di Catai e Assemblea per la Palestina del Polo Beato Pellegrino
Mentre Palazzo Bo è occupato dagli studenti universitari, pubblichiamo l’introduzione a un opuscolo di prossima pubblicazione, curato dall’assemblea per la Palestina del Polo Beato Pellegrino e dallo Spazio Catai. Il volume terrà traccia di numerosi interventi, tenuti in occasione delle recenti mobilitazioni in supporto alla Resistenza Palestinese, a partire da novembre 2023.
“La causa palestinese non è una causa solo per i palestinesi, ma una causa per ogni rivoluzionario, ovunque si trovi, in quanto causa delle masse sfruttate e oppresse nella nostra epoca”
Ghassan Kanafani
COSA CI INSEGNA LA LOTTA DI LIBERAZIONE PALESTINESE
1. Istruitevi, agitatevi, organizzatevi: cosa ci insegna la lotta di liberazione palestinese
La frase di Ghassan Kanafani, che abbiamo scelto di mettere in calce a questo opuscolo, molti di noi – che dopo il 7 ottobre hanno immediatamente deciso di attivarsi – la conoscevano, l’avevano letta, ci erano in qualche modo già affezionati. Il suo significato profondo, però, l’abbiamo compreso nel corso di questi mesi di mobilitazione. Abbiamo dovuto abbandonare definitivamente l’idea di Palestina come semplice simbolo e ci siamo trovati di fronte, ora più che mai, al profondo legame esistente tra noi che viviamo nel cosiddetto “Occidente libero” e chi si batte in Palestina e oggi paga il prezzo più caro mentre si avvicina alla libertà. Sono i terribili giorni che precedono l’alba.
Ciò che accade ed è accaduto negli ultimi decenni in Palestina ci vede implicati direttamente e concretamente. Il continuo bombardamento di Gaza avviene grazie ai rifornimenti di armi occidentali e quindi tramite l’aumento dei profitti della nostra industria militare; la complicità dei regimi arabi nello sterminio in corso viene rafforzata grazie agli accordi politici ed economici conclusi con i nostri governi; la propaganda sionista sulla legittima difesa di Israele coincide con la progressiva limitazione dei diritti e del dissenso all’interno dei nostri Paesi che si professano moderni e democratici. Ma le ragioni che ci legano profondamente al popolo palestinese non dipendono soltanto dalla diretta complicità che l’Occidente ha con il regime di apartheid israeliano e i progetti imperialisti nell’area, con la censura e il restringimento degli spazi democratici. C’è un legame molto più profondo che ha a che fare con la capacità della resistenza palestinese di insegnarci la costanza e la memoria, di attivare e riattivare ovunque cicli di mobilitazione. La prospettiva del popolo palestinese ci insegna che i tempi delle lotte possono essere lunghi, così come possono conoscere accelerazioni, ma che la trasformazione, per chi non vuole rassegnarsi alla barbarie dell’ingiustizia e dell’oppressione, è inevitabile.
La Palestina agisce come uno specchio del mondo occidentale, scoperchiandone ipocrisie e contraddizioni. Quello che sta succedendo ormai da diversi mesi non solo rivela le dinamiche di oppressione in atto in quei territori, non solo pone la questione – di primaria importanza – della fine del colonialismo sionista e della liberazione totale della Palestina ma diffonde la sua voce agli sfruttati di tutto il mondo diventando occasione di riconoscimento di classe e riscatto. Questa voce ci dice: guardate! Si può sempre alzare la testa, guardate! Come è feroce il nemico mentre sta per cadere, guardate! Se lottiamo insieme la vittoria è possibile. O lottiamo insieme o il futuro che ci attende, tutti, è questa violenza feroce che oggi ricade su di noi.
È il popolo palestinese stesso che ci insegna a non trattare questa ingiustizia solo come questione umanitaria. Quella palestinese è invece una questione politica, una lotta politica: gli interessi e il futuro delle classi popolari si difendono lottando per la liberazione della Palestina, per la fine del sionismo come ideologia e come sistema sociale, contro l’imperialismo, per cambiare i rapporti sociali che regolano la società tutta. Gli interessi dei ricchi, degli industriali, di quell’uno percento che governa stanno dal lato di Israele, avamposto imperialista in Medioriente.
