Perché nel mese di dicembre il Veneto è stato la regione italiana più colpita dalla pandemia da Covid-19? La sintesi di Seize the Time.
Una forza misteriosa si aggira per il Veneto. A causa sua, e nonostante gli sforzi dell’amministrazione regionale, nel mese di Dicembre la nostra è stata la regione italiana più colpita dal diffondersi del Covid-19. Ce lo rivela il presidente Luca Zaia in un’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso 9 Gennaio: è il «fattore X», una qualche variante del virus che fa sì che nella nostra regione l’epidemia sia più virulenta che altrove; forse la terribile variante inglese, che al «governatore» ha pure funestato la notte di Natale con la moglie. Insomma una fatalità, una sfortuna nera di fronte alla quale le responsabilità politiche del disastro veneto si sciolgono come neve al sole.
Le giustificazioni di Zaia
La variante inglese, che ultimamente Zaia nomina spesso di fronte a chi gli chiede conto della pessima performance della nostra regione, è solo l’ultima di una sfilza di cause – di scuse – addotte dal presidente per giustificare l’operato della sua amministrazione durante l’autunno. Spiegazioni che Zaia sa dosare in debita proporzione a seconda dell’interlocutore e delle notizie del giorno, seguendo una collaudata strategia diversiva. La causa della débâcle andrà dunque di volta in volta ricercata più in alto o più in basso di lui: starà nelle decisioni del governo centrale, nel comportamento delle persone a livello locale, o – sul piano microscopico – nella mutata struttura del virus; sarà addirittura l’intera questione ad essere malposta, con la situazione in Veneto in realtà buona, ma travisata per via di certi errori di conteggio.
Nella realtà le cose stanno in modo un po’ diverso, e il «fattore Zaia» ha avuto un peso non indifferente nel recente primato negativo della nostra regione. Vediamo però innanzitutto cosa non va nelle varie spiegazioni del presidente, a cominciare dalla sua preferita: in Veneto «sembra» che ci siano più contagi, perché si fanno più tamponi. Rispondendo a una domanda Zaia ha addirittura affermato che «non può essere una colpa gestire il contact tracing meglio rispetto ad altre regioni». Ma, se è vero che il numero di nuovi positivi per numero di abitanti dipende dal numero di tamponi fatti, valori come i nuovi ingressi settimanali in terapia intensiva e il numero di morti sono chiaramente correlati alla diffusione reale del virus tra la popolazione: e in questi numeri il Veneto il primato ce l’ha. Volendo poi guardare al numero di tamponi, il dato più rilevante non è – come afferma Zaia – il rapporto positivi/tamponi, perché i tamponi vengono fatti molte volte alle stesse persone, in particolare a quelle appartenenti a categorie a rischio. Rilevante è analizzare la diffusione del virus in base alle singole persone testate in rapporto alla popolazione generale – e questo rapporto, in Veneto, è parecchio basso. Quanto al contact tracing, vero motivo del successo del Veneto nel corso della prima ondata, nel corso della seconda è completamente saltato: a dimostrarlo basta la difficoltà che ciascun* di noi, o delle persone che conosciamo, incontra quando chiede di poter effettuare il test, anche in presenza di un contatto piuttosto stretto con il virus.
Affermare che la situazione del Veneto sia solo apparente, dunque, è una vera e propria mistificazione. Scaricare la colpa sul comportamento dei cittadini, come Zaia ha fatto spesso, è un espediente retorico che non trova basi scientifiche: non c’è motivo di pensare che in Veneto le persone siano meno disciplinate che in altre regioni italiane. Anche sulla diffusione in Veneto, e non nelle altre regioni, della variante inglese o delle sue cugine non abbiamo alcun dato certo – è poco più di una chiacchiera «da circolo della scopa», per usare un’espressione cara al «governatore». E, come avrebbe detto il filosofo inglese Guglielmo di Occam, di fronte a un fenomeno non c’è motivo di ricorrere a spiegazioni incerte, estrinseche e multiple. Non quando esiste una spiegazione molto più semplice.
La ragione del disastro veneto
Il motivo per cui in Veneto le cose vanno male è davanti agli occhi di tutti. Fino a Natale la nostra Regione è stata quasi l’unica a rimanere sempre in «zona gialla», collocazione che è stata confermata di settimana in settimana nonostante l’aumento vertiginoso dei contagi. Messo di fronte a questa semplice spiegazione, Zaia ha ripetutamente affermato che il colore delle regioni è deciso a livello nazionale: questo è vero solo in parte, innanzitutto perché i provvedimenti legislativi concedono alle amministrazioni regionali il potere di elevare le restrizioni decise dal governo – Zaia stesso l’ha fatto, con provvedimenti minori, e in altre regioni è prassi. In secondo luogo perché per stabilire la collocazione delle regioni nell’una o nell’altra fascia di rischio viene preso in considerazione un dato – quello del numero di posti in terapia intensiva – che viene comunicato dalle Regioni e, nel caso del Veneto, è stato oggetto di incontrovertibile manipolazione.
