intervista a Gianni Tamino
In questi mesi sono in corso numerose mobilitazioni contro la costruzione della quarta linea dell’inceneritore di Padova. Società della cura, comitati locali, realtà cittadine diverse stanno unendo le forze per contrastare questa nuova fonte di inquinamento in una città, e in una regione, già alla testa delle classifiche italiane in merito.
Non è la prima volta che attorno all’inceneritore avvengono delle mobilitazioni. Ne parliamo in questa conversazione, utile anche per evidenziare quali sono gli interessi che ruotano attorno ai termovalorizzatori e il loro impatto negativo sulla raccolta differenziata, con Gianni Tamino, biologo ex parlamentare per i Verdi, al tempo delle prime lotte militante di Democrazia Proletaria.
Può delinearci in breve la storia dell’inceneritore?
La prima linea è stata inaugurata nel 1962: come molte cose in Italia, viene immaginata negli anni Cinquanta e viene realizzato un primo impianto, che non ha niente a che vedere con l’inceneritore attuale.
Successivamente, alla fine degli anni Settanta, si mette in cantiere la seconda linea; è l’impianto capostipite dell’attuale. Abbiamo, dagli anni Settanta a oggi, una serie di vicende che porta a una verifica sostanziale del complesso. L’attuale configurazione è stata ipotizzata, in effetti, all’inizio del nuovo secolo, e realizzata nel 2007.
Quello che però va detto è che le lotte sono state precedenti. Questa seconda linea ha creato i primi grandi problemi; all’epoca gli abitanti più vicini erano quelli di Camin, non c’erano le case più recenti; a Camin si trovavano ad avere sui davanzali un deposito di polvere nera, attribuibile esclusivamente all’inceneritore. Da qui nascono le prime lotte cui io ho partecipato, all’inizio degli anni Ottanta.
Parliamo di lotte di una popolazione che subiva questa situazione, che sono poi continuate, in diverse fasi, fino alla costruzione della terza linea, quando ci fu un ultimo tentativo di blocco. Tra l’altro, a quell’epoca (dopo il 2007) avevano promesso di bloccare in concomitanza la prima e la seconda linea (esattamente come avviene adesso: viene detto che per sei mesi funzioneranno tutte e quattro), in realtà poi hanno tenuto tutto. E già allora era anticipato che avrebbe potuto esserci una quarta.
Nel quadro di queste lotte, chi erano gli attori principali, oltre alla gestione?
C’era un comitato di quartiere, che faceva riferimento proprio agli abitanti di Camin, al tempo la popolazione più organizzata ed esposta; io ho partecipato sia in quanto docente universitario ma soprattutto perché facevo parte di Democrazia Proletaria, e come DP assieme ad altre realtà presenti sul territorio eravamo i primi a occuparci della difesa di quel territorio e dell’ambiente.
Il fatto che Camin già allora si collocasse all’interno di una zona industriale in pieno sviluppo ha avuto un’importanza? C’era già un’organizzazione precedente dal punto di vista operaio?
Camin all’epoca era un quartiere dove era ben diffusa una coscienza politica; erano presenti i gruppi alla sinistra del PCI; era una realtà operaia, anche se per molti versi di origine agricola. In tal senso vi è stata una crescita politica proprio collegata alla capacità in fabbrica di esercitare azione politica. Erano persone che avevano una coscienza critica, decisamente.
Quando avete lavorato con questo comitato, quali erano le controparti?
Il comune era in mano alla DC, però va detto che il PCI era in gran parte favorevole all’inceneritore. Anzi: all’interno dell’AMNIUP (società che all’epoca gestiva l’impianto) molti erano esponenti di una sinistra che potremmo definire efficientista. Io mi sono trovato, in quegli stessi anni, ad andare a vedere l’inceneritore di Modena, e il ragionamento che mi venne fatto, da parte dei dirigenti (ovviamente del PCI), fu: “Li fanno anche in Russia, per cui siamo convinti che funzionino bene”.
I dirigenti del PCI sostenevano: “Li fanno anche in Russia, per cui siamo convinti che funzionino bene”
Per dire qual era il livello dei ragionamenti… La stessa cosa avvenne anche per il nucleare, anch’esso appoggiato dalla sinistra.
Tornando a Padova. Nell’81 facevo parte dell’assemblea dell’Unità Sanitaria Locale, che si occupava anche di questi aspetti, e come DP dall’Ottanta avevamo un consigliere comunale; in più nel quartiere di Camin c’erano le elezioni di quartiere, dove avevamo nostri rappresentanti.
