 44 attualmente occupati: gli inquilini riceveranno un alloggio temporaneo – in cui si trasferiranno a spese di ATER – e al termine dei lavori potranno decidere se rimanervi o se fare ritorno agli appartamenti ristrutturati. I costi ammontano a 7 milioni di euro, di cui 5,2 finanziati dallo Stato.
Un intervento di tali proporzioni non può passare inosservato, soprattutto in un contesto come quello del rione Palestro, edificato negli anni ’20 come destinazione dei ceti popolari espulsi dal centro storico, e oggi invece «ritenuto tra i più seducenti della città» (Il Mattino, 03/04/2021) proprio per la sua vicinanza al centro. Quali sono i rischi e le incognite di un simile progetto? Ne parliamo con Mattia Boscaro, presidente dell’Associazione Sportiva Quadrato Meticcio (nata nel 2012 per difendere il campo del rione dalla cementificazione), attivista dello Sportello Meticcio e coordinatore del neonato comitato inquilini che chiede ad ATER garanzie e risposte certe. Il comitato è nato spontaneamente dopo che gli inquilini hanno ricevuto la lettera di ATER con l’annuncio del trasferimento: ad oggi si è riunito in due occasioni – il 13 marzo e il 10 aprile presso la parrocchia di S. Girolamo – e conta una cinquantina di aderenti.
Da parecchi anni ormai partecipi attivamente alla vita del rione, com’è cambiato nel corso del tempo? Come si inseriscono in questo contesto i gruppi di cui fai parte, Quadrato Meticcio e Sportello Meticcio?
Quando ho iniziato a girarci era un quartiere prevalentemente operaio, di famiglie numerose, però con i figli che già si stavano staccando e si aveva l’impressione che si stesse creando un vuoto all’interno di questo quartiere, perché una generazione era cresciuta e probabilmente non avrebbe poi trascorso la vita qui, mentre per contro c’era una generazione che invecchiava. A certificare questo cambiamento è intervenuto il Contratto di Quartiere, cioè un piano di riqualificazione del quadrato di case popolari che è il centro del rione Palestro, 160 appartamenti – inizialmente erano più di 200 – caratterizzati per essere molto piccoli, non è un caso questo quartiere si chiamasse “Chinatown” per la densità di popolazione.
Il Contratto di Quartiere, che doveva portare con sé delle trasformazioni positive, legate all’efficientamento energetico, alla riqualificazione degli spazi e alla loro ottimizzazione, è stato in realtà un lavoro realizzato in modo approssimativo e scadente e questo si è ripercosso sulla qualità di vita di chi è subentrato all’interno del rione. La trasformazione sociale e spaziale è avvenuta con un progetto edilizio di ristrutturazione che è durato dieci anni, dal 1999 al 2009. Nel frattempo centinaia di famiglie sono state trasferite all’esterno del quartiere, a distanza di molti anni; in pochi hanno deciso di ritornare, prevalentemente sono tornati gli anziani perché erano stati sistemati in abitazioni vicine. Quindi il vuoto che si stava creando è stato riempito da qualcun altro, e per fortuna sono arrivate molte famiglie di origine migrante.
Dentro questa trasformazione ci si è trovati a ricostruire un tessuto sociale, perché le persone non si conoscevano. C’era una diffidenza reciproca, ognuno si è rinchiuso nella sua dimensione comunitaria di riferimento, per cui in quel periodo non c’era molta attività in quartiere. Il minimo comun denominatore che ha rideterminato la rinascita di un tessuto sociale è stata sicuramente la battaglia per il campo da calcio di via Dottesio, che ha mosso delle questioni legate ai bisogni primari di socializzazione, in maniera particolare per le famiglie arrivate da poco che avevano molti figli minori. Diciamo quella che è stata la forza di Quadrato Meticcio, che è nato in questo contesto di mobilitazione a difesa del campo da calcio adiacente al complesso di case ristrutturate.
La difesa di questo campo da calcio ha ricostruito gradualmente un tessuto sociale, con un grande protagonismo soprattutto della comunità nigeriana, la più numerosa e con molti figli minori, che voleva che questo impianto sportivo fosse valorizzato per dare uno spazio ai bambini. Il campo era poco utilizzato e ci sono state molte iniziative per rivendicare che questo impianto fosse aperto e fruibile dal quartiere, mentre a livello istituzionale era stato dichiarato come un bene da poter sacrificare. È stato di fatto chiuso, in attesa dei lavori di riqualificazione – anche qui usiamo questo termine che poi in realtà significa cementificazione dell’’unico spazio verde nel quartiere – ma in risposta c’è stata una mobilitazione continua degli abitanti del quartiere e degli studenti della Residenza Ceccarelli.
