Prima di emergere è rimasto latente per decenni, ora è in cima alle preoccupazioni di tutti. Impoverisce molti e arricchisce pochi, danneggiando il tessuto sociale e l’ambiente. Le istituzioni fingono di rincorrere il problema. Nel vuoto che così si crea si inserisce il mercato, offrendo soluzioni che nascondono mire spregiudicate e spesso contrarie all’interesse comune.
Potremmo star parlando di qualsiasi cosa, ma dato che siamo in Veneto alla fine dell’estate 2023 il soggetto non può essere che lui: il granchio blu. Irregolarmente immigrato dall’America attraverso «frontiere colabrodo», è stato avvistato nell’Adriatico già negli anni ’50, ma con il caldo di quest’estate è esploso e ora fa fuori vongole e cozze sul Delta del Po, mettendo a rischio le attività di allevamento e la sopravvivenza delle specie locali.
La soluzione? Mangiarlo, come suggerisce il suo epiteto scientifico (Callinectes sapidus) e come si fa nelle sue zone di origine, dove anzi è stato necessario porre dei limiti alla raccolta. Un’idea alla moda che è stata sponsorizzata anche dal ministro per l’agricoltura Lollobrigida e dalla premier Meloni, alla faccia della valorizzazione delle tradizioni gastronomiche italiane. Ma che se da un lato ha portato al paradosso dell’importazione di granchi blu più economici dalla Grecia, dall’altro rischia di essere frenata dall’Unione Europea: le specie aliene invasive di norma non possono essere commercializzate, perché questo potrebbe rendere economicamente vantaggiosa la loro permanenza sul territorio.
La situazione – di nuovo – è grave ma non seria. Ed è soprattutto incisa da profonde contraddizioni, in parte le stesse che strutturano o destrutturano il più vasto campo economico e politico. Quest’estate in Italia la destra ha vinto gran parte delle elezioni amministrative e ha consolidato il suo ruolo predominante, diffondendo la retorica dell’identità e dell’unità nazionale; ma allo stesso tempo sta portando avanti l’autonomia differenziata, lontana discendente delle istanze secessioniste di un partito (la Lega) che ora punta a fare concorrenza a Fratelli d’Italia proponendo una politica di destra forte e nazionale. Una riforma (analizzata qui) che promette di accrescere il divario tra regioni ricche e povere e di trasferire ancora più servizi e risorse al privato, che d’altra parte continua a vedersi attivamente assegnare sempre più spazio (fisico e simbolico) da parte delle amministrazioni di ogni colore: la gestione della sanità ne è un esempio lampante.
In Veneto, in cui le elezioni a Padova, Verona e Vicenza sembrerebbero segnare una controtendenza politica, le amministrazioni PD non sono in grado di pensare ad un’alternativa. Restano vittime di una cultura politica abituata da decenni ad affidare a cooperative, aziende, enti del terzo settore la cura e la valorizzazione del patrimonio pubblico (i parchi, i musei, la cultura), la gestione dei problemi di casa (rapporto con ATER e privati) e di lavoro (agenzie interinali).
In un periodo di enormi aumenti del costo della vita il reddito non cresce; il lavoro è povero nonostante un aumento dell’occupazione. La richiesta di lavoratori e lavoratrici è alta, anche a causa del calo demografico, ma i salari non crescono come ci si aspetterebbe (ne abbiamo parlato qui e ne parleremo presto in un nuovo articolo). Allo stesso tempo viene abolito il reddito di cittadinanza e l’accesso ai servizi è sempre più difficile: in Veneto il trasporto pubblico è in crisi (vedi Busitalia), i medici di base faticano a lavorare (abbiamo esaminato la questione qui), le liste d’attesa per le prestazioni specialistiche sono lunghe, manca personale negli ospedali, e mancano gli alloggi pubblici per chi ne avrebbe diritto e per gli studenti.
Come nel caso del granchio blu, in queste situazioni di disagio si inserisce il mercato. Promettendo lavoro, come nel caso delle multinazionali che cercano di aumentare la propria presenza sul territorio a scapito dell’ambiente e del mercato locale (leggi: Amazon a Casale sul Sile e a Roncade). Promettendo alloggi, come nel caso delle imprese che cercano di sfruttare la carenza di stanze per gli studenti costruendo studentati privati (in parte con fondi pubblici). Promettendo salute, come testimonia il prosperare degli studi e dei centri medici privati, convenzionati e non convenzionati. Alloggi e salute riservati – ovviamente – a chi se li può permettere.
La direzione è dunque quella del liberismo sfrenato? No, perché allo stesso tempo si va verso il periodo di massima spesa pubblica dai tempi del dopoguerra. È l’effetto PNRR, in gran parte in mano alle amministrazioni locali, che però sono stremate da anni di tagli e faticano a far fronte all’iter progettuale con forze interne (abbiamo trattato la questione in questa intervista). Una gestione che rischia di lasciare spazio a tentativi per niente mascherati di speculazione, come quello – per fortuna scongiurato – del sindaco di Venezia Brugnaro. Nuove minacce in vista per il territorio, già stremato da siccità, alluvioni, cementificazione, agricoltura intensiva, contaminazione da PFAS, ancorché inutilmente «valorizzato» da riconoscimenti UNESCO.
Contraddizioni. Sulle quali prolifera ormai incontrollata la retorica della destra estrema: in un Paese dove persone in stato di fermo vengono pestate e umiliate il partito al governo è attivamente al lavoro per abolire il reato di tortura; a fronte di un’estate segnata da femminicidi e stupri le massime cariche del governo continuano a colpevolizzare le vittime; mentre Lampedusa collassa e cresce il numero dei morti nel Mediterraneo Meloni & Co. minacciano il pugno duro e la militarizzazione dei porti; il disagio giovanile viene sorvegliato e punito dal voto di condotta e da altre politiche scolastiche rigorosamente inutili; i diritti dei figli delle famiglie al di fuori della norma eterosessuale sono sotto attacco, così come quelli delle persone trans (ma anche qui la posizione di chi governa è contraddittoria), e i rapporti tra Meloni e Orban – che nel suo paese ha promosso una legge contro la «propaganda omosessuale» – sono più buoni che mai: i due leader si ripromettono, insieme, di difendere «la famiglia e Dio».
Quel che colpisce è che, tra le dinamiche di ampio respiro in atto, quasi nessuna sia frutto di iniziative conflittuali popolari, decise dal basso. Nell’ultimo periodo ci sono state mobilitazioni sindacali, alcune di successo – vedi quella dei lavoratori museali a Verona; ma in generale il potere contrattuale dei lavoratori sembra ai minimi storici. Sul piano politico le decisioni vengono spesso presentate come effetto di scelte di livello sovraordinato – europeo, nazionale – e sono in mano a partiti privi di una vera e propria base popolare. Eppure solo dal basso possiamo aspettarci la possibilità di un cambiamento che rovesci il piano retorico e materiale in cui siamo immersi, dove a spadroneggiare rimane in fin dei conti solo il mercato. Un potere popolare solido e organizzato si costruisce con il tempo: come redazione ci impegniamo a monitorare ogni passo che sembri avvicinarsi a questo obiettivo. E continueremo a mettere il dito nelle contraddizioni, sperando di tenere alta l’allerta politico-intellettuale di chi ci legge.