intervista a Gianni Belloni
In recenti articoli pubblicati su vari quotidiani regionali Gianni Belloni ha raccontato di come si stia rivelando la presenza di aziende mafiose nei cantieri per i mondiali di sci di Cortina 2021. Da tempo Belloni si occupa di come l’economia illegale mafiosa – camorristica, ndranghetistica – abbia assunto un ruolo economico nel Nordest e si sia saldata con pratiche di lungo corso nel territorio, quali elusione ed evasione fiscale, o sfruttamento della manodopera. Un ruolo fondamentale in tutto questo è giocato da un complesso mondo professionisti, consulenti e figure simili che, agendo da ‘lubrificante’ nelle diverse relazioni, permettono l’ampliarsi di simili fenomeni. Abbiamo intervistato l’autore per approfondire ciò che sta accadendo.
Puoi provare a spiegarci cosa sta succedendo in relazione ai mondiali di Cortina?
Dunque, la vicenda di Cortina e dei lavori per i mondiali è una vicenda che può avere un suo interesse. Ne sappiamo qualcosa grazie a un’interdittiva antimafia che è stata emessa dalla prefettura di Mantova, nei riguardi di alcune ditte che hanno operato “distacco lavorativo” in favore di imprese che lavorano nei tratti stradali per l’ammodernamento della viabilità (Statale 51 d’Alemagna) per Cortina. Noi abbiamo letto e avuto modo di approfondire l’interdittiva che riguarda una di queste imprese, che ha sede legale a Mantova e che è gestita e amministrata da persone incensurate che risiedono a Verona. C’è subito da dire che l’interdittiva prefettizia è uno strumento che viene chiamato “preventivo”, quindi non viene emesso in seguito ad un procedimento giudiziario, un dibattimento, una sentenza, ma si usa in seguito ad indagini di polizia: non ha quindi assolutamente un valore di condanna e di identificazione di alcuni reati, ma è una procedura eccezionale – diciamo pure dalla dubbia legittimità costituzionale – e ha come conseguenza la sospensione e il divieto da parte delle stesse ditte ad accedere a contratti con la pubblica amministrazione. La ratio di questi provvedimenti è data dal fatto che la complessità magmatica del fenomeno criminale mafioso non è associabile solo alla commissione di reati, ma appunto alla loro capacità di interloquire ed essere protagonisti anche all’interno dei mercati legali. Il motivo per cui gli inquirenti – e poi il prefetto di Mantova – hanno deciso di procedere con l’interdittiva è il fatto che all’interno di questa imprese c’erano alcuni personaggi già noti in Veneto, originari di Lamezia Terme, che sarebbero parte della cosca Iannazzo Giampà di Lamezia Terme: cosca che si è già rivelata attiva in questo territorio.
È interessante la modalità con cui questa impresa è entrata all’interno dei lavori per i mondiali: attraverso il dispositivo del distacco lavorativo, che è un dispositivo previsto dalla legge 30 (legge Biagi) e che prevede che un’impresa possa distaccare i propri dipendenti per un periodo di tempo e per alcune mansioni che hanno alcuni contenuti professionali specifici, presso un’altra impresa per eseguire dei lavori. Parlando con il sindacalista che sta seguendo i lavori – il segretario della Fillea-Cgil di Belluno – risulta chiaro come lì non fossero state rispettate le regole del distacco lavorativo, perché le mansioni che stavano seguendo questi operai erano mansioni abbastanza generiche; in più, dallo studio dei contratti, si capiva che si trattava di un distacco farlocco perché questi operai erano stati assunti a tempo determinato ed esattamente per il tempo durante il quale avrebbero lavorato in distacco. Quindi non era previsto un ritorno nell’impresa madre: in realtà si tratta di una forma mascherata di somministrazione del lavoro. E d’altronde può permettere all’azienda distaccante, in questo caso la Garda srl, di non comparire nel ruolo di subappalto dei lavori di Cortina. Questo richiamerebbe in qualche modo il modo di gestione di manodopera da parte di imprese mafiose, che è un ruolo che sta diventando sempre più nitido in qualche modo, anche nello scenario veneto. Per questo e per altro va richiamata la vicenda di Eraclea, dove le imprese orbitanti nel gruppo di Donadio facevano questo molto spesso: erano sostanzialmente un grandissimo e importante meccanismo di allocazione di squadre di operai per le imprese edili del territorio. È una modalità che ha dei riflessi dal punto di vista del disciplinamento della manodopera: quando si è di fronte alla gestione di squadre operaie da parte di personaggi di quel mondo è chiaro che hai di fronte un disciplinamento derivante dal promesso, e alle volte effettuato, utilizzo della violenza. E poi c’è anche l’importazione di squadre di operai da altri territori particolarmente emarginati in termini di esclusione sociale e povertà; per i quali qualsiasi opzione, qualsiasi opportunità lavorativa, diventa oro; e quindi anche una dinamica di consenso sociale. Il fatto di essere quelli che ti portano il lavoro è un dispositivo che ti può assicurare consenso sociale, ad esempio nei territori di provenienza.