Il braccio di ferro è durato qualche anno, finché con l’elezione della giunta Bitonci è stato sancito definitivamente il mantenimento dell’impianto di Via Dottesio e in questo lasso di tempo si è creata una nuova socialità: questa è la ricchezza vera di tutta questa storia, almeno per me, perché le storie di cui ognuno era portatore poi sono diventate una storia comune e questa è la base su cui poi si è costruita l’ASD Quadrato Meticcio.
Lo Sportello Meticcio invece è un progetto nato alla fine del 2016. È nato come supporto ai bisogni che questo quartiere esprime, perché le persone che sono venute qui da altri paesi sono portatori vivi di bisogni, sono venute qui per cercare un’opportunità, quindi hanno dovuto fare i conti con una realtà difficile. L’inserimento di queste famiglie non è stato facile, ci sono state difficoltà soprattutto a livello linguistico, quindi la conoscenza dei diritti da poter far valere non è qualcosa di lineare ma si è costruita nel tempo, soprattutto per quello che riguarda i diritti legati al tema dell’abitare e del lavoro. Proprio per dare una risposta a queste esigenze abbiamo messo in piedi anche lo Sportello, che non è rivolto solo alle famiglie migranti ma in generale a tutti gli abitanti del quartiere, anziani e persone che hanno altri tipi di problemi, e che cerca di essere un punto di organizzazione per chi vuol far valere i suoi diritti.
A quanto pare quello della casa rappresenta un problema costante per molti abitanti del rione. Il presidente di Ater, Gianluca Zaramella, garantisce che «migliorare la qualità dell’abitare degli inquilini è una delle priorità del nuovo piano di ristrutturazione» (“Il Mattino” 03/04/2021). È effettivamente così? Cosa sta succedendo?
Questa storia del riqualificare per l’efficientamento ambientale l’abbiamo già sentita più volte, nel senso che sappiamo, purtroppo, che molto spesso è pura propaganda, soprattutto se detto dall’Ater che fa riferimento a un partito politico ben preciso che è la Lega, o meglio al sistema Zaia, che ha una responsabilità non indifferente nel processo di cementificazione in Veneto. Sentire loro che vengono a parlare di efficientamento e rispetto dell’ambiente, di riduzione delle emissioni, fa sorridere. Non perché sia una responsabilità particolare di qualcuno, ma perché l’Ater è strutturato purtroppo come un’azienda: anche se di fatto è pubblico – dirigenti, manager e dipendenti sono pagati con soldi pubblici – si comporta come un privato e soprattutto tende a massimizzare i profitti.
Quando vediamo un piano di riqualificazione delle case popolari possiamo gioire, perché le case popolari stanno cadendo a pezzi, però allo stesso tempo alziamo le antenne perché sappiamo benissimo che dietro ai piani di ristrutturazione molto spesso ci sono altri progetti, che sono magari quelli di rendere più appetibili questi alloggi per venderli ad un prezzo più alto, oppure per aumentare il costo degli affitti. Ater ha ottenuto 5 milioni di euro per ristrutturare 63 palazzine. L’ultima volta che l’hanno fatto qua in quartiere avevano ottenuto 59 miliardi di vecchie lire per ristrutturare 200 appartamenti. Ci hanno messo 10 anni, metà dei soldi sono spariti e ci sono tutt’oggi un sacco di problemi strutturali, tecnici, etc. Adesso le cose andranno meglio? Non siamo in grado di dirlo.
Come vi muoverete? Quali sono le vostre richieste? Come sta procedendo la vertenza?
