[Questo articolo è una presentazione generale a tre interviste a collettivi transfemmnisti tradotte dal polacco che trovate in calce al testo; pubblichiamo questi materiali in preparazione all’evento Sorellanza transterritoriale – la sorellanza come arma di difesa transfemminista organizzato da Non Una di meno Padova e dallo Spazio Catai di Padova, evento che si terrà Venerdì 18 Maggio alle 18:30 in diretta Zoom. Potrete trovare sempre su Seizethetime la registrazione dell’evento. La traduzione delle interviste, così come quella dei passi citati dal libro To Jest Wojna, pubblicato nel 2020 a Varsavia, è a cura di Sandra Klaudia Sosnierz]
I primi scioperi- Ottobre 2016
“Ciascuna di noi aveva la sua storia, ma il progetto di penalizzare l’aborto nel 2016 ha fatto di noi tutte femministe, in massa. (…) Noi, tuttavia non abbiamo avuto il tempo per addentrarci nelle riflessioni, su quale ondata di femminismo fossimo. Ci muovevamo sotto la pressione degli eventi politici. Eravamo semplicemente un’ondata di donne incazzate. Non appena abbiamo imparato la nostra lezione in Polonia, abbiamo saputo che lo stesso accade altrove. Sempre più spesso i governi di destra populista, non appena eletti iniziavano dall’attacco ai diritti delle donne.”
[Da To Jest Wojna, di Klementyna Suchanow, p. 245; p. 281]
Nella primavera del 2016 l’organizzazione Ordo Iuris lanciò in Polonia una proposta di legge la quale prevedeva la detenzione per le donne che abortivano. Questa è stata la causa della prima “protesta nera” in Polonia: le donne polacche decisero di organizzarsi, e sull’esempio delle donne islandesi, che nel 1975 avevano paralizzato il paese con uno sciopero che coinvolse quasi il 90% delle lavoratrici, il 3 ottobre 2016 scesero in piazza in 147 città della Polonia, con lo slogan “Lunedì nero – sciopero delle donne polacche”. (Czarny Poniedziałek, Ogólnopolski Strajk Kobiet)
La responsabile di questo riferimento storico a un altro importante episodio della lotta femminista, lo sciopero delle donne islandesi nel ’75, è stata l’attrice Krystyna Janda, che nel 2016 ricordò l’evento in un post su Facebook, commentando: «Questa è solo una proposta, peccato che tra le polacche non c’è un briciolo di solidarietà». Marta Lempart, allora una delle attivistǝ del KOD (Komitet Obrony Demokracji, Comitato per la difesa della democrazia), raccolse la provocazione dell’attrice e invitò le donne polacche alla protesta sempre attraverso un post di Facebook. Grazie ai numerosi collettivi, molto dei quali nati online proprio nei mesi successivi alla proposta di legge antiabortista, la risposta fu immediata: il numero di persone che hanno partecipato al primo sciopero nell’Ottobre 2016 è stato stimato tra 98.000 e 200.000.
“Sapevamo che la legge di allora, che permetteva di abortire in tre casi, era pure finzione. Negli ospedali polacchi era sempre più difficile far rispettare la legge. Ma ricondurre lo sciopero semplicemente all’aborto sarebbe stata una semplificazione. Si trattava della percezione della nostra dignità. Eravamo contrarie all’oggettivazione e al fatto che per i nostri destini si decidesse per noi. Agli occhi del governo eravamo ridotte a degli incubatori. (…) Fino all’ultimo momento eravamo soltanto un pugno di donne. Ma esattamente all’ora stabilita, dalla metro hanno cominciato a riversarsi fiumane di persone. Era la prima marcia organizzata dal basso dalle donne. Non sapevamo, allora, cosa ci aspettasse, cosa ci aspetta ancora.”
[To Jest Wojna, di Klementyna Suchanow, p. 20]
La proposta di legge alla fine fu bocciata. Questo fu un primo momento di consapevolezza per le donne polacche, sia rispetto alla loro forza, sia rispetto al fatto che c’era qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel legislazione sull’aborto, regolato fino ad allora da una legge del 1993 – nota anche come “compromesso storico” – che permetteva l’aborto soltanto nei tre casi di pericolo per la salute della madre, malformazioni del feto, stupro o incesto.
To jest wojna, Questa è una guerra – Gli scioperi del 2020
Il 22 ottobre 2020 il Tribunale Costituzionale polacco ha stabilito come anticostituzionale il diritto di aborto in caso di malformazioni del feto. Questo è stato un chiaro segnale di reazione e di guerra: durante la pandemia, il governo ha deciso di porsi come priorità, invece che la salute dei propri cittadini, una guerra ideologica. Non era la prima volta: già nell’ aprile dello stesso anno, in pieno lockdown, era stato discusso in parlamento un progetto di legge con il medesimo obiettivo.
