di Filippo Grendene, Potere al Popolo Padova
Sta girando un comunicato di Porto Burci di Vicenza, dove un mese fa è stato presentato il progetto di Seizethetime. Quali sono le prospettive dello spazio? Sembra che l’amministrazione fra pochi mesi, allo scadere della convenzione, abbia intenzione di riaffidare l’edificio dell’ex scuola elementare alla Fondazione Studi Universitari di Vicenza, in accordo con l’università di Padova. Il direttivo di Porto Burci è venuto a conoscenza di questa volontà dell’amministrazione dai giornali e sta utilizzando il tempo che resta fino al marzo 2021 per respingere il colpo. Nel nostro piccolo faremo tutto quel che è nelle nostre possibilità per sostenere le iniziative di resistenza dello spazio.
La dinamica è nota e riguarda, anche se in forme diverse, sia gli spazi occupati che quelli concessi. Dalla destra ce lo si aspetta. Quando Flavio Tosi divenne sindaco per la Lega Nord a Verona, nel 2007, venne sgomberato e distrutto il centro sociale La Chimica