Quello che di sicuro faremo è monitorare da vicino la situazione: per controllare appunto qual è il piano di riprogettazione e ovviamente per stare vicino agli inquilini in quello che si preannuncia un percorso non facile di trasferimento in altri alloggi. Su questo stiamo chiedendo con forza che tutti gli inquilini abbiano un alloggio a prescindere dal contratto che hanno stipulato – che sia un contratto ERP con assegnazione definitiva o che sia un contratto privato con Ater modello AterB, quindi parametrato sugli indicatori più legati al mercato libero immobiliare. A prescindere dal contratto stipulato ogni inquilino dovrà avere una sistemazione abitativa alternativa. Noi come Associazione abbiamo voluto stare dentro al comitato perché siamo presenti in quartiere da molti anni e conosciamo bene l’Ater, conosciamo bene gli inquilini, conosciamo bene il nuovo tessuto sociale e il delicato equilibrio creatosi. Siamo riusciti a ottenere che Ater abbia cambiato atteggiamento e sia venuto incontro a una richiesta fondamentale: ogni nucleo familiare avrà una sistemazione abitativa alternativa. Questo è stato confermato anche in sede di incontro con il comune di Padova e con l’assessorato alle Politiche abitative, quindi una prima vittoria è stata ottenuta.
Adesso restano da sciogliere alcuni nodi critici:
– dove gli inquilini verranno trasferiti: noi chiediamo con forza all’interno del rione Palestro dove sono presenti numerosi appartamenti sfitti – solo in Via Varese il numero è di 15, e in Via Monte Cengio di 11;
– il costo degli affitti: noi chiediamo che vengano calcolati sulla base del vecchio affitto, quindi non affitti troppo alti;
– la possibilità di rientrare nel vecchio alloggio dopo i lavori. Questo è il passaggio fondamentale per testare gli eventuali appetiti speculativi che potrebbero celarsi dietro a questo piano di ristrutturazione.
Mettiamo sul piatto delle richieste ben calibrate in risposta a quello che sta succedendo. Questo è possibile solo perché c’è stato un lavoro in sinergia tra abitanti e associazioni. È un dato di fatto: qualsiasi attività si metta in campo per mantenere vivo il tessuto sociale poi rende al 100% nel momento in cui c’è bisogno di fare comunità e di far valere i propri diritti. Inoltre, la capacità degli inquilini di restare uniti per essere più forti, di esprimere con determinazione la volontà di poter rimanere nel quartiere in cui vivono, hanno sviluppato legami sociali e affettivi, in cui i propri figli stanno crescendo, ha determinato una situazione inedita per cui ATER, in modo inaspettato, sta cercando concretamente di venire incontro alle loro richieste.
Quale futuro ti immagini per questo rione?
Non è facile fare previsioni, anche perché siamo in un momento in cui è difficile fare previsioni per il futuro dell’umanità, quindi pensare al futuro del rione Palestro sembra quasi anche pretenzioso, no? Quando parliamo del rione Palestro parliamo di un rione di 5 mila persone, dove un migliaio di residenti vivono nelle case popolari e tra essi ci sono 250/300 adolescenti e bambini che sono afrodiscendenti o comunque migranti di seconda generazione. Il potenziale esplosivo c’è perché non ci sono politiche in questo momento che tengano conto di questa dimensione, del fatto che tutte queste persone concentrate in uno spazio ridotto non hanno prospettiva.
Da una parte c’è il rischio di un’involuzione, cioè del fatto che tutte queste contraddizioni, questa povertà (non solo materiale, economica ma anche di linguaggio e culturale) possa innescare delle dinamiche di tipo criminale e deflagrare nel senso più negativo del termine, quindi in modo autodistruttivo per la comunità. Dall’altra, invece, c’è l’energia che si avverte nell’aria di una generazione meticcia che ha voglia di spaccare tutto e può essere l’innesco per qualcosa di completamente nuovo, rivoluzionario, che cambi in positivo tutta la città. Siamo, secondo me, ad un bivio, e sarebbe stato bello arrivarci in un contesto di maggiore serenità: arrivarci col COVID, con l’isolamento, con i problemi che vengono acuiti, sicuramente rende meno facile il nostro lavoro, però penso che la potenzialità positiva possa prevalere se saremo in grado di far valere, non dico solo come Quadrato Meticcio ma in generale come quartiere, le cose positive che ci sono e che molto spesso ci piace ricordare: c’è una piazza pubblica attraversata da decine di adolescenti che è difficile trovare in altre zone della città, c’è un impianto sportivo che verrà migliorato e reso sempre più recettivo. Se riusciremo a fondere questi due elementi con tutto il bagaglio storico e culturale di questo quartiere, che ha una storia di Resistenza e anche di apertura alle differenze, se riusciremo a valorizzare queste cose, possiamo offrire a questi giovani quello che il mondo non gli sta offrendo, riuscire a tirare fuori il meglio da loro.