di Filippo Grendene
La qualità dell’abitare in una città, per chi non è ricco, è data in buona misura dalla disponibilità di abitazioni. Non si tratta solamente della legge della domanda e dell’offerta, che resta comunque valida: se non ci sono molte case disponibili, infatti, si dovranno accettare le peggiori soluzioni, non solo come costo ma anche come qualità dell’ambiente, insalubrità e vetustà; in una situazione di maggiore disponibilità, invece, oltre ad essere affittate a costi più bassi molte case resteranno, semplicemente, vuote.
La città di Padova è stata particolarmente esposta, negli ultimi quattro decenni, a fluttuazioni demografiche che hanno visto una diminuzione degli abitanti residenti di quasi 30.000 unità. Per comprendere le logiche del mercato immobiliare, bisogna immaginarlo non come una bilancia, sui cui piatti sistemare offerta e domanda, ma come una spugna: più o meno in grado di assorbire richieste, più o meno in grado di erogare rendita, sicurezza di investimento, dividendi. Che cosa ha reso, negli ultimi anni, questa spugna così satura?
La città, centrale nel territorio della regione, ha una serie di particolarità che sono entrate in gioco in questo senso, nell’attrarre una grande quantità di popolazione non residente: si è affermata in regione come polo del terziario, con una forte richiesta di manodopera, tendenzialmente migrante, per la logistica, ma anche di figure altamente specializzate che lavorano nelle varie sedi di multinazionali dell’hi-tech e nei laboratori di ricerca. Pone inoltre al proprio centro l’università, che con i 70000 studenti di quest’anno rappresenta la variabile da considerare, con cui peraltro i padovani hanno sempre fatto i conti (anche letteralmente, nel senso di una grande possibilità di guadagno da rendita). Si identifica infine con una vocazione turistica parzialmente inedita, che fa perno sui due riconoscimenti dell’UNESCO e su un piano di lancio a forte vocazione culturale.
TURISMO
La giunta comunale ha fatto della valorizzazione della dimensione turistica uno degli assi portanti della propria azione di governo, portando a un numero di presenze che, per quanto calcolato con metodi poco ortodossi (numero di SIM di non residenti), sembra aver superato i 2 milioni nel 2022, contro, ad esempio, le 900.000 medie degli anni precedenti la crisi del 2008. Lo sviluppo del settore, afferma ripetutamente Colasio, assessore alla cultura con delega al turismo, è dovuto ai forti investimenti in marketing operati dal comune, assieme ai riconoscimenti UNESCO.
Per ospitare questo flusso di arrivi, oltre ai circa 50 alberghi presenti sul territorio esistono più di 1000 strutture ricettive (leggi: airbnb) con una capacità di oltre 3700 persone. Si tratta di un enorme flusso di capitali che entra in città e va a ingrassare l’economia che, in Italia, non sappiamo non associare al turismo: quella dell’enogastronomia, del tipico che si fa marketing, dello spritz a 4 euro. Con tutti i fenomeni di espulsione della vita popolare dai centri città che potremmo definire, a seconda dei gusti, gentrificazione o veronesizzazione. A Verona infatti i bomboloni fritti di piazza Erbe, emblema del mercato popolare e oggetto di una grande polemica sul decoro, furono sconfitti dalle finte maschere veneziane ancora a fine anni Novanta, dando vita a quel non luogo che oggi è il centro della città scaligera.
UNIVERSITA’
Se da sempre l’Università è al centro delle politiche abitative padovane, ultimamente si assiste a una crescita costante, anche se fino a qualche anno fa non vertiginosa, del numero degli studenti. Quest’anno, però, nell’occasione degli 800 anni dalla fondazione, per la prima volta il numero di immatricolati ha sfiorato i 70.000, stabilendo un nuovo record.
