di Antonio Sciuto
È vero che il primo maggio si potrebbe fare di meglio, si potrebbe fare di meglio che essere a Marghera in mezzo a quell’aria irrespirabile, ai suoi chilometri di cemento, alle sue banchine sudice dove ogni mattino attraccano barche di ogni forma e misura da ogni parte del mondo.
Certamente, dopo settimane di lavoro alle spalle, ognuno di noi vorrebbe soltanto rilassarsi e godere di uno dei rari momenti di spensieratezza che in questi tempi così duri ci possiamo permettere.
D’altronde il diritto al riposo è stata una delle grandi conquiste del ciclo di lotte che ha portato il primo maggio ad essere un rosso sul calendario, un giorno in un cui abbiamo diritto a oziare.
Le celebrazioni del primo maggio nacquero proprio quando, nel congresso del 1889 di Parigi che diede vita alla Seconda Internazionale, fu proclamata la “Giornata internazionale dei lavoratori” che ricordava la vittoria ottenuta dagli operai di Chicago durante la famosa rivolta di Haymarket che estese anche agli operai delle fabbriche la conquista delle otto ore.
Quella decisione fece diventare la battaglia dei lavoratori di Chicago una lotta internazionale che voleva liberare il tempo dei lavoratori, permettere a questi di adeguare la produzione ai propri ritmi di vita e a non subire più i ricatti dei padroni.
Eppure oggi di quel grande ciclo di lotte e di quelle conquiste si sente ben poco il peso anche perché da tempo i sindacati confederali hanno scelto la via concertativa e abbandonato quella conflittuale, trasformando il primo maggio in una specie di Festivalbar.
E Marghera è l’esempio più lampante e visibile di questo clamoroso arretramento dei diritti del lavoro e, più in generale dei fallimenti del capitalismo che prometteva ricchezza e benessere diffusi, ma ha depredato e avvelenato territori, sfruttato e impoverito masse che vivono in condizioni di semi schiavitù.
Appena un anno fa la procura di Venezia sanzionava due società della galassia di Fincantieri per quello che possiamo definire un nuovo schiavismo, dove non c’è più la fabbrica che assume direttamente, ma affida fittiziamente l’assunzione a terzi per poter usufruire della flessibilità ed economicità del lavoro appaltato.
Eppure lo Stato non ha mai smesso di essere presente nell’economia. Anzi, ha deciso di puntare le proprie risorse nell’industria militare, tramite Leonardo e Fincantieri. Basti pensare agli enormi investimenti che queste due industrie stanno facendo nel settore della difesa, anche nel quadro di un riarmo europeo.
E Fincantieri è l’emblema di questa condizione :una grande fabbrica di schiavitù e di morte, che, come ha dichiarato a più riprese l’AD di Fincantieri Folgiero, si è messa a servizio della “strategia geopolitica dell’Italia”.
Quale strategia? Il piano è chiaro, mentre Leonardo investirà nel settore della difesa aerea e terrestre, a Fincantieri spetta invece quello del mare. Una prospettiva che si sta concretizzando con la cessione da parte di Leonardo della Wass, azienda con sede a Livorno, che produce sommergibili e soprattutto i siluri Black Shark in uso presso la marina militare italiana.
In questo contesto i Giovani Palestinesi e il Comitato Permanente contro le guerre e il razzismo hanno convocato una manifestazione regionale che parte alle 10:30 da piazzale Giovannacci e ha l’ambizione di arrivare davanti ai cancelli di Fincantieri, passando per il Porto, proprio per denunciare l’economia di guerra e il coinvolgimento del nostro paese nei conflitti globali e in particolare la Palestina e l’Ucraina.
Perché, se ancora i nostri soldati non combattono, sono i nostri cannoni e le nostre navi quelle che vengono messi a servizio e alimentano genocidi come quello in corso a Gaza ( non dimentichiamo che il nostro paese è il terzo fornitore di armi di Israele a livello mondiale).
Il nostro Stato e il nostro apparato industriale sono complici e sodali di questo genocidio e questo non è ancora pienamente emerso in un dibattito molto concentrato, giustamente visto l’ottimo lavoro fatto dagli studenti, sull’università.
E quindi, sì, forse questo primo maggio si potrebbe anche evitare di partecipare. Si potrebbe stare a casa, oppure andare in montagna o al mare. Ma mai come oggi è indispensabile restituire a questa giornata il senso con cui è nata: ripartiamo da questo primo maggio per una nuova stagione di lotte, per riconquistare i diritti negati, per affermare un nuovo modello di sviluppo più sostenibile ed equo che restituisca ai nostri territori bellezza e salute, che ci allontani dalle guerre mondiali per cui il capitalismo ci vorrebbe vedere arruolati.
Guerra alla guerra!