Il campo si semplifica, la linea è netta. Sta a noi contribuire a ricostruire la prospettiva di un mondo giusto e libero e mettere in atto le forme organizzative che pongano le basi e siano a disposizione della sua realizzazione.
2. Perché questo opuscolo
L’Assemblea Permanente per la Palestina è una riunione autoconvocata da studentesse e studenti dell’Università di Padova sullo stimolo di alcuni studenti già attivi in percorsi politici (lo Spazio Catai di Padova e Potere al Popolo); da subito raccoglie l’interesse e la volontà di agire di molti giovani che si riuniscono ogni giovedì da ottobre ad oggi su base pubblica e aperta.
In questi mesi di mobilitazione per la Palestina, l’Assemblea Permanente ha occupato l’Università in più di una occasione, aprendo nel dipartimento DiSLL sito in via Beato Pellegrino uno spazio politico di organizzazione, riconoscimento, discussione e legittimità della causa palestinese; altrettanto è avvenuto anche in altre università. L’Assemblea ha inoltre partecipato alle mobilitazioni cittadine, regionali e nazionali, non fermandosi all’attivazione solo nel contesto universitario.
All’interno dell’università, nel corso di questi mesi sono state ospitate iniziative e dibattiti che si sono rivelati uno strumento importante per quanti di noi non riuscivano più a sopportare la propaganda dell’industria mediatica e del governo. Iniziative di alto livello che hanno portato dentro le aule universitarie la causa palestinese affrontata da varie prospettive, con approfondimenti culturali e politici.
Crediamo che queste iniziative abbiamo contribuito, come molte altre iniziative di approfondimento e di lotta in tutta Italia, a non concedere la vittoria alla propaganda sionista. La battaglia per la verità è stata e rimane uno degli obiettivi dell’attivazione internazionale e internazionalista. Mettere in difficoltà il progetto sionista smascherandone la natura colonialista e genocida agli occhi di tutti è uno dei passi necessari per avvicinarci alla sua fine.
Quello che l’Assemblea ha cercato di fare è lottare al fianco del popolo palestinese, restituendo alle voci palestinesi un po’ di quello spazio che è stato loro tolto da decenni di occupazione coloniale e apartheid attraverso politiche di silenziamento, repressione e disumanizzazione. Se nei territori occupati della Palestina queste politiche vengono portate avanti attraverso l’apparato militare e quello giudiziario, in Occidente il silenziamento assume forme più velate, passando per strategie più o meno esplicite di censura e normalizzazione ma arrivando anche a forme dirette come nel caso dei tre giovani palestinesi – Anan, Mansour e Ali – attualmente detenuti nel nostro Paese.
Questo opuscolo vuole essere una raccolta dei principali di questi incontri, un sedimento dell’esperienza condivisa tra le studentesse e gli studenti in conflitto con la governance universitaria, ma soprattutto un contributo all’agitazione, all’organizzazione, un’occasione di studio e formazione. Uno strumento utile ad allargare lo sguardo, partendo dalla Palestina, alle nostre città, ai nostri luoghi di lavoro, alle nostre periferie. Per fare tesoro dello spazio politico aperto dalla Resistenza palestinese e battersi per la fine dello sfruttamento, per la giustizia sociale ed ecologica, contro il razzismo, per una società organizzata secondo principi di cooperazione, uguaglianza, libertà e non più fondata sul profitto di pochi.
3. Il genocidio in Palestina. La complicità dei governi e delle istituzioni occidentali. La necessità di schierarsi. Perché l’Università.
Abbiamo sentito l’urgenza e la necessità di prendere parola all’interno degli ambienti universitari che viviamo tutti i giorni perché siamo convinti che dovrebbero costituire un luogo deputato alla conoscenza, alla libertà e alla giustizia. L’intelligenza e il sapere, tuttavia, possono essere uno strumento tanto di emancipazione dalla violenza quanto di riproduzione di quest’ultima. E ci pare che di questi tempi le governance universitarie del nostro paese siano più propense alla seconda: infatti, l’esplicita aziendalizzazione dell’apparato accademico rende gli enti deputati e le ricerche ad essi associati proni agli interessi dell’industria, compresa quella militare.
