di Casa del Popolo Berta Càceres
Con la settimana appena trascorsa si è chiuso il dialogo fra l’amministrazione comunale di Padova e Casetta Berta: è stato comunicato unilateralmente che l’accordo, precedentemente firmato e reso pubblico, sarà stracciato.
Ogni volta che si chiude qualcosa è utile fare il punto e fornire alcuni elementi di riflessione, esplicitando quali erano gli obiettivi e quali i modi. Per una volta, ci prendiamo un po’ di spazio per fare un ragionamento in senso pienamente politico, chiamando su questo al confronto.
In generale la nostra idea di politica si basa dal 2018 su due linee di intervento diretto. Da una parte il mutualismo che non significa solo «bravi ragazzi che fanno cose buone e lavorano per la città», come sostiene con finta ingenuità il sindaco Giordani. Mutualismo significa creare unità e coscienza di classe attraverso l’autosostegno e l’autotutela su tutti i fronti in cui è possibile intervenire, dalla tutela legale al sostegno alimentare. L’altra linea di intervento diretto è il controllo popolare, ossia il tentativo, usando ogni strumento a disposizione, di indirizzare l’operato delle istituzioni in direzione di una maggiore giustizia ed equità sociale, facendo leva proprio su quei diritti che hanno il compito di tutelare e promuovere giustizia ed equità. Come? Imponendo delle pratiche di controllo dal basso, facendo in modo che le nostre rivendicazioni non restino solo sulla carta, o che vedano solo una gestione da parte di pochi tecnici. Entrambe queste linee di intervento si smarcano da quel disinteresse aprioristico nei confronti delle istituzioni che ha contraddistinto il discorso movimentista degli ultimi decenni.
In questo quadro tutti gli strumenti sono buoni quando sono utili. Dalle elezioni alle occupazioni – come nel caso di Casetta Berta – ad evitare che un bene pubblico venga svenduto, come era nei piani dell’ATER. È buona la distribuzione di cibo come è avvenuto durante il lockdown, che ci ha permesso, attraverso il sostegno a 250 persone, di ottenere una piccola, ma significativa vittoria, spingendo l’amministrazione a togliere la clausola della residenza per l’attribuzione dei buoni spesa. È giusto portare avanti con coerenza i confronti istituzionali, quando possono servire ad aprire degli spazi politici in città.
la nostra è una battaglia per il riconoscimento politico di quante e quanti si coinvolgono in azioni di giustizia sociale, contro le disuguaglianze di classe, che interroga anche l’uso degli spazi pubblici in contrasto alla speculazione edilizia, al malgoverno e all’abbandono di quartieri e aree interne alla nostra città
Casetta Berta ha bisogno di un posto fisico in cui svolgere le proprie attività, e lo avrà. Tuttavia la nostra è una battaglia che non ha mai riguardato una semplice “riapertura”. È una battaglia per il riconoscimento politico di quante e quanti si coinvolgono in azioni di giustizia sociale, contro le disuguaglianze di classe, che interroga anche l’uso degli spazi pubblici in contrasto alla speculazione edilizia, al malgoverno e all’abbandono di quartieri e aree interne alla nostra città. Con l’attuale amministrazione il recente confronto può essere stato utile nell’aver provato a verificare se le politiche locali volessero andare al di là di una logica assistenziale e liberale nella gestione del volontariato.
Il terzo settore
L’azione politica dell’amministrazione comunale sui quartieri ha tendenze e caratteristiche molto riconoscibili che sono l’espressione di un processo politico irrisolto, di forze spesso in contrapposizione e di un determinata idea di fare “politica progressista”.
Coalizione Civica si era candidata ad essere organizzazione politica radicata nei quartieri in grado di costituire un core attorno al quale far nascere iniziative culturali, sociali, politiche. Invece è rimasta, per l’appunto, una coalizione; un’unione di più soggetti che, seppur ricchi di esperienze, sono incapaci di andare oltre se stessi e di oltrepassare politicamente alcune barriere: di classe, “lavorative”, di istruzione. Questo è il risultato delle scelte politiche fatte, ma anche e soprattutto di una forma mentis difficile da sradicare; una mentalità affine a quella che ha mosso le iniziative ruotate intorno alla “Padova capitale del volontariato” 2020. L’idea che per agire – e trasformare – la società sia necessaria e sufficiente la somma algebrica di più soggetti, ignorando di fatto il governo degli interessi in gioco e che invece nutrono il cuore della politica.
Si dice volontariato si intende terzo settore, ossia un settore economico in bilico fra il pubblico e il privato. In esso da una parte, ed è importante riconoscerlo, si spendono molte delle migliori energie di chi, nel nostro paese, vuole fare qualcosa per migliorare il mondo in cui viviamo; dall’altra, è il settore in cui lo Stato lascia che a coprire un welfare sottodimensionato e dimagrito siano le volontà dei singoli e dei gruppi; dall’altra ancora è un settore economico in cui si aprono ghiotte possibilità di investimento privato.