Il ragionamento in Comune è sempre stato duplice: da una parte, fare gli inceneritori era un modo di essere moderni, all’altezza dei tempi; dall’altra, la sinistra cercava di stare dentro alle cose, alla gestione pubblica, in una logica molto segnata dagli anni in cui venne formulata. Noi cercavamo, con le mobilitazioni e con i nostri rappresentanti nelle istituzioni, di influire sulle decisioni, anche se in questo caso i risultati non sono stati purtroppo all’altezza delle aspettative.
Può spiegarci più nel dettaglio gli obiettivi e le condizioni della mobilitazione?
La nostra idea era di chiudere l’inceneritore perché pericoloso. Questi ragionamenti vanno collocati all’interno di un panorama scientifico internazionale. Nel ‘76 venne pubblicato, negli USA, il primo lavoro che metteva in evidenza come gli inceneritori producessero diossine. Da qui nasce la consapevolezza, importante, che dalle ciminiere non esce solo fumo ma c’è anche qualcosa di molto pericoloso. Non avevamo ancora la percezione delle polveri sottili come l’abbiamo oggi, però Barry Commoner pubblicò l’articolo, che divenne famoso a livello mondiale, sulle diossine e – negli USA – iniziò una critica a partire dalla sinistra americana, di cui Commoner era esponente, che prese posizione contro gli inceneritori. Iniziarono così numerosi studi che via via ne evidenziarono i pericoli.
Primi anni Ottanta: con la consapevolezza di quel che accadeva in America, abbiamo cercato di mettere in evidenza la pericolosità per la salute. Allora il discorso su cui puntavamo era quello della salute, più dell’ambiente.
A partire da qui si fa chiara la necessità della raccolta differenziata. Abbiamo cominciato a dire: non è che siamo a favore della discarica al posto dell’inceneritore: siamo contro entrambi. E contro il consumismo che ci impone una quantità enorme di imballaggi inutili che contengono merci spesso inutili.
Se ponessimo attenzione ai materiali che impieghiamo e alla loro differenziazione, non ci sarebbe bisogno né di inceneritore né di discarica. Questo è il ragionamento che già alla fine degli anni Ottanta provavamo a portare avanti, e che è stato poi alla base della battaglia contro la terza linea.
Ed è ancora oggi la stessa cosa. Solo che allora eravamo quasi visti come utopisti, perché palavamo di raccolta differenziata del 60-70%; mentre oggi questa percentuale è a portata di mano, e in Veneto è stata addirittura superata. Il problema è proprio Padova, ma su questo vorrei tornare dopo.
Oggi cosa diciamo? Che se facessimo l’80% di raccolta differenziata non avremmo bisogno di inceneritori; o tuttalpiù, in una fase di transizione, potremmo chiudere la linea 1 e 2 e tenere la 3; chiudere anche la 2 di Schio, l’altro inceneritore in questo momento attivo in Veneto, e dimezzare la quantità di rifiuti da mandare in discarica.
se facessimo l’80% di raccolta differenziata non avremmo bisogno di inceneritori; o tuttalpiù, in una fase di transizione, potremmo chiudere la linea 1 e 2 e tenere la 3; chiudere anche la 2 di Schio, l’altro inceneritore in questo momento attivo in Veneto, e dimezzare la quantità di rifiuti da mandare in discarica
Sa farci un quadro del ruolo della regione per la pianificazione?
Nella regione c’è stato, a partire dagli anni Ottanta, un gioco delle parti in cui ci si è sempre rimpallati la palla tra DC e PCI, e poi tra Lega e PD. A livello europeo già negli anni Ottanta si ragionava in termini di gerarchia dei rifiuti. Quali mosse fare per gestirli? Nell’ordine: riduzione, riuso, riciclo, e solo esaurite queste tre fasi incenerimento e discarica. Noi abbiamo sempre detto: puntiamo tutto sui primi tre; in regione il discorso era: partiamo da incenerimento e discarica, e poi valutiamo gli altri tre.
Tra l’altro, dagli anni ’80 sappiamo che ci sono interessi mafiosi legati ai rifiuti, sia da parte della mafia storica che da parte delle mafie locali che hanno sempre visto nella gestione dei rifiuti uno dei settori interessanti di affari.
Anche negli ultimi mesi ci sono capannoni che prendono fuoco…
Adesso noi stiamo parlando di rifiuti urbani, ma se prendiamo i rifiuti industriali la questione si fa mostruosa. Abbiamo già negli anni ’80 denunciato come dal Veneto molti rifiuti industriali andavano al Sud e prendevano la strada dell’Africa attraverso le navi.
Mi sembra che si delinei un panorama inquietante.