Dalla capacità di un popolo di rendere libera la conoscenza per i suoi discenti attraverso un sistema di istruzione pubblico e universale dipendono la sua ragione di esistenza e la sua capacità di produrre un futuro migliore. È per questo che noi studentesse e studenti non approviamo, ma condanniamo fermamente il governo e le istituzioni pubbliche, in particolar modo quelle universitarie, per la loro scelta deliberata di fare accordi scientifici e non solo con lo stato sanguinario di Israele.
I crimini di guerra compiuti dall’esercito israeliano di cui governo e università sono complici sono innumerevoli e ben documentati. Abbiamo visto la brutalità con cui l’esercito israeliano ha bombardato indiscriminatamente la Striscia di Gaza, non risparmiando le case, gli ospedali le scuole, le università e i luoghi di culto. L’abbiamo visto colpire infermieri e ambulanze che stavano cercando di trarre in salvo persone ferite; l’abbiamo visto umiliare i palestinesi catturati, costringendoli nudi e in ginocchio; l’abbiamo visto esibire come macabro trofeo di guerra i giochi dei bambini, i corredi intimi delle donne palestinesi, gli oggetti per la preghiera quotidiana. Abbiamo anche visto segmenti importanti di popolazione civile di Israele impedire l’accesso ai camion di aiuti umanitari e festeggiare per i morti sotto le bombe a Gaza, mentre in Cisgiordania le incursioni di coloni armati nei villaggi palestinesi hanno raggiunto livelli inediti di gravità e impunità.
Abbiamo appreso con orrore i dati della distruzione del sistema educativo palestinese. Infatti, la guerra contro il popolo palestinese ha dato luogo a un’aggressione senza precedenti nella storia dell’area: a partire dall’inizio dell’attacco sulla Striscia tutte le università di Gaza sono state bombardate. Le professoresse e i professori universitari uccisi sono saliti a 264, mentre sono 5881 gli studenti universitari ammazzati (dati di fine marzo 2024). Sono 90 mila le studentesse e gli studenti universitari di Gaza che non possono più seguire le lezioni e che probabilmente non potranno più farlo in futuro, quasi 10000 di loro sono rimasti feriti. La distruzione sistematica dei centri di istruzione palestinesi («scolasticidio») e gli attacchi agli spazi palestinesi di produzione e circolazione della conoscenza e della cultura sono una caratteristica strutturale del regime di espropriazione coloniale di Israele e una delle principali componenti della pulizia etnica. Nel frattempo, le Università israeliane si sono schierate a favore dei bombardamenti e dell’invasione a Gaza e hanno sospeso o espulso i docenti che hanno chiesto il cessate il fuoco.
In questo contesto le Università italiane hanno scelto di rimanere in silenzio, senza prendere mai una posizione pubblica per il cessate il fuoco, per la difesa dei diritti umani del popolo palestinese, per il suo diritto alla vita e all’autodeterminazione.
L’Università di Padova, come molte altre, intrattiene rapporti con aziende che guadagnano miliardi dalle attività militari israeliane, come Leonardo, prima produttrice ed esportatrice italiana di armi, e come Eni, che in violazione del diritto internazionale ha ottenuto una concessione esplorativa per sfruttare i giacimenti di combustibili fossili al largo delle coste di Gaza; la conoscenza prodotta da centinaia di ricercatori e ricercatrici è al servizio del loro profitto. Allo stesso tempo l’Università di Padova ha intrattenuto e intrattiene tuttora relazioni di ricerca e scambio con diversi dipartimenti di atenei israeliani, tra cui: Tel Aviv University, Haifa University, Ben Gurion University of the Negev, Sapir Academic College, Academic College of Tel Aviv-Yaffo, Bar Ilan University.