In soli cinque giorni dal 22 ottobre in poi si sono svolte circa 410 proteste, che hanno coinvolto tanto le grandi città quanto i centri urbani più piccoli e provinciali. In tutto circa mezzo milione di persone. Nella Grande Marcia a Varsavia, il 30 ottobre, circa 100.000 persone. Sono state le più grandi manifestazioni in Polonia dai cambiamenti politici nel 1989
Dalla lotta alla pratica di autodifesa – Le zie transfemministe
Proprio durante l’ultima ondata di scioperi, in un paese confinante alla Polonia è nata Ciocia Czesia (leggi ciocia cescia, ciocia significa “zia”), un collettivo di attivistǝ che aiuta le donne polacche ad abortire in Repubblica Ceca. Le cittadine polacche infatti, essendo cittadine europee, hanno diritto ad accedere all’aborto all’estero.Ma come è nato questo collettivo?
Alcuni articoli sulla situazione politica in Polonia hanno iniziato ad apparire sui social media. Noi stessǝ abbiamo reagito attraverso commenti ed è così che ci siamo conosciute. (…) Sulla base dei commenti che abbiamo pubblicato sotto gli articoli, su questa situazione in Polonia, abbiamo deciso di incontrarci. Non era possibile nel mondo reale, perché c’era già un secondo lockdown nella Repubblica Ceca, quindi abbiamo semplicemente fatto una chiamata via Internet e abbiamo deciso di iniziare ad agire.
[https://www.malorarivista.it/2021/03/08/la-lotta-transnazionale-delle-zie-femministe/]
Ciocia Czesia è solo uno dei tanti collettivi attivi in Europa che aiutano le persone ad abortire all’estero. Tra questi troviamo anche Ciocia Basia, Ciocia Frania, Ciocia Monia, provenienti rispettivamente da Berlino, Francoforte e Monaco di Baviera, e Ciocia Wienia, proveniente da Vienna. Ad Amsterdam funziona anche Il collettivo Ana (Abortion Network Amsterdam), mentre in Polonia esiste Aborcja Bez Granic (Aborto Senza Frontiere) e Aborcyjny Dream Team (Abortion Dream Team), che aiutano soprattutto a livello informativo.
L’aborto in Europa
[Abbiamo pubblicato su Seizethetime la traduzione dal polacco delle interviste ad alcuni di questi collettivi, trovate i link in fondo alla pagina. Le citazioni che potete leggere di seguito sono tratte da lì]
I paesi europei godono di legislazioni molto diverse in materia di aborto. Ad Amsterdam è possibile abortire fino alla 21esima settimana, ma costa di più, circa 875 euro per l’aborto chirurgico. Fino alla sesta settimana si parla di ciclo posticipato. I Paesi Bassi sono l’unico paese dell’Europa continentale dove il limite legale è così lungo. Fino alla 12esima settimana si preferisce rinviare invece in Germania, dove l’aborto costa meno. Qui un aborto farmacologico costa tra i 250 e i 350 euro e un aborto chirurgico tra i 400 e i 600 euro.
Anche per le donne tedesche l’aborto viene rimborsato solo in caso di pericolo per la vita e la salute e se è conseguenza di stupro. Questo è pagabile su richiesta, a meno che non siano assicurate e abbiano bassi guadagni. Il costo può quindi essere scalato dall’assicurazione sanitaria, ma è una lunga procedura con i documenti.
In Austria è possibile abortire fino alla 14esima settimana, ed esiste anche la possibilità del parto anonimo:
[Il parto anonimo] Garantisce il completo anonimato e il nascituro viene dato in adozione. Per beneficiare del parto anonimo, non è necessaria la cittadinanza austriaca, l’assicurazione o alcun documento in nessuna fase. Devi solo andare in ospedale e registrare la tua nascita come anonima.
Un rischio sembra emergere è quello che la pratica di lotta delle Cioce possa convertirsi nell’ennesima forma di lavoro femminile non retribuito. Come fare affinché non diventino un altro esempio di lavoro di cui lo stato si lava le mani? Probabilmente attraverso la loro stessa esistenza: la visibilità politica che viene data al problema attraverso le pratiche di questi collettivi, è uno degli esempi di sorellanza più forti del nostro secolo. Per citare le parole di un attivista del collettivo Revuelta inArgentina:
Infine, come parlare dell’aborto senza escludere nessun*? “Il femminismo deve esser trans inclusivo, altrimenti sarà morto.” – Con le parole dell’attivista polacca Nina Kuta:
Venerdì 7 maggio parleremo con Ciocia Czesia, per scoprire più in dettaglio come si struttura la loro organizzazione, come funziona la loro rete di zie in Europa e su che aiuto possono contare le persone che le contattano. L’incontro sarà altresì un momento di condivisione di pratiche di lotta transfemminista con collettivi attivi in Italia. Qui trovate le informazioni a riguardo.
Di seguto potete trovare il link a tre interviste tradotte dal polacco:
Intervista a Ciocia Frania, Basia e Monia
Inervista a Aborto senza Frontiere e Abortion Network Amsterdam.