Il primo maggio 2019 l’assemblea cittadina di Potere al Popolo! apre a Padova la Casetta del Popolo “Berta”, un luogo di solidarietà e organizzazione popolare. Lo spazio ha ospitato fin da subito moltissime attività, tutte gratuite, la maggior parte delle quali a carattere mutualistico. “Mutualismo” per noi significa partire dai bisogni e dalle necessità degli abitanti di un territorio e cercare di darvi una risposta collettiva, senza paternalismo né assistenzialismo. Significa darsi una mano a vicenda, riconoscendo che i problemi che ciascuno affronta nella propria vita sono comuni a molti e hanno radici sociali. Significa prendere coscienza, nella pratica, del fatto che se uniamo le forze possiamo tanto migliorare fin da subito le nostre condizioni di vita, quanto organizzarci e fare pressione dal basso perché si produca un cambiamento ai livelli più alti della società.
Nel contesto della profonda crisi economica, sociale, politica e culturale che stiamo attraversando da anni, crediamo che con il mutualismo si possano costruire comunità solidali e resistenti, capaci sia di rompere il muro dell’individualismo, della solitudine e della rassegnazione, che di contrastare concretamente l’impoverimento diffuso e il venir meno dei diritti, la crescita delle disuguaglianze e delle discriminazioni, la rovina dei territori e dell’ambiente. In tempi come questi, in cui “la politica” è percepita come sempre più irrimediabilmente compromessa e distante dalla vita della stragrande maggioranza delle persone, crediamo sia innanzitutto da qui che bisogna ripartire per dimostrare che è possibile cambiare le cose, che non è vano o inutile lottare.
Le pagine che seguono sono un primo bilancio, provvisorio, di questi primi mesi della nostra Casa del Popolo e derivano dal desiderio di condividere le riflessioni che ci hanno suscitato, e che ogni giorno ci guidano nella pratica. Vogliamo far dialogare quest’esperienza con altre, sia che esistano da tempo, sia che debbano ancora nascere. Crediamo infatti che, quando tutt’intorno sembra avanzare soltanto la barbarie, ogni segnale in controtendenza debba essere valorizzato. Dal momento che ogni esperienza può contenere elementi da generalizzare e da cui trarre spunto, speriamo, così, di poter dare un nostro utile contributo.
Uno sguardo nel complesso / Qui ed ora
Facciamo un passo indietro. Il nostro collettivo non nasce con Berta: da più di tre anni portiamo avanti il Catai, uno spazio politico e culturale situato nel centro di Padova, città universitaria, e frequentato soprattutto da giovani, in larga parte studenti, per rispondere a bisogni di riflessione, aggregazione e politicizzazione. Necessario, ma non sufficiente: per incidere davvero non è possibile limitarsi al contesto studentesco, che pure è fondamentale e che abbiamo sempre cercato di connettere con tutti gli altri ambiti della vita sociale e cittadina. Per la sua collocazione in città e per la composizione di chi lo frequenta, in Catai le attività mutualistiche (uno sportello contro lo sfruttamento sul lavoro, uno di supporto a migranti e richiedenti asilo, unʼaula studio) hanno di fatto avuto un ruolo secondario, proprio nel momento stesso in cui ci facevano comprendere la loro importanza in termini generali e ci imponevano l’urgenza di un salto di qualità.
La Casetta del Popolo “Berta” si trova in Arcella, il quartiere più popoloso e multietnico di Padova, per molti soltanto un grande dormitorio. La riflessione che ci ha portati qui è semplice, quasi banale: il nostro soggetto di riferimento vive qui. Chi fa fatica ad arrivare a fine mese, chi fa turni su turni anche i giorni festivi, chi è in cerca di lavoro, chi studia e lavora, i nuovi proletari, le famiglie immigrate, noi stessi: la classe lavoratrice vive qui, ed è qui che dobbiamo stare.
Chi fa fatica ad arrivare a fine mese, chi fa turni su turni anche i giorni festivi, chi è in cerca di lavoro, chi studia e lavora, i nuovi proletari, le famiglie immigrate, noi stessi: la classe lavoratrice vive qui, ed è qui che dobbiamo stare
L’Arcella è un quartiere con molte specificità. La ferrovia lo separa dal centro e ci abitano più di 40.000 persone, in zone molto diverse fra loro. Alcune aree sono interessate da una prima ma consistente gentrificazione, mentre altre scontano una forte mancanza di servizi, di spazi aggregativi al di fuori delle parrocchie, delle sale bingo o slot e soprattutto dei bar. Il tessuto comunitario tende a sfaldarsi ed è segnato, da un lato, soprattutto in alcune zone edificate negli anni ʼ60-ʼ70, da unʼetà anagrafica elevata, dall’altro, da un ricambio generazionale trainato quasi esclusiva- mente dal ricambio etnico, che invece interessa il quartiere nel suo complesso e viene ciclicamente indicato come la causa del “degrado” dell’intera area.