Come comitati del Veneto per la corretta gestione dei rifiuti, vorremmo superare lo stesso concetto di rifiuto per arrivare invece a parlare di economia circolare e di riciclo. Durante le ultime elezioni a Padova avevamo preparato una lettera per tutti i candidati esponendo uno dei nodi cruciali per noi ovvero quello dell’inceneritore, chiedendo ai candidati come si collocassero rispetto alla questione. All’interno della lettera avevamo indicato come ridurre alla sola terza linea e tendenzialmente andare a esaurimento anche di quella.
Sempre all’interno di questa lettera avevamo ribadito una cosa: l’auspicio che la raccolta dei rifiuti non fosse gestita da parte di HERA. I termini del contratto, oggi come ieri, determinano il fatto che sia la stessa società a raccogliere i rifiuti e a bruciarli. Questo è un non-senso perché, se io posseggo un inceneritore e guadagno dall’inceneritore, grazie ai vergognosi incentivi come i CIP6, significa che guadagno bruciando rifiuti. Questo vuol dire che sono ovviamente incentivato a raccogliere una quantità maggiore di indifferenziato, e che ogni strumento di riduzione e riciclo dei rifiuti mi fa guadagnare di meno. Torniamo così all’anomalia della differenziata a Padova.
se io posseggo un inceneritore e guadagno dall’inceneritore, grazie ai vergognosi incentivi come i CIP6, significa che guadagno bruciando rifiuti
Può spiegarci meglio la questione degli incentivi?
Funziona così: per avere gli incentivi bisogna produrre energia elettrica dalla combustione dei rifiuti; l’energia elettrica viene pagata di più di quanto viene pagata a produttori da altre fonti, sopra il prezzo di mercato. Questa differenza incentiva e favorisce quindi l’inceneritore che si trasforma così in un business.
Una questione all’origine di polemiche è che sembra che stiano arrivando sempre più rifiuti da fuori regione.
Sull’inquinamento in Veneto siamo già messi male, ci situiamo su valori fra i più alti in Italia. È chiaro che se abbiamo un alto tasso di raccolta differenziata gli inceneritori che avevamo in Veneto diventano superflui e possiamo ridurre almeno un po’ la massa degli inquinanti.
A questo punto ha senso fare un po’ di storia veneta. Gli inceneritori erano 4: c’erano Ca’ Del Bue a Verona, Fusina (che adesso si sta cercando di far ripartire), Schio e Padova. I primi due sono stati chiusi perché era diminuita nettamente la quantità di rifiuti; l’unico modo per bruciarne abbastanza era quello di aumentare la quota di rifiuti speciali non tossici o importare in caso di emergenza, come per esempio era accaduto durante l’emergenza in Campania o cose simili. L’interesse di chi ha l’inceneritore è questo: più brucio più guadagno.
Quindi si cerca di far arrivare più rifiuti possibile.
E’ ovvio. Ma addirittura la richiesta della quarta linea è indipendente da quanto sarebbe necessario anche contando i rifiuti da fuori, ma dipende solo dal fatto che Hera ha chiesto alla Regione un adeguamento della tariffa e la Regione ha risposto che se Hera avesse bruciato quanto in suo potere in base all’AIA, cioè l’Autorizzazione Integrata Ambientale, non avrebbe dovuto avere problemi.
È chiaro che se invece di bruciare 240 mila tonnellate all’anno ne bruciano 160 mila non hanno il ricavo desiderato. Quindi la Regione ha imputato la tariffa più bassa al fatto che Hera non bruci adeguatamente rispetto all’autorizzazione. Loro hanno preso palla al balzo, hanno detto: “Bene, siccome noi non potremo mai raggiungere quanto autorizzato perché le linee 1 e 2 sono troppo vecchie, le chiudiamo e ne facciamo una quarta per raggiungere valori simili a quelli già autorizzati”.
Ma perché loro hanno un’autorizzazione su una capacità di bruciare più alta?
Quella è la potenza massima che però non possono raggiungere perché nel frattempo le prime 2 linee sono diventate obsolete e i rifiuti disponibili in loco sono diminuiti. Il loro comportamento è un non-senso. Faccio un esempio: se io sono autorizzato ad andare a 120 all’ora in autostrada, non significa che io lo debba fare, perché se ci sono dei pericoli devo rallentare. In questo caso sono autorizzato a bruciare 240 mila tonnellate di rifiuti l’anno ma… se i rifiuti non ci sono, perché dovrei bruciarle per forza?
Questo è evidentemente uno spazio per il profitto.
Questo meccanismo è solo basato su quella logica. L’inceneritore non è un servizio per i cittadini ma è una macchina per il profitto. Ho una macchina e se ce l’ho voglio farla andare al massimo: non va al massimo? Chiedo di poterla riportare alle condizioni per andare al massimo.
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