Domani a Venezia si terrà una manifestazione nazionale dei medici in formazione, in mobilitazione dal 4 maggio. Invitiamo a diffondere le rivendicazioni dei giovani medici con questo articolo di analisi della situazione contrattuale dello specializzando, in bilico fra studente e lavoratore, privato dei diritti dell’una e dell’altra figura.
Il d.l. 266 del 2005 definisce il contratto che il medico stipula nell’iscriversi a una scuola di specializzazione come Contratto annuale di formazione specialistica. Non è sempre stato così, prima, nel d.l. 368 del 1999, la definizione era forse meno elegante, ma più chiara e sincera: Contratto annuale di formazione-lavoro.
La sparizione della nozione di lavoro dalla definizione non è una di quelle cose che misteriosamente accadono («come la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato»), è solo un sintomo particolarmente esplicito di un ampio processo ideologico che investe una serie di figure lavorative ribattezzandole con nomi nuovi e smaglianti (collaboratore o risorsa umana invece di dipendente; imprenditore invece di padrone; ecc.). Molto semplicemente: se non sei un lavoratore tutta una serie di diritti per lavoratori conquistati in decenni di lotte operaie e sindacali non ti riguardano.
Gli specializzandi, come precisava la definizione pre-decreto 2005, sono figure bifronti: da un lato lavoratori, dall’altro studenti in formazione. Nemmeno la nozione di lavoratore presa di per sé, senza ulteriori qualificazioni, basta in realtà a una definizione precisa: bisognerebbe parlare degli specializzandi come di lavoratori subordinati. C’è un interessante esposto del 2009, pubblicato dallo studio legale di Federspecializzandi specificamente dedicato alla questione: non c’è scritto da nessuna parte che gli specializzandi sono lavoratori subordinati, ma nell’interpretazione giuridica, oltrepassando il cosiddetto nomen juris, bisogna dare prevalenza al «concreto momento attuativo del rapporto di lavoro».
La corte costituzionale ha stabilito una serie di criteri per determinare la natura subordinata di un prestazione lavorativa (a prescindere dal contratto che la definisce, dal nomen juris, appunto) e gli specializzando rientrano a pieno titolo sotto la categoria di lavoratori subordinati: la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario di lavoro, la distinzione obbligazione di mezzi‐obbligazione di risultato, la personalità della prestazione, l’inserimento nell’organizzazione del datore di lavoro; il semplice fatto che si tratti di un contratto di formazione-lavoro (quindi un contratto di apprendistato) implica la natura subordinata del rapporto. La disamina giuridica smonta il sofisma della rilessicalizzazione e mostra i lavoratori per quello che materialmente sono: con diritti relativi a orario di lavoro, ferie, assenze per motivi personali, impedimenti temporanei, eccetera.
Cosa sta accadendo oggi? Il 23 marzo 2020 è la data affissa su un documento fatto circolare dalla presidenza nazionale del Sistema Sanitario concernente le modalità di reclutamento di medici specializzandi e specialisti per l’emergenza sanitaria di Covid-19. I canali di reclutamento degli specializzandi sono due:
- Contratti a tempo determinato di massimo 32 ore settimanali, riservati a specializzandi dell’ultimo anno della scuola di specializzazione «collocati utilmente in graduatorie di procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza del ruolo sanitario nella specifica disciplina», ossia a specializzandi che praticamente sono già medici specialisti. In questo caso il contratto sospende quello che lo specializzando normalmente ha con l’università, ossia la fruizione della borsa di studio.
- Incarichi di Lavoro Autonomo, contratti Co.Co.Co. di 6 mesi che si sovrappongono al contratto di formazione specialistica stipulato con l’università. Come prevedibile questo secondo canale è stato il più utilizzato, soprattutto dopo il d.l. del 9 marzo, che ha reso possibile l’assunzione di specializzandi anche dell’ultimo e penultimo anno, ma rigorosamente tramite questo secondo canale, e addirittura, con un’ulteriore deroga, l’assunzione di neolaureati.
