di Emanuele Caon
Abbiamo dato vita a Seize the time tre anni fa, era esattamente il primo maggio. Da quel momento molto è accaduto: c’è stata una pandemia globale, il neoliberismo è sembrato (per un attimo) volersi scrollare di dosso qualche tabù e l’anno scorso è arrivata anche la guerra. A tre anni di distanza ci è sembrato utile cercare di capire come si lavora in Veneto. Tanti dubbi restano, ma di sicuro ci sono tutti i motivi per arrabbiarsi e organizzarsi: buon primo maggio!
Il solito racconto
Il Veneto è la quarta regione più popolosa d’Italia con oltre 4.8 milioni di abitanti, ma è terza in classifica per produzione di ricchezza: il 9,2% del Pil italiano si fa in Veneto. La nostra regione si posiziona bene per numero di occupati (oltre 2 milioni) e per un basso tasso di disoccupazione che oscilla dal 3,5% al 7% in base al periodo dell’anno, contro una media nazionale oscillante tra l’8% e il 10%.
In Veneto, si sa, il lavoro è un mito. L’azienda tipica è piccola (circa 4,3 addetti per impresa), eppure, si dice, funziona. Un po’ come una famiglia: sia perché la piccola e media impresa veneta è a conduzione familiare, sia perché a lavorarci ti senti un po’ a casa.

Il Veneto nei dati
Sappiamo che l’inflazione in tutta Italia è andata crescendo rapidamente, mentre gli stipendi sono fermi da trent’anni. In Veneto è lo stesso? Guardato dal punto di vista delle paghe il mito regionale della locomotiva d’Italia ne esce profondamente incrinato: la retribuzione globale annua è di 29 mila 576 euro lordi. Nella classifica il Veneto – terzo Pil d’Italia – è la nona regione per livelli di retribuzione del lavoro [dati di fine 2022]. Mediamente un uomo occupato guadagna 1500 euro netti al mese, una donna 1350. Eppure, anche questi dati non sono di immediata interpretazione. Se osserviamo infatti la distribuzione della ricchezza il Veneto fa meglio di altre regioni, dove pure si guadagna mediamente di più. Secondo l’indice di Gini (il valore che ci indica la distribuzione della ricchezza) il Veneto arriva quinto. Tra le regioni meno diseguali d’Italia, seppur nel contesto del paese con la maggior disuguaglianza economica dell’Europa Occidentale. Se, invece, guardiamo alla disuguaglianza economica dei redditi – ossia al rapporto tra il reddito disponibile del 20% più ricco della popolazione e quello del 20% più povero – la regione è prima in classifica. Il quinto più ricco della popolazione guadagna il 380% in più del quinto più povero, cioè 3,8 volte in più, contro una media italiana del 5,2. [Dati del 2017]

I dati quindi sono contraddittori: la regione con il terzo Pil d’Italia è quella che paga meno di tutto il centro-nord, eppure è la prima per distribuzione del reddito.
Il Veneto per chi lavora
Fare il punto a metà 2023 sul lavoro in Veneto può essere difficile. Il Covid ha segnato una battuta d’arresto, mentre la fine della pandemia e il Pnrr hanno spinto sull’acceleratore; dall’altra parte la guerra ha comportato una serie di difficoltà: energetiche e di approvvigionamento lungo le catene logistiche globali. Per farsi un’idea di come sta andando l’economia, gli esperti tendono a paragonare i dati economici del 2022 a quelli del 2019. Da questo punto di vista la regione appare in ripresa: consumi delle famiglie, assunzioni, export; tutto sembra tornato ai livelli pre-pandemia, e anche qualcosa in più. Nel 2022 il Pil del Veneto è quello che ha registrato la crescita maggiore: +3,4%, rispetto a una media italiana del +2,9% e a quella lombarda di +3,3%.
Eppure, la serie di dati storici dal 2008 a inizio 2023 ci mostra una realtà palesemente contraddittoria, con dinamiche in linea con il resto del centro-nord, ma in parte più accentuate: le aziende in ripresa, il lavoro al palo.
In Veneto il manifatturiero resta importante per assunzione di forza lavoro e anche per produzione di ricchezza; in particolare nel tessile, nella lavorazione dei metalli e nel settore del legno. È però il terziario a produrre la quota maggiore di ricchezza, con numeri che fanno del Veneto la prima regione turistica d’Italia. La preponderanza del settore può forse spiegare alcune contraddizioni della nostra regione.
Dal 2008 al 2022 ci sono state quasi 11 milioni di assunzioni, di queste ben 8 milioni hanno interessato i servizi.

Se guardiamo al solo 2022 le professioni più richieste sono: camerieri; braccianti agricoli; commessi. E poi altre professioni legate alla logistica (facchini, addetti spostamento merci, addetti alla gestione dei magazzini) e a seguire personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia, personale non qualificato in attività industriali.

