Breve apologo sul concorso docenti 2024
di Filippo Gobbo
[…]
Di nulla sia detto: è naturale
in questo tempo di anarchia e di sangue,
di ordinato disordine, di meditato arbitrio,
di umanità disumanata,
così che nulla valga
come cosa immutabile.
B. Brecht, Straniamenti
Metà marzo 2024. Alina (nome di fantasia) è in prima media. Sta sudando. Roberto, il docente supplente, gli ha appena chiesto di dirgli qual è l’etimologia del termine «mito» e di proporgli una definizione: una domanda semplice, cui la studentessa dovrebbe saper rispondere data la spiegazione recente. Lei si arrampica sugli specchi, è in evidente difficoltà. Mentre osserva i suoi occhi vagare, Roberto avverte montare un senso di frustrazione, quasi di rabbia, che gli fa perdere lucidità. E sa che quella rabbia se la porterà fino a sera o almeno fino alla prossima pausa caffè, quando potrà dire a se stesso e ai colleghi che, alla fine, «Alina è proprio un caso disperato». Mentre Alina, tornando a casa, inizierà a pensare di esserlo veramente, un caso disperato.
A chi lavora nel mondo della scuola sarà capitato di formulare o intercettare questo tipo di giudizi. Sono una sorta di rumore bianco, fatto di etichette anacronistiche prive di significato (lo studente X è intelligente, Y è meno intelligente, Z è DSA o, ancora, «Alina è un caso disperato»). Semplici intuizioni, frutto di un’osservazione superficiale, che corrono il rischio di diventare verità incontrovertibili, passando dalla testa del docente a quella dello studente, senza soluzione di continuità.
Sotto questa luce, insegnare è un privilegio, nella sua doppia accezione: un onore e un potere, che può debanalizzare o banalizzare lo studente che si ha di fronte. La domanda che è stata posta a Alina, forse, andava verso quest’ultima direzione, quella della banalizzazione. Senza avergli dato la possibilità di comprendere l’importanza dell’etimologia di mito anche per il suo vissuto, Roberto ha tentato, inconsapevolmente, di rendere la sua allieva una macchina banale. O funzionava o non funzionava, o conosceva l’etimologia del termine «mito» oppure no. Tuttavia, nella sua stupidità, l’interrogazione diceva molto più sulle capacità dell’insegnante che su quelle dell’allieva. Lo dicono anche i manuali di pedagogia, citando Heinz von Foerster: i test valutano, prima di tutto, chi li fa.
I test valutano chi li fa
Sempre metà marzo 2024. Roberto ha appena terminato la prova scritta del nuovo concorso ordinario, la prima delle due prove che dovrà sostenere per tentare di ottenere il posto di ruolo. Se sarà fortunato, lo aspetterà un percorso abilitante di 36 CFU (costo: 2500 euro) di alcuni mesi più un anno aggiuntivo di prova. Ma ora siamo agli inizi. Ha superato con 94 punti su 100 la prova, quindi dovrebbe essere rasserenato: il frutto di mesi di studio gli ha fatto guadagnare un ottimo punteggio. Eppure, si sente svuotato. Rispetto alle prove dei precedenti concorsi, questa era relativamente facile. Roberto scoprirà nei giorni successivi che l’80 % dei candidati è passato, anche con punteggi relativamente alti. Il sospetto è che la vera partita si giocherà non tanto all’orale, quanto con il punteggio della valutazione titoli. In quel caso, saranno i precari storici della scuola ad avere maggiori possibilità di ottenere il ruolo. Per ora, Roberto sa solo che lo aspetta la prova orale o, meglio, l’attesa della prova orale. Dato l’alto numero di candidati passati, le prove dureranno probabilmente molti anni e, nei casi di insegnamenti di materie con pochi posti, si svolgeranno in regioni diverse da quelle di appartenenza. Fino a quel momento, Roberto passerà le sue serate a pensare ossessivamente a questo concorso, alle possibilità che gli si apriranno o non gli si apriranno (banalmente, la possibilità di progettarsi o meno in un futuro di lunga durata). Anche in questo caso, il concorso dirà molto di più sulle (in)capacità progettuali della classe politica piuttosto che sulle sue come docente.
Eppure, gli effetti di questa incapacità avranno delle ricadute direttamente in classe. La sfilza di buone pratiche, metodologie innovative, strategie inclusive che Roberto conosce con estrema esattezza sul piano teorico, in classe non le metterà in pratica. Sotto sotto penserà siano tutte cazzate, uno dei tanti stratagemmi ideati dal ministero per fargli perdere l’ennesimo concorso. E forse gli sarà capitato di pensarlo anche durante l’interrogazione della sua allieva, in una sorta di violento moto di ribellione nei confronti di un mondo che gli richiede di essere, allo stesso tempo, creatura magica e capro espiatorio. Responsabile di essere un lavoratore privilegiato, responsabile di dati INVALSI scadenti, responsabile della crescita di generazioni diseducate e impaurite, di società disgregate, di genitori infantili, di mancanza di cultura. E responsabile se è incapace di passare un concorso.
Ma questo, nei libri di pedagogia, non c’è scritto.