Ma questo è successo ad Eraclea? È un meccanismo che funziona molto nelle gare di appalto?
Sì: per quando riguarda Eraclea la manodopera proviene dalla Campania, ma non solo, anche dai paesi dell’est; per quanto riguarda la Garda srl, per questo caso di Cortina, gli operai venivano dalla Calabria. E poi c’è un fattore di convenienza per le imprese appaltatrici, perché hai una compressione del costo della manodopera e quindi è un processo che ti garantisce delle chance in più rispetto agli appalti che sono occupati al massimo ribasso, che possono essere ribassi dal 20% al 30%. I grandi consorzi di imprese che vincono le gare pubbliche con grandi ribassi poi alla fine vanno a rivalersi sui lavoratori tramite i subappalti, l’outsourcing, la gran parte dei lavori viene fatta da soggetti esterni. Questa è, diciamo così, la storia degli ultimi decenni, storia di processi di appalto e subappalto guidati dalle grandi imprese, perché le imprese appaltatrici sono grosse imprese, sopratutto emiliane e lombarde: nel caso di Cortina sono tre imprese riunite in un’associazione temporanea d’impresa che lavorano nel settore dell’impiantistica elettrica, telefonica e delle comunicazioni. È la logica per cui le grandi imprese diventano delle reti di imprese piccole e apparentemente si disgregano, delocalizzano e mettono all’esterno funzioni. È – come lo chiamava Ivan Cicconi, un grande studioso analista dei processi d’appalto delle trasformazioni del mondo del lavoro e dell’impresa soprattutto nel settore edilizio – insomma una sorta di “fuga dalle regole”. Con i crismi formali della legalità ma all’interno di questo intrico incredibile di dispositivi, trucchi e trucchetti che ti danno la possibilità di aumentare i margini di guadagno e diminuire i costi. Nel verificare la posizione di Garda srl gli inquirenti hanno messo in luce diverse irregolarità nella conduzione dei cantieri di Site spa, l’azienda bolognese capomandataria del raggruppamento di imprese che sta svolgendo i lavori: un’azienda con duemila dipendenti, e una solida esperienza nel settore, per cui è davvero difficile capire perché debba richiedere il distacco di una manciata di lavoratori della Garda srl, operai sprovvisti di particolari professionalità. Tra le irregolarità emerse, oltre alla presenza di mezzi d’opera non censiti regolarmente e riconducibili ai distaccati della Garda srl, c’è anche la presenza di maestranze “non presenti nel data base” dell’Inps, che vuol dire presumibilmente impiegati in nero.
Allora gli appalti sono uno strumento di riduzione dei costi ed anche dei problemi legali nella gestione della forza lavoro? Se si scarica verso l’esterno su imprese formalmente scollegate più piccole, le imprese a capo della filiera possono uscirne pulite: delegando gli “affari sporchi” che consentono la riduzione dei costi.
Sì: è un processo di creazione del valore all’interno del quale sembrerebbe che le imprese mafiose, con la loro particolare gestione della manodopera e con le loro particolari funzioni, possano avere un ruolo importante. Questo dispositivo del distacco noi l’abbiamo potuto vedere in questo caso nel distacco a livello nazionale, ma in altri casi, per quanto riguarda per esempio la famiglia Giardino di Verona, si arriva anche alla gestione della forza lavoro con il distacco internazionale, con lavori fatti ad esempio in Danimarca in favore di una grossissima ditta, un’impresa italiana, che utilizza appunto le ditte della famiglia Giardino per dinamiche simili.
Quindi ritorna la questione della gestione della manodopera e del ruolo delle mafie in questo. Ritengo che sia molto importante sottolineare questi aspetti, perché si parla molto del rapporto tra mafie e imprese, si parla molto del rapporto tra mafie e imprenditori. Imprenditori che, in qualche modo, secondo una scala possono essere vittime succubi e secondo un’altra complici, e avviare partnership con imprenditori mafiosi. D’altronde i lavoratori invece sono sempre vittime. Ho l’impressione che questo aspetto del rapporto tra le mafie e il mondo del lavoro non sia stato sufficientemente messo in risalto in questi anni.