Solo a partire da marzo 2024 nel contesto italiano abbiamo iniziato a riscontrare delle aperture da parte delle governance di Ateneo e, grazie alla tenacia delle lotte studentesche, sono state ottenute le prime vittorie. L’apripista è stata l’Università di Torino, seguita dalla Scuola Normale degli Studi Superiori di Pisa, quando il Senato Accademico ha accolto la mozione presentata dalla comunità studentesca per sospendere la partecipazione dell’ateneo al bando MAECI, che prevede la creazione di progetti di ricerca congiunti Italia-Israele.
Siamo fiere e fieri che la mobilitazione determinata delle studentesse e degli studenti in Italia abbia portato a degli spostamenti significativi delle politiche di alcune Università a favore del disinvestimento e del boicottaggio accademico. Le occupazioni, i cortei, il conflitto sono e continuano a essere la chiave per la trasformazione. La mobilitazione ha aperto lo spazio e hanno reso evidente la contraddizione per cui da una parte le istituzioni accademiche individuano la pace come valore fondamentale che guida la ricerca e il sapere universitario – riprendiamo a mo’ di esempio l’art. 1 dei Principi Fondamentali dello Statuto Patavino per cui “[L’università promuove] l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale” – mentre dall’altra queste stesse istituzioni sono attive nel promuovere l’utilizzo del sapere prodotto dalla ricerca per scopi militari e di dominio coloniale. Crediamo sia necessario che tutta la comunità accademica, a partire da studentesse e dagli studenti, professoresse e professori, ricercatrici e ricercatori, dia sostanza a questi principi costituenti e si faccia promotrice della denuncia contro questa complicità, chiedendo le dimissioni di quei Rettori che questi Principi li stanno violando e pretendendo l’immediata interruzione degli accordi con Israele e con le aziende belliche ed estrattiviste complici del genocidio.
La nostra esperienza di studentesse e studenti ci ha dimostrato che siamo noi stessi e noi stesse ad avere la motivazione necessaria, mossa dal desiderio di un futuro migliore per tutte e tutti, per schierarci con dignità e coraggio a favore della giustizia sociale. Se anche una grande parte della comunità dei professori preferisce astenersi, richiudendosi in un silenzio complice dei crimini di guerra in corso a Gaza, noi non possiamo permetterci di farlo. Prendere una posizione ed agire in questo momento è il minimo che si possa fare perché la Palestina ha bisogno di noi ma anche e soprattutto perché noi abbiamo bisogno della Palestina per uscire finalmente e definitivamente dal torpore, dalla sensazione che sia impossibile agire e per riprendere in mano il nostro futuro.
L’opuscolo è in corso di pubblicazione. Di seguito l’indice con i contributi che troverete al suo interno:
- Storia della Palestina e della sua Resistenza – incontro con Leila Khaled (Popular Front for the Liberation of Palestine, PFLP)
- La guerra contro i prigionieri politici palestinesi – incontro con Basil & Abdel Razzaq Farraj
- Femminismo e movimento delle donne in Palestina – incontro con Maryam Abu Daqqa (PFLP)
- Lotta di liberazione e femminismo in Palestina – incontro con Laila Awad (Giovani Palestinesi d’Italia, GPI) e Cecilia Dalla Negra
- La Resistenza Palestinese: dalle origini ai giorni nostri – incontro con Mjriam Abu Samra (Palestinian Youth Movement)
- I cani del Sinai – incontro con Emanuele Zinato
- Il ruolo dei media tra propaganda sionista e resistenza palestinese – incontro con Karem Rohana e GPI
- Il giornalismo ai tempi del genocidio – incontro con Leila Belhadj Mohamed
- Il 7 ottobre visto da Gaza – incontro con Giuditta Brattini
- Boycott Apartheid, Stop Genocide – incontro con Omar Barghouti (BDS Movement)
- Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca – incontro con Michele Lancione
- Not in Our Name – incontro con Jewish Voice for Peace
- Salute mentale in Palestina, tra occupazione e genocidio – incontro con Fidan Elian
- Colonialismo e sfruttamento lavorativo: dalla Palestina all’Italia – incontro con Lucia Amorosi
- Decolonize Palestine. Ecologia, lotta, critica dei saperi – incontro con Viola Carofalo e Federico Scirchio