Il modello neoliberale di società in cui lo Stato si ritira da alcune delle funzioni fondamentali di welfare non è cosa nuova ma è frutto di un processo lungo decenni che investe la precarietà del lavoro e del futuro delle città, anche qui a Padova. Le risorse sempre più scarse a disposizione dei Comuni, i famosi blocchi del turn-over nelle PA, l’allargamento del lavoro di cooperativa e di appalto, il lavoro di lobbyng di fondazioni bancarie o gruppi commerciali che guadagnano in potere e capitale simbolico da queste operazioni di compartecipazione… tutti questi sono solo alcuni degli elementi che hanno determinato molto dell’attuale situazione e non crediamo che nessuna amministrazione possa uscirne da sola. Crediamo anche che si può scegliere di condurre una battaglia chiedendo il sostegno popolare per conquistare degli obiettivi; oppure si può scegliere di limitarsi a gestire l’esistente e a sopravvivere.
in questi anni si è finiti per sostituire i processi conflittuali e quindi politici con la più comoda forma della mediazione operata dai soggetti del privato sociale
In questi anni si è finiti per sostituire i processi conflittuali e quindi politici – che anche una amministrazione può percorrere – con la più comoda forma della mediazione operata dai soggetti del privato sociale; questi ultimi agiscono spesso con ottime intenzioni, ma non possono far altro che porsi come tampone sia dell’assenza di intervento strutturale delle istituzioni sia della mancanza di corpi intermedi di partecipazione e attivazione sociale. Da qui emergono i problemi legati alla temporaneità e alla precarietà delle iniziative e alla indeterminatezza dei ruoli. Ci siamo seduti varie volte ai tavoli territoriali con a fianco i rappresentati di cooperative sociali con ottime professionalità e intelligenze ma che sono confuse sul proprio ruolo a cavallo tra attori privilegiati, propaggini dell’amministrazione, cittadini che vogliono attivarsi; nel frattempo è agli sportelli di Berta, ancora oggi in funzione, a cui hanno fatto riferimento alcuni uffici comunali durante il lockdown.
La nostra idea è semplice: la politica del fritto misto, del “va bene tutto basta che qualcosa faccia”, non è una politica di sinistra. Una politica di sinistra popolare vuol dire fare lavoro sociale nei quartieri con uno scopo. In direzione di un’assunzione collettiva e conflittuale delle problematiche che investono tutti e tutte – e qui si parla proprio della sopravvivenza materiale, del cibo, della casa e del lavoro – e di farlo con metodo. Nell’unione che fa la forza, ma che anche aiuta a trovare senso alle esistenze.
L’ottica del mettere insieme, affiancare, giustapporre, per creare sinergie funziona solo se c’è un interesse comune: ma l’interesse della maggioranza della popolazione non è l’interesse di chi ha come obiettivo quello di far fruttare un grosso investimento per il terzo settore. Con la nostra battaglia politica e l’impegno coerente anche nelle mediazioni istituzionali abbiamo provato a far assumere all’amministrazione di Padova una posizione coraggiosa di impegno per chi sta in basso, finito per essere puntualmente disatteso.
con la nostra battaglia politica e l’impegno coerente anche nelle mediazioni istituzionali abbiamo provato a far assumere all’amministrazione di Padova una posizione coraggiosa di impegno per chi sta in basso, finito per essere puntualmente disatteso
Torniamo all’accordo per via Dupré
Siamo arrivati dall’amministrazione portando una richiesta precisa. Chiedevamo uno spazio per Casetta Berta. Abbiamo parlato con Lorenzoni, Giordani, Micalizzi e Nalin. Sono stati fatti una decina di colloqui in un anno e mezzo sui temi sopra esposti. Senza che delle forze sociali e politiche reali siano riconosciute, le tante parole sulla partecipazione rimangono bei pensieri, soprattutto se ogni percorso “partecipato” viene poi smentito. In almeno un caso c’è stata una discussione serrata su questi temi – non ci siamo trovati completamente d’accordo, ma le nostre posizioni sono state riconosciute. Ci hanno offerto di entrare in un percorso “partecipato” del tipo che abbiamo provato a tratteggiare prima, fatto di “cose messe insieme” e così abbiamo rifiutato. Hanno comunque deciso di andare avanti. Nessuno dell’amministrazione aveva il dovere di assegnare uno spazio a Casetta Berta. Chiedere è lecito rispondere è cortesia. Anche rispondere di no, ovviamente.
Perché sono tornati indietro? Un motivo ci sarà, ma sta all’amministrazione spiegarlo, certo non a noi. Però è evidente che in tutta questa faccenda l’amministrazione non ha avuto il coraggio di portare il discorso fino in fondo. Si tratta proprio di coraggio politico. Come poteva fare? Dichiarando da subito che Casa Berta non è una semplice associazione di volontariato e che proprio per questo è giusto che abbia un supporto e facendo i passaggi giusti di assunzione di responsabilità politica della Giunta?
Era forse la possibilità di invertire la rotta nel rapporto fra la città e quelle correnti che la attraversano? Non solo Casetta Berta: negli ultimi anni sono state attaccate tante diverse realtà con sgomberi e con l’ideologia della fine delle ideologie cioè dal neoliberismo, che pure ora è alle corde. Invece niente, si preferisce restare nel solco della destra.
Un ultimo appunto e un pronostico
Aver occupato gli spazi di via Callegari 5 nel 2019 ha portato alla loro destinazione a fini sociali invece che al loro abbandono e svendita, una piccola vittoria per tutta la città. Così ci paiono una piccola vittoria le dichiarazioni che leggiamo oggi dell’Assessora al sociale Nalin che parla dell’estensione a tutti i CAT della città della possibilità di usarne gli spazi quando rimarrebbero invece inutilizzati. Sicuramente un’ottima notizia e che è risultato del nostro percorso. Ogni spazio disponibile in più per la cittadinanza è qualcosa di conquistato per tutte e tutti.
Ma questo non basta per cambiare le carte in tavola, per costruire una trasformazione reale. Lo abbiamo scritto e lo ribadiamo: il nostro progetto è diverso e lo realizzeremo.