È interessante, in particolare, l’aumento del numero degli Studenti internazionali. Per capirci, nell’anno accademico 2000/2001 furono 1436, nel 2022/2023 5658: ai quali, naturalmente, vanno sommati gli studenti dei programmi Erasmus. Si tratta di migliaia di ragazzi e ragazze ai quali la città mostra le sue diverse facce: l’accoglienza delle piazze autunnali e le spaziose arcate delle sedi universitarie, le borse di studio che non arrivano e le case che non si trovano. Inevitabilmente si finisce allora a vivere a Grisignano, Dolo, Rubano, Mestre, Rovigo, Monselice, Mira, scommettendo sul trasporto pubblico in una regione nella quale anche nelle città non esistono mezzi pubblici dopo le nove di sera.
LAVORO
L’università però, assieme all’ospedale, ha anche il ruolo di portare in città lavoratori ad alta specializzazione: a Padova lavorano quasi 1500 medici specializzandi! E così anche per il territorio limitrofo, nel quale la ricerca di figure specializzate, ingegneri, informatici, chimici è in costante crescita.
Nello stesso momento, nella stessa città, spesso un po’ più in periferia, migliaia di operai di origine straniera attendono la mattina per affollarsi sulle strade che conducono a nord, passando i pochi ponti sul Brenta sempre intasati nel traffico delle sette e mezza, diretti verso Limena, Camposampiero, Cittadella, l’alta padovana delle piccole e medie imprese. Vivono a Padova perché sì, costa di più, è più difficile, ma c’è una comunità, lì vivono gli altri che sono partiti dal paese, i figli sono stati accettati. In provincia sarebbe isolamento in territorio spesso ostile, perché qua lo sanno tutti cosa vuol dire un comune governato dalla Lega, nelle grandi e nelle piccole cose. A volte si prendono appartamenti più piccoli, spogli e freddi d’inverno, ma esiste un fuori.
QUINDI?
Il bonus 110% ha sottratto altre migliaia di case, in ristrutturazione, nel corso di uno degli anni più difficili per le condizioni dell’abitare che la città ricordi (5700 appartamenti in ristrutturazione all’inizio dell’anno). La città cambia, la contraddizione che è sempre esistita fra una tipica città padana, piccolina e stabilizzata nelle sue abitudini, e i flussi che la attraversano e mutano si sta approfondendo, nella misura in cui l’unica città con un ponte arcobaleno è la stessa in cui se hai la pelle scura non trovi un tetto nemmeno se hai due contratti a tempo indeterminato. I turisti, gli studenti, i lavoratori che giungono in città sono, sotto una certa prospettiva, ricchezza da valorizzare; sotto un’altra, sono solo ricchezza da estrarre in forme organizzate.
In tutto questo l’unica cosa che chi sta puntando sulla nuova Padova non sembra aver considerato è il problema dell’abitare. Non era impossibile immaginare come, con tali e tante spinte verso un’immissione di genti da grassare, nascesse il problema del dove metterla. E invece no: la mancanza di lungimiranza e l’adesione a logiche legate al profitto e alla rendita hanno fatto sì che si incentivassero i flussi senza porre mano al problema degli alloggi, a una regolamentazione delle strutture ricettive, a studentati dove far alloggiare le matricole e gli internazionali, all’incentivazione della stipula di patti territoriali di locazione, con affitto controllato, infine a un controllo sull’erp e al suo sviluppo, che in fin dei conti è l’unico vero strumento del quale lo Stato (le regioni, formalmente, ma all’atto pratico anche i comuni, che siedono nei consigli di amministrazione delle ATER) disponga.
Insomma, quando è necessario sviluppare le politiche di crescita economica che fanno perno su attori pubblici e distribuiscono profitti e rendita ai privati a tutti i livelli si è in grado di mobilitare grandi investimenti e specialisti, quando si tratta di capire dove mettere gli sfrattati non si riesce nemmeno a trovare un’accoglienza che non divida le famiglie, come si minaccia chiamandola soluzione.
2 thoughts on “Perché non si trova casa a Padova?”
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