25 aprile 2020. 70 donne e uomini si radunano in piazza Azzurri d’Italia, quartiere Arcella. Il morbo infuria, il pan ci manca: Solidarity Action dentro il coordinamento CSV ha organizzato una grande operazione di distribuzione di aiuti economici alle famiglie in difficoltà. Coordina Claudio Locatelli, ex combattente in Rojava (Nord Siria), sulla maglietta la bandiera italiana e le mostrine dello YPG; al collo un fazzoletto partigiano. L’operazione è intitolata a Lorenzo Orsetti, Orso, caduto lo scorso anno combattendo per la libertà e l’autodeterminazione del popolo Curdo. I 70 volontari indossano delle pettorine targate Alì, la catena di supermercati che ha contribuito alla solidarietà con una cospicua donazione.
Il coronavirus ha agito come un reagente sulla società. Nella situazione precedente, quella che adesso tendiamo a ricordare come normalità, tutte le infinite problematiche economiche, sociali, soggettive, politiche formavano un brusio di fondo, un po’ gracchiante, a volte stonato: serviva un orecchio attento per capire che succedeva. L’emergenza ha fatto esplodere la situazione mettendo tutti – gruppi organizzati, associazioni, singoli, istituzioni – davanti alla necessità di fornire una risposta, all’inizio nel breve tempo dell’emergenza assoluta, poi in modo più programmatico.
Ci troviamo a lanciare Seizethetime proprio in questo momento, in cui abbiamo visto accadere attorno a noi molte cose interessanti, prima inimmaginabili. Fra le altre, abbiamo deciso di raccontare in una serie di puntate le scelte di alcuni soggetti organizzati, che a Padova operano al di fuori delle reti istituzionali, posti davanti all’emergenza.
Prima di tutto, però, bisogna mappare il contesto.
Padova quest’anno era la capitale europea del volontariato. A partire da una diffusa e capillare struttura associazionistica, la città ha presentato la propria candidatura e ottenuto il riconoscimento, che significa (anche) ghiotte opportunità di sviluppo economico. Quando si parla di volontariato, oggi, si fa in realtà riferimento a tutto il terzo settore, cioè il non pubblico e non privato. In esso sono fatte confluire associazioni laiche e cattoliche, culturali e assistenziali, ma anche imprese sociali, cooperative e fondazioni – che, grazie alla propria ragione sociale, ottengono sgravi fiscali anche ingenti e facilitazioni. Uno stesso termine, inattaccabile, comprende il volontario della Caritas e la cooperativa che sfrutta i lavoratori delle case di riposo e taglia sulla qualità del cibo dei nonni.
Per l’occasione è stata creata una struttura organizzativa che vedeva il comune occupare una delle tre punte, affiancato dal CSV (centro servizio volontariato, cui fa capo lo sfaccettato mondo dell’associazionismo padovano) e dalla Diocesi. Nelle conferenze di preparazione si è sentito davvero di tutto, dalla riflessione sul ruolo politico del volontariato, portatore di un modello di società diverso, al ragionamento di Corrado Passera sulla sua start-up bancaria, che svolge il suo servizio civico fornendo credito alle nuove aziende (e puntando a 300 mln di fatturato). Alla prova del Coronavirus, tuttavia, poter contare su una struttura preesistente è tornato certamente utile: il progetto annuale di capitale europea è stato convertito in Per Padova noi ci siamo. Cosa è successo nei mesi scorsi?
In un primissimo tempo, si porta la spesa a casa di persone, soprattutto anziani, che non possono o vogliono uscire di casa, ma che pagano di tasca propria i generi acquistati. Nasce la rete di volontari coordinata dal CSV, che ad oggi conta 1600 iscritti. Molti, più o meno organizzati, si attivano sul territorio, anche se in mezzo alle pesanti restrizioni al movimento personale. La Caritas intensifica le sue attività
In un secondo momento, a fine marzo, il governo stanzia 400 milioni per aiuti alimentari diretti alle famiglie, appaltati ai sindaci (Conte: «I sindaci sono le nostre sentinelle»). A Padova, destinataria di circa un milione, sono stati emessi dei buoni spesa, distribuiti attraverso la rete del CSV, che una dopo l’altra ingloba quasi tutte le esperienze di autorganizzazione presenti sul territorio, fornendo la coordinazione cittadina.
Nel frattempo viene attivato un crowdfunding parallelo con 184.000 euro di obiettivo, circa un terzo affidato a donazioni private, destinato a supportare i costi dell’organizzazione dei volontari, fornire generi alimentari e non alle famiglie in difficoltà, molti dei quali reperiti tramite privati, donazioni e sponsor (in primo piano Alì, che quindi si fa pubblicità con tanto di logo sulle pettorine). Inoltre, è attivata la possibilità della spesa sospesa, per la quale chi va nei supermercati che aderiscono all’iniziativa può contribuire lasciando un contributo economico o dei generi alimentari a lunga conservazione che poi la catena di negozi provvederà a distribuire, aggiungendo a volte una parte a proprie spese. A partire dal 4 maggio, tutta la solidarietà che a Padova passa dall’organizzazione del CSV impiega queste risorse.
Questo sistema negli scorsi due mesi ha consentito di contenere l’emergenza alimentare sostenendosi, economicamente, sulla distribuzione di denaro governativa prima, e in un secondo momento contando sulla carità di grossi attori economici. D’altra parte, però, la condizione che ha reso possibile la distribuzione e il funzionamento di questa struttura è il sostegno popolare: dei tanti singoli che si sono messi a disposizione, dei cattolici organizzati in varie forme, dell’associazionismo, di alcuni gruppi della sinistra padovana. Proviamo a concentrarci su questi.
la condizione che ha reso possibile la distribuzione e il funzionamento di questa struttura è il sostegno popolare
Nei mesi scorsi si è parlato molto della differenza fra volontariato e mutualismo, l’ultima volta in occasione dello sgombero dell’ex Macello (qui un documento prodotto dal collettivo Catai/Berta di qualche tempo fa). A Padova sono nate, negli ultimi dieci o quindici anni, una serie di realtà che fanno dell’attività sociale la propria forma di politica: le palestre popolari, le associazioni sportive antirazziste, la Cucina Brigante, il DES, la Casetta Berta cui parte della redazione ha partecipato. Facciamola breve: fare mutualismo significa fare attività sociale con l’idea che non basti aiutare, ma che sia necessario cambiare le condizioni che rendono necessario l’aiuto. Il lavoro fatto è stato fondamentale. In un momento di crisi potenzialmente esplosivo esso ha consentito di mettere una toppa a una situazione fin troppo drammatica. Non si sa cosa succederà adesso: già si sentono molte voci, per adesso ancora in sordina, sulla insufficienza della carità privata, sulla necessità di un intervento pubblico per gestire la situazione. Alcune famiglie sembra stiano rifiutando i pacchi: cosa se ne fanno cinque persone di un cesto di aiuti e alimentari del valore di 15/20 euro dallo Stato (così in molti leggono la cosa)? Bisogna pagare le bollette, l’affitto, i pannolini, e il lavoro non c’è.
Se il covid (speriamo) se ne andrà, le contraddizioni che preesistevano non solo restano, ma si aggravano. Possiamo sempre puntare a prendere i soldi che Alì e gli altri non hanno dato – il vecchio tarlo della patrimoniale si è fatto sentire nei mesi passati; nel frattempo, nelle prossime puntate proveremo a sentire alcune voci per capire che cosa si è imparato dagli ultimi mesi.