Se alcuni tratti di questa fotografia appartengono tipicamente al tessuto urbano, molti altri sono propri della sterminata provincia del Nordest. Qui da noi, la maggior parte delle persone vive nella grande periferia diffusa. La città di Padova ospita 210.000 residenti, il resto della provincia 726.000 in paesi medi o piccoli, che spesso però giungono a sfiorarsi fra loro o addirittura a fondersi, senza una vera soluzione di continuità, in un costante intrecciarsi e sovrapporsi di aree produttive, commerciali e residenziali. Da rilevare, ovunque, è il modo specifico in cui si declina la centralità sociale della vita lavorativa, cui fa da contraltare una forte chiusura nella sfera individuale o familiare. Se la disoccupazione ha morso meno qui che in altre parti d’Italia, il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’impoverimento generalizzato e lʼincapacità di affrontare collettivamente i problemi sono ugualmente gravi, anche per la mancanza di comunità di riferimento e riconoscimento. Il venir meno del mondo contadino e delle sue forme comunitarie, di cui non abbiamo alcuna nostalgia, ha riversato l’ideologia del fasso tutto mi nel Veneto della piccola e media impresa, lasciando spazio libero (e terreno fertile) all’individualismo più spinto ed orgoglioso, con tutto il suo portato di auto-sfruttamento, auto-colpevolizzazione, solitudine. In tempi di crisi tutto ciò presenta il conto, e se vi aggiungiamo la tendenza sempre più drastica alla privatizzazione dei servizi essenziali, sanità e trasporti in primis, otteniamo il quadro di un territorio tutt’altro che idilliaco, caratterizzato piuttosto da numerose tensioni e contraddizioni.
La Casetta del Popolo “Berta” nasce in questo contesto, proprio per inserirsi nelle sue contraddizioni e aprire altri orizzonti di vita e socialità. Una casa del popolo, uno spazio sociale, è infatti un luogo dove sperimentare forme dello stare assieme che creino comunità contro l’isolamento, che facciano leva sulla cooperazione anziché sulla competizione, che sfruttino ogni mezzo a disposizione per rispondere concretamente – denunciandoli per quello che sono – ai problemi creati da un sistema fondato sul profitto privato e lo sfruttamento.
Se non fai non sai (e non fai)
Nello stendere queste riflessioni vogliamo rispondere a un interrogativo che sorge spontaneo in chi, condividendo il ragionamento fin qui delineato ed essendo però a conoscenza soltanto di esperienze di mutualismo attive in tutt’altri contesti, si scontra con la durezza della nostra realtà territoriale: è possibile il mutualismo a Nordest?
La domanda si può dividere in due: 1) Ha senso avviare, qui, attività di mutualismo? Funzionano? 2) È possibile dare a queste attività un carattere politico più generale? Naturalmente, per arrivare alla seconda domanda bisogna innanzitutto affrontare la prima, perché della teoria senza pratica non ce ne facciamo nulla. Alla luce degli scorsi due mesi e mezzo, crediamo che la risposta debba essere positiva. Centinaia di persone sono passate dalla Casetta del Popolo, prendendo parte alle diverse attività. E non tanto a quelle culturali, che comunque ne costituiscono la parte più piccola, ma soprattutto a quelle mutualistiche, di cui ora parleremo.
Dalla prima settimana di occupazione abbiamo attivato:
Doposcuola, due ore e mezzo per tre pomeriggi a settimana. Al termine dell’anno scolastico risultano iscritti 50 bambini e ragazzi di elementari e medie, con una frequenza media di 20-25 presenze per incontro. Dopo la fine delle lezioni negli stessi orari il doposcuola è stato convertito in laboratori vari condotti gratuitamente da compagne e compagni di Potere al Popolo o di altri gruppi padovani (Murga, Cucina Brigante) e da altri volontari.
Sportello psicologico, una volta a settimana. Con la collaborazione di due giovani psicoterapeuti che lavorano nel quartiere abbiamo aperto uno sportello di ascolto, indirizzamento e aiuto psicologico, che è stato frequentato fin dal primo giorno. Lo sportello collabora attualmente anche con alcune cooperative sociali attive nella zona e non intende sostituirsi ai servizi esistenti, rappresentando piuttosto un punto di osservazione ed elaborazione indipendente, estraneo ad ogni logica reificante, disumanizzante e mercificante in tema di salute mentale.
Distribuzione frutta/verdura e vestiti, ogni due sabati. Recuperiamo frutta e verdura che al mercato ortofrutticolo verrebbe altrimenti buttata e allestiamo un banchetto, affiancandolo ad uno di indumenti usati. Chiunque passi può prendere ciò che vuole lasciando unʼofferta anche simbolica. L’afflusso è variabile ma sempre positivo, alle volte riusciamo a redistribuire anche due macchine di recupera.
Pranzo sociale, ogni due domeniche. Per favorire la vita comunitaria, organizziamo un pranzo popolare cui hanno partecipato fino a cinquanta persone per volta: pare che cuciniamo bene! Il pranzo è un momento di convivialità ma anche di discussione, fondamentale per conoscersi ed entrare in contatto con chi, nel quartiere, cerca forme di socialità alternativa ed è disponibile a costruirne di nuove.
Sportelli sociali, una volta a settimana ciascuno. È attivo uno sportello per le problematiche sul lavoro (lettura busta paga, informazioni su contratto e diritti, …) e uno per le problematiche del quartiere, che ha visto alcuni accessi soprattutto in tema di sfratti e altre questioni abitative.
Corsi vari, una volta alla settimana. In base alla disponibilità di persone competenti, abbiamo organizzato un corso di yoga e uno di spagnolo. Dall’autunno li riproporremo, affiancandone degli altri.
Da giugno sono partite due nuove iniziative:
Sportello di salute popolare, una volta a settimana. Lo sportello è gestito da qualche membro del collettivo insieme a giovani dottori/esse o infermieri/e volontari/e. Svolge funzioni di indirizzamento e orientamento ai servizi presenti sul territorio, di confronto e prevenzione sui temi legati alla salute e all’accesso alle cure, di monitoraggio e inchiesta sui servizi sanitari disponibili. Periodicamente, organizza anche delle giornate di screening medico di base in vari luoghi del quartiere: alla prima di queste giornate sono passate 90 persone, consentendo un ampio dialogo.
Corsi di italiano L2, sei volte a settimana. Sono attivi sei corsi estivi di italiano che hanno luogo in molti momenti diversi, ai quali partecipano in totale circa 40 persone non madrelingua, seguite da dieci volontari. Il corso è molto frequentato anche perché durante lʼestate questi servizi sono del tutto assenti in città.
Naturalmente anche le attività di discussione politica e culturale hanno la propria parte: abbiamo ospitato le figlie di Berta Cáceres (attivista honduregna uccisa nel 2016, cui la Casetta è intitolata), presentato con una delle autrici Femminismo per il 99%, discusso collettivamente con lavoratori e lavoratrici di diversi settori, organizzato eventi musicali aperti al quartiere. Una sera a settimana, inoltre, proiettiamo un film – anch’esso gratuitamente, come ogni altra cosa.
Con qualche nostro stupore, nessuna di queste attività è andata male. Nessuno sportello senza utenti – anche quando mal pubblicizzato per difficoltà organizzative –, nessun evento deserto. Rispetto al senso di proporre attività mutualistiche nel Nordest, ci sembra che questo breve resoconto sia sufficiente ad affermare che l’esperimento sta riuscendo.
Come si fa, cosa si impara, dove si va?
Proviamo ora a rispondere alla seconda domanda, partendo da alcune considerazioni su chi frequenta la Casetta del Popolo e su come essa funziona, per così dire, dall’interno.
Innanzitutto, alle attività mutualistiche la presenza di persone di origine straniera è solitamente maggiore, in percentuale, rispetto a molti altri contesti cittadini. Le ragioni naturalmente sono varie: si tratta di abitanti del quartiere che come reddito si collocano nelle fasce medio-bassa o bassa, di coloro che più soffrono discriminazioni e barriere sociali (troppo spesso anche istituzionali), e che maggiormente ricercano spazi di socialità per aprire le proprie reti relazionali. D’altra parte, per scalfire l’individualismo connaturato alla società veneta ci sarà bisogno di molto lavoro, e questo è uno dei nostri obiettivi. Ad esso se ne affianca un altro forse ancor più decisivo: rispondere alla xenofobia e alla guerra tra poveri attraverso lo stare fianco a fianco e l’unirsi intorno a comuni bisogni sociali di persone di nazionalità e origini diverse.
A dare la disponibilità come volontari/e, invece, sono soprattutto giovani studenti/esse e lavoratori/trici di origine italiana, provenienti però in gran parte da fuori provincia. Insieme agli immigrati internazionali sono coloro che hanno meno legami storici con la città e meno reti familiari, ma dispongono spesso di grandi risorse mentali e materiali (specializzazione in un certo campo, professionalità tecnica o artigianale, maggior tempo libero a disposizione, esperienze di ricerca, lavoro o attivismo in altri contesti). Evidentemente ciò comporta, da una parte, il rischio di chiudersi in cerchie semi-isolate e incapaci di relazionarsi effettivamente con la realtà locale, dallʼaltra, però, le potenzialità racchiuse nell’incontro con persone di grande valore pronte ad investire tempo ed energie in un progetto condiviso.
Ad ogni modo nessuna delle attività in essere, e tanto meno tutte insieme, sarebbe stata possibile senza che molte altre persone si aggiungessero al gruppo che ha inizialmente dato vita alla Casetta. Ogni attività ha infatti necessità umane, tecniche e logistiche: per il doposcuola non basta una persona, per gli sportelli servono medici, giuristi, psicologi, ecc. La risposta in termini di attivazione spontanea e disponibilità a contribuire è uno dei dati più positivi ed essenziali di questa esperienza. È fondamentale tenerne conto sia in quanto è parte integrante del suo senso complessivo, sia poiché troppo spesso – lo diciamo per esperienza diretta – si corre il rischio di non provare neanche ad avviare alcune iniziative perché “mancano le forze”: mai sottovalutare la generosità di chi si riconosce in una prospettiva comune.
mai sottovalutare la generosità di chi si riconosce in una prospettiva comune
Ci sembra particolarmente importante notare come le persone contribuiscano con entusiasmo soprattutto quando è chiaro che cosa possano fare: abbiamo organizzato degli incontri specifici per ogni attività, preceduti da chiamate per volontari, nei quali era indicato con chiarezza che tipo di contributo era richiesto e a quale scopo. I riscontri hanno superato ogni nostra aspettativa: sia il doposcuola che il corso di italiano L2 sono gestiti da due gruppi distinti di 10-15 persone ciascuno, in larghissima parte esterne al gruppo iniziale; gli sportelli medico e psicologico sono potuti partire solo grazie a contributi esterni, dato che fra noi non ci sono né medici né psicoterapeuti formati.
Le attività di mutualismo hanno una doppia caratteristica, di fine ma anche di mezzo. Di fine perché rispondono a bisogni concreti, aiutando a migliorare la vita quotidiana delle persone, che possono inoltre incontrarsi, riconoscersi in ciò che ci unisce e affratella, scoprire la forza dell’agire collettivo. Ciò vale tanto per chi si rivolge alle attività che la Casa del Popolo organizza, quanto per chi le rende possibili: questa reciprocità costituisce uno spazio di uso comune, la base di una reale comunità e la caratteristica principale di un’autogestione o autogoverno. Di mezzo perché ogni attività mutualistica è un formidabile strumento di conoscenza e politicizzazione: attraverso ognuna di esse – dagli sportelli, ai corsi, ai momenti di socialità – stiamo conoscendo il territorio sempre più a fondo nelle sue problematiche, nei suoi punti di forza e di debolezza dal punto di vista delle classi popolari. Detto altrimenti, mutualismo è anche inchiesta: comprensione della realtà e capacità di individuare i punti critici (e le proposte) intorno a cui organizzare denunce, rivendicazioni e lotte più complessive. Proprio in questo senso, stiamo costruendo unʼindagine sulle condizioni di vita e di lavoro da rivolgere al quartiere attraverso questionari e iniziative pubbliche, con l’obiettivo di integrare e sistematizzare le conoscenze raccolte con tutte le attività e, inoltre, di raggiungere un numero sempre maggiore di persone.
Tenendo insieme tutti questi piani, crediamo sia possibile dare una risposta positiva anche alla seconda domanda sul mutualismo a Nordest. È possibile dare a queste attività un carattere politico più generale? Noi pensiamo di sì, ed è questa la direzione lungo cui ci muoviamo. La sola risposta adeguata a una simile domanda, ad ogni modo, è quella che si mostra nella pratica, alla prova dei fatti, ed è per questo che gli obiettivi non possono rimanere nel vago, bensì devono essere concreti e messi a verifica. Tentiamo dunque di far sì che ciascuna attività abbia una propria progettualità che tenga in considerazione la dimensione collettiva complessiva, e che ogni singola/o volontaria/o (e tendenzialmente ogni persona che frequenta la Casetta del Popolo) sia consapevole del progetto nella sua interezza e con il tempo possa contribuire direttamente alla sua gestione e direzione. Ci sono buoni segnali ma è troppo presto per dire se tutto ciò sta funzionando: la risposta definitiva rimane aperta, da costruire giorno per giorno.