Se continuiamo a focalizzarci sul 2022, ma spostiamo l’attenzione sui settori – escludendo la scuola – nei primi posti troviamo: agenzie interinali; ristorazione; alberghi; istruzione; pulizie; bar; trasporto merci; coltivazione di uva.

Si tratta di professioni e settori tipicamente soggetti a paghe basse e contratti dalla breve durata. Infatti, dal 2008 al 2022 le assunzioni a tempo indeterminato sono state 1.703.725, mentre più di 6 milioni e mezzo sono stati i contratti a tempo determinato. Tutto il resto (oltre 2 milioni e mezzo di contratti) ricade nelle svariate categorie del precariato: apprendistato, somministrato (agenzie interinali), stagionali, e altre forme intermittenti o precarie.

Guardato da questo profilo il Veneto appare una regione in linea con ciò che è diventato il lavoro in Italia. Contratti nazionali che prevedono paghe basse, anche sotto i livelli di sussistenza; in piccole aziende in cui la contrattazione di secondo livello non esiste: ossia la possibilità di una contrattazione a livello di azienda che integri e migliori il contratto nazionale di riferimento. Nicchie di specializzazione e innovazione convivono con praterie sterminate di lavoro povero e precario, in cui parlare di salario minimo sembra impossibile perché paghe dignitose, dicono, significano fallimenti aziendali. Il lavoro sembra reggersi sui salari bassi e i pochi margini della stessa aziendina, sarà forse per questo che tutto sommato il 20% più ricco del Veneto è “solo” 4 volte più ricco del 20% più povero?
I padroni vanno aiutati
È difficile rispondere alla questione fondamentale: qual è lo stato di salute delle aziende del Veneto? Ci stanno pagando poco per tenersi tutto il profitto? Oppure, come in una buona famiglia, ci danno quel che possono, ma il profitto è poco? Focalizziamoci sul settore più importante della nostra regione. Secondo l’ultimo questionario di Confcommercio il terziario veneto gode di buona salute. L’indagine ha coinvolto circa un migliaio di imprese del commercio, del turismo e dei servizi e ne è emerso che l’86% delle aziende definisce «Buono o discreto» il proprio stato di salute; il 30% afferma che la propria attività economico-finanziaria è migliorata; il 40% dichiara il proprio fatturato aumentato. Non è chiaro quanto sia credibile l’indagine in questione, soprattutto perché sembra un’azione di propaganda, un po’ come è stato dichiarato dallo stesso Patrizio Bertin – presidente di Confcommercio Veneto: «c’era bisogno di una verifica sul campo dell’ottimismo che sta spingendo le imprese del terziario». Insomma, le imprese hanno bisogno di credere a se stesse e Confcommercio sembra volerle aiutare, almeno in questo.
Il Veneto, terzo Pil d’Italia, è una delle regioni di punta per lo sviluppo del terziario, è addirittura la regione più turistizzata del paese. Le aziende dicono di stare bene. Perché allora le paghe sono sotto la media delle altre regioni del centro-nord? Il sospetto che si tratti di un’economia povera con pochi margini di profitto è legittimo, ma non è una certezza. In ogni caso, lo strumento utile a scoprire la verità non è la statistica, ma il conflitto nei luoghi di lavoro. Se i margini ci sono vogliamo la nostra parte; se non ci sono sarà bene che le aziende imparino a stare sul mercato scoprendo anche strumenti che non siano il solito “taglio dei costi del lavoro”. Affinché il capitalismo nostrano si convinca a percorrere altre strade bisogna bloccargli le vie più facili, quelle dello sfruttamento: questa però si chiama lotta di classe. L’alternativa?
Continuare a sentirsi orgogliosi per il Veneto locomotiva d’Italia, senza accorgersi che a chi lavora è riconosciuta meno dignità di un pezzo di carbone. Infatti, nel 2022, l’anno della ripresa, il 31% delle assunzioni è stata part-time. Lo sfruttamento di genere è assicurato: il 43% delle donne in Veneto lavora part-time. Lo stipendio di una lavoratrice è in media il 30% più basso di quello dei lavoratori maschi. Sempre nel 2022, su 882 mila assunzioni totali, ben 77.700 sono stati i contratti intermittenti. Mentre sono state 141.100 le assunzioni stagionali, di queste 43.700 nell’agricoltura, 63.200 nei servizi turistici. O, ancora, nel lavoro determinato non stagionale la durata media dei contratti supera di poco i 4 mesi (122,3 giorni). Di 410 mila assunzioni a tempo determinato non stagionale, 199.000 oscillano tra 1 e 6 mesi.
Ce n’è abbastanza per arrabbiarsi, anche considerando che in tutta Italia il 29,5% dei dipendenti del settore privato ha retribuzioni sotto i 12.000 euro lordi l’anno.
Fonti statistiche:
- Istat.
- Inps.
- Veneto Lavoro.
- Sistema statistico Regionale del Veneto.
1 thought on “Lavorare in Veneto – la lotta non serve”
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