Cosa significa tutto questo? In primo luogo l’impiego di contratti per lavoratori autonomi rispetto a prestazioni lavorative che, come abbiamo visto, sono platealmente subordinate, è un trucco tristemente noto e diffuso (si pensi alle famose “finte partite IVA”) per sfruttare lavoratori e lavoratrici oggettivamente parasubordinati scavalcando una rilevante porzione di diritti che non pertengono ai lavoratori autonomi. Un lavoratore autonomo non ha vincoli di sede e di orario, perché è lui stesso a deciderli, di conseguenza non ha giorni di ferie, non ha indennità di rischio, in quanto completamente responsabile del luogo in cui lavora e dell’orario in cui non lavora. Questa libertà di determinare l’orario di lavoro diventa la beffa più inquietante, per specializzandi i cui turni lavorativi hanno superato anche le 50 ore a settimana nei momenti più duri dell’emergenza. Mancano le assenze non sono retribuite, le ferie, non esiste indennità di rischio e dopo dieci giorni di assenza il contratto viene automaticamente revocato. La seconda cosa ci riporta all’altra faccia del ruolo di specializzando, quella di studente in formazione. Il Servizio Sanitario Nazionale di uno dei paesi più sviluppati al mondo non era minimamente pronto ad affrontare un’emergenza sanitaria; questo concerneva in primo luogo gli spazi: mancando posti letto per la terapia intensiva, si è riaperto un buon numero di ospedali e nosocomi – forse non così superflui, quindi? Ma l’impreparazione del Servizio Sanitario Nazionale è stata plateale anche rispetto al personale sanitario; qui entrano in gioco gli specializzandi e le specializzande.
Una sentenziosa rassicurazione pronunciata dal presidente della regione Veneto Luca Zaia, in riferimento al primo sciopero di specializzandi indetto a Padova da Mespad il 4 maggio (ne abbiamo parlato qui), recita: «Gli specializzandi sono una colonna portante di questa emergenza, abbiamo fatto battaglia per coinvolgerli e aumentare le borse di studio. Li abbiamo voluti in prima linea e sono preziosi. Gli specializzandi: se non ci fossero dovrebbero inventarli!».
Un’invenzione incredibile davvero, quella dei lavoratori senza diritti costretti ad accettare il contratto più scalcinato e ingiusto per lavorare. La questione della formazione mostra le sue controversie proprio se la si fa reagire con quella del lavoro: anzitutto, perché mancavano lavoratori e lavoratrici assunti ma c’era un bacino sterminato a cui attingere semplicemente con qualche deroga della normativa, nonostante il fatto che fossero proprio gli specialisti (ad esempio rianimatori) a mancare? Se si arriva ad assumere neolaureati significa che mancano specialisti e specializzandi effettivi ma ce ne sono in potenza: è il famoso “imbuto formativo”. Quest’anno le borse di specializzazione disponibili sono 8000, una stima dei candidati (laureati in medicina e abilitati alla professione) ne conta circa 23 000. I tagli alla sanità degli ultimi anni hanno intaccato prepotentemente anche i fondi per la formazione specialistica, e nel momento del bisogno la soluzione offerta è stata quella dei contratti Co.Co.Co.; ci rimettono tanto i lavoratori quanto i pazienti: non ci si improvvisa specialisti.
Gli scioperi e le mobilitazioni dell’ultimo mese denunciano in realtà una problematicità strutturale; il casus belli del primo sciopero, quello di Padova del 4 maggio, sono state le dichiarazioni del direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera di Padova, Daniele Donato, che aveva accusato gli specializzandi e le specializzande di essere un fattore di rischio sanitario rispetto alla diffusone del virus per i momenti di socializzazione extra-lavorativa. La richiesta degli scioperanti sembrava ridursi solo a delle scuse formali, all’esibizione dei dati che smentivano l’accusa e a un riconoscimento del ruolo cruciale svolto dagli specializzandi durante l’emergenza e nella sanità in generale. A ben vedere, però, la categoria di riconoscimento coglie precisamente il punto. Le mobilitazioni non si sono fermate quel 4 maggio, ma si sono estese a un momento organizzativo di portata nazionale, che ha visto una delle sue prime date sempre a Padova (ne abbiamo parlato qui).
Il riconoscimento che viene preteso è quindi tanto come figure lavorative quanto come studenti in formazione, senza pensare che i diritti si possano escludere l’uno con l’altro in base al contesto. I medici in formazione chiedono un contratto collettivo Nazionale della formazione medica e una riforma complessiva della formazione, volta ad eliminare l’imbuto formativo per raggiungere un rapporto 1:1 tra laureati e posti disponibili per la specializzazione tanto nella medicina generale quanto in quella specialistica; tutto questo con la prospettiva di un Sistema Sanitario capace di coprire il reale fabbisogno di salute della popolazione e volto specificamente a questo fine.
1 thought on “Né studenti né lavoratori. Specializzandi in bilico”
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