Con i suoi 1000 posti letto attivi dichiarati, il Veneto infatti risulta la prima regione in Italia per disponibilità in rapporto al numero di abitanti. Ma è lo stesso Zaia ad ammettere un po’ ingenuamente che i posti letto attivi sono solo 700. Il dato corretto da trasmettere – come altre regioni onestamente hanno fatto – sarebbe stato quello scorporato in posti letto attivi e attivabili: senza contare che i 300 apparentemente attivabili, in Veneto, sono principalmente quelli delle sale operatorie, che quando vengono adoperati per il Covid-19 vengono sottratti alla loro normale funzione. È un fatto che attualmente in Veneto le operazioni chirurgiche, anche quando piuttosto urgenti, vengono rimandate più del dovuto a causa di questa conversione forzata di posti letto.
Ma il danno che Zaia ha prodotto comunicando un numero di posti letto in terapia intensiva superiore al vero per far sì che la regione rimanesse in «zona gialla» non si limita alle conseguenze sulla sanità ordinaria. La collocazione delle regioni in fasce di rischio sulla base (anche) della capacità degli ospedali nel contesto della valutazione «tecnica» del rischio pandemico è controversa, e sicuramente riflette una precisa scelta «politica» nell’alternativa tra le ragioni della salute e quelle del lavoro (o, infine, del consenso). È un meccanismo figlio di una concezione secondo cui l’epidemia si può tenere sotto controllo con gli ospedali: e già a Marzo ci si era accorti dei rischi che questa strategia comporta. Ragionando in questo modo, si lascia che il virus si diffonda di più nella popolazione, confidando poi di poter ospedalizzare tutte le persone che ne vengano affette in modo grave. Chi prende questo tipo di decisione, nel nostro caso il Governo e la Regione insieme, si rende però politicamente responsabile della sofferenza dovuta alla maggiore incidenza della malattia, e anche – dal momento che le cure per il Covid-19 non sono sempre efficaci – del numero elevato di morti.
Le altre responsabilità di Zaia
Visto il funzionamento del meccanismo dei «colori», dunque, non c’è da stupirsi che il virus in Veneto sia andato fuori controllo. Accanto a questo, che è il motivo principale, vanno citati altri fattori, tra cui la tardiva attivazione dell’app Immuni e il lavoro malfatto di preparazione durante il periodo estivo. Delle quasi cento Unità Speciali di Continuità Assistenziale previste in Veneto già da Marzo, un potenziamento delle articolazioni territoriali della sanità, risultano attualmente attive circa la metà. L’altro fattore più importante, tuttavia, sembra essere legato all’uso di tamponi rapidi – meno attendibili di quelli molecolari – per lo screening di categorie a rischio, nonostante gli avvertimenti, e anzi silenziando le voci di dissenso.
Il 29 Settembre il Ministero della Salute ha pubblicato una circolare relativa all’uso dei tamponi rapidi che ne autorizzava l’uso – vista la possibilità elevata di falsi negativi – solo per screening di massa, come quello della popolazione scolastica. A questa circolare, il 21 Ottobre, è seguita una delibera regionale a seguito della quale i tamponi rapidi hanno iniziato ad essere usati, in Veneto, anche per il monitoraggio di categorie a rischio come il personale sanitario e delle RSA. Dopo diverse proteste e due diffide del sindacato medico Anaao Assomed, dal Ministero della Salute è arrivata un’altra circolare che afferma che i tamponi rapidi di terza generazione possono essere considerati attendibili quasi quanto quelli molecolari. Subito Zaia ha sfruttato la notizia a suo favore: «Secondo il Ministero della salute, i test rapidi antigenici sono assimilabili ai tamponi molecolari per affidabilità», scrive su Facebook l’11 Gennaio, deliberatamente tralasciando il fatto che i test rapidi di terza generazione erano stati usati in Veneto solo da alcune ASL e al massimo a partire da Dicembre.
La nuova circolare rappresenta casomai una condanna delle scelte del Veneto, perché afferma chiaramente che i tamponi rapidi di prima e seconda generazione – quelli che in prevalenza sono stati usati finora – non vanno usati per testare il personale sanitario: esponenti del PD hanno infatti cercato di utilizzarla per screditare il «governatore». Più risonanza però hanno avuto le affermazioni di Zaia secondo le quali, considerando anche i tamponi rapidi, il rapporto tra risultati positivi e test totali in Veneto finisce per crollare (ad esempio, il 12 Gennaio, dal 13,5% al 4%) – il che è semplicemente ovvio ed è solo una conferma della scarsa rilevanza di questo dato rispetto, invece, al rapporto tra pazienti in terapia intensiva o deceduti e popolazione generale.
La verità è che, sia con i suoi maneggi per far rimanere la regione in «zona gialla», sia con l’indicazione alle aziende sanitarie di utilizzare test meno attendibili dello standard sul personale sanitario e delle RSA, Zaia si è macchiato di una parte considerevole di responsabilità nell’attuale, disastrosa situazione della pandemia in Veneto. E di quello che comporta in termini di malattia, sofferenza e morte. Resta da capire se tale responsabilità, a fine pandemia, verrà cancellata dalle sue note abilità retoriche – ora tutte intese a magnificare il successo veneto nella corsa alla vaccinazione – oppure resterà in qualche misura nella memoria politica della nostra regione.
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