Il problema dellʼegemonia
Alle ultime elezioni le destre hanno confermato il proprio dominio politico e ideologico in Veneto. Al netto del passaggio da Forza Italia alla Lega come forza trainante, in regione non esiste alcuna opposizione politica istituzionale a questa egemonia. La sinistra radicale è disorientata ed impegnata tutt’al più a sopravvivere, ciò anche per via della mancanza di grandi mobilitazioni e, nel caso dei partiti, di una crisi che ha radici lontane. In questo scenario ci pare necessario elaborare e sperimentare una diversa prassi politica, né politicista né esclusivamente movimentista, che immagini la propria azione a partire dal problema del radicamento nei territori e nei bisogni della classe lavoratrice.
Perché usare questo lessico? Perché coglie nel segno: chi sostiene la società sono le lavoratrici e i lavoratori: per se stessi, per i propri figli e per i propri genitori. Noi dobbiamo fornire delle risposte verosimili e verificabili che partano da qui e che misurino la propria tenuta e credibilità con il metro di chi, per vivere, deve lavorare. Non c’è altro modo per contribuire all’affermarsi di un’alternativa alla falsa contrapposizione che caratterizza questa fase storica, quella tra capitalismo neoliberista “progressista” (dittatura dei mercati finanziari + diritti civili e antifascismo di facciata) e capitalismo neoliberista reazionario (finta opposizione alla dittatura dei mercati finanziari + naziona- lismo, razzismo, sessismo).
lʼalternativa però non basta immaginarla, cosa di per sé già complessa. Bisogna produrla, almeno in parte, nelle cose
Lʼalternativa però non basta immaginarla, cosa di per sé già complessa. Bisogna produrla, almeno in parte, nelle cose. Bisogna costruire degli spazi, anche minimi, in cui siano visibili e tangibili anticipazioni di un altro modo di vivere e gestire le cose, a confronto con cui le forme di socialità individualiste e competitive in cui il nemico del povero è il più povero si rivelino come parziali e storiche. Se una cosa è storica vuol dire che è prodotta dallʼuomo, si può cambiare. Così, è storica la mancanza di diritti e tutele per chi lavora, ma anche le forme patriarcali e misogine della nostra società, le discriminazioni razziali: tutto si può prendere in mano e cambiare.
Per fare questo serve unʼegemonia diversa, che sappia scalzare quella delle destre, in regione – ma anche nel Paese – così forte. Per provarci, bisogna proporre contemporaneamente (e concretamente) azione politica, denuncia sociale, riflessione collettiva, forme di mutualismo, aggregazione, organizzazione, una cultura diversa e modi nuovi di relazione fra le persone. Tutto assieme, non si scappa.
La Casetta del Popolo “Berta” può pensare in questa direzione perché non è e non si concepisce come una singola esperienza, come unʼisola felice in Arcella, ma nasce all’interno di una progettualità politica più ampia, che per noi prende il nome di Potere al Popolo!. Tutte le attività di cui sopra non mirano soltanto a rispondere a bisogni immediati o a creare una comunità circoscritta, ma si inseriscono in un orizzonte più complessivo e concorrono a svilupparlo, a concretizzarlo. Una prassi politica che si voglia radicale, materialista e dialettica, cioè che intenda partire dalle condizioni materiali di vita e dalle ideologie sedimentate nel senso comune per provare a cambiare il mondo, deve infatti contrastare ad ogni altezza la tendenza alla parcellizzazione e all’isolamento che vige nella società. Occorrono le sperimentazioni locali, situate e radicate, ma occorre anche un orizzonte comune che dia forza e respiro alle molte esperienze sparse nei territori più diversi, affinché a partire da molteplici esperienze di resistenza disseminate in ogni dove si possa, al momento opportuno, passare al contrattacco.
Non pensiamo di avere alcuna verità in tasca, tranne una, che ci guida ad ogni passo: il pensiero segue le difficoltà e precede lʼazione. Ovvero, parafrasando questa frase di Brecht, se non fai non sai, e non fai. Proprio perché non esiste nessuna “ricetta per la rivoluzione”, l’unica possibilità è partire da un punto e mettersi alla prova. Per noi il mutualismo è proprio quel punto, un’azione politica basata sul radicamento e l’inchiesta – sul fare e il conoscere facendo – attraverso cui, a nostro parere, si può provare a tessere le fila per costruire un’altra egemonia a quella delle destre e del pensiero unico neoliberista, anche qui ed ora, nel profondo Nordest leghista. Con umiltà e determinazione, senza farsi illusioni ma anche senza scoraggiarsi.
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