Questi sono i lavori per Cortina per l’anno prossimo, per i mondiali di sci; poi ci sarà Milano-Cortina 2026, i giochi olimpici. Zaia e Sala hanno spinto moltissimo… Secondo te cosa dobbiamo aspettarci su questo fronte? Spesso si vedono in questi grandi eventi – ricordo ad esempio Expo con i risultati che abbiamo visti – degli accordi, dei protocolli, proprio sugli appalti. Magari spesso non funzionano e sono solo degli strumenti per dare un’immagine verso l’esterno, verso l’opinione pubblica. In questo caso non mi pare si sia parlato di niente di questo tipo, secondo te cosa ci aspetta?
Mah in realtà per quanto riguarda Belluno, un protocollo di legalità è stato sottoscritto dalla prefettura e dall’Anas per quanto riguarda i lavori stradali… C’è stata sicuramente un’attenzione importante da parte della prefettura di Belluno. C’è all’opera un gruppo interforze che sta monitorando i cantieri, tant’è che queste ditte sono state individuate si è arrivati all’interdittiva, qualcosa sta funzionando. Però è anche vero che i contratti di distacco erano passati anche al vaglio della centrale appaltante i lavori, l’Anas, che li ha autorizzati senza rilevare nulla di anomalo. Un aspetto particolarmente inquietante sono le “rilevanti discrepanze”, come le definiscono gli investigatori, tra quanto comunicato alla banca dati prevista dal Piano per la Legalità sottoscritto dalla Prefettura con Anas Spa e la situazione rilevata nei cantieri. La Site spa ha proseguito i suoi lavori limitandosi a sostituire la Garda srl con una nuova ditta, la General Impianti System e nessun provvedimento, malgrado il Protocollo di legalità lo preveda, è stato preso nei suoi confronti. Allora la questione non è solo di mettere in luce le procedure, i procedimenti, la linearità dei procedimenti e la conformità delle carte e delle posizioni formali, cosa che va fatta ovviamente, ma soprattutto di andare a vedere le condizioni materiali. Sono le condizioni materiali, che poi sono quelle importanti perché riguardano la vita delle persone, le condizioni materiali del lavoro, che devono essere al centro della questione. Molto spesso il problema è quindi che le gare sono al ribasso, che hai il problema dei tempi, hai il problema che devi dimostrare efficienza ,velocità, ecc… e qualcuno alla fine paga questo tipo di dinamiche. Peraltro, ci sono sicuramente dei fortissimi problemi di inefficienza della macchina burocratica. Però l’attenzione verso quella che chiamiamo la “fuga dalle regole” è una tensione che poi si ritorce contro l’obiettivo di fare le cose in tempo e in maniera efficiente. Richiamo il fatto ad esempio che la regione Veneto aveva provato, tra virgolette, a compiere delle opere di manutenzione stradale bypassando la procedura dell’impatto ambientale. E la cosa non le è riuscita perché ovviamente non era formalmente legale, e questo ha fatto perdere due anni di tempo nell’attesa di capire se si potesse o meno fare o non fare la VIA. Ma se si fossero fatte le cose come si deve, invece, i lavori sarebbero dovuti partire prima… La colpa non è solo genericamente della burocrazia, ma è anche di questi tentativi di piegare le regole che poi si ritorcono contro a chi ha tentato.
Se non cambiano anche le condizioni strutturali con cui vengono compiuti questi lavori per i cosiddetti grandi eventi, è difficile che al di là del rispetto anche formale delle richieste ci sia un riscontro materiale. A me veniva in mente quello che dice da tanti anni il movimento NoTav in val di Susa: che scrive TAV=MAFIA in grande, sui versanti montani. È una questione che ha a che fare proprio con la struttura di quel tipo di grande opera, che per come è costruita, per i soldi che impiega e per il tipo di richieste che fa comporta l’ingresso di queste forme di gestione di lavoratori e lavoratrici e in generale di questi meccanismi. Non so se sei d’accordo con me su questo parallelo, magari è un po’ forzato, però che mi sembrava ricordare quello che tu dicevi: al di là del rispetto formale delle condizioni previste dalla legge, se non si vanno poi a verificare effettivamente le condizioni materiali dei lavori e della gestione dei cantieri non si capisce come funziona, e se non si cambiano strutturalmente le condizioni in cui queste cose sono possibili, non ci sono protocolli che tengano.
Sì, anche se i protocolli possono essere comunque degli strumenti utili che hanno ovviamente un senso… è un campo di battaglia. Gli interessi non sono perfettamente componibili, quindi è chiaro che l’azione sindacale è preziosissima da questo punto di vista. Insieme però deve esserci un ruolo attivo dell’opinione pubblica, delle persone sensibili a questi temi e a questi processi. Si tratta, del vedere oltre la strada sistemata o il lavoro compiuto, di guardare anche alla fatica e al sudore, e alle volte allo sfruttamento, di chi quella strada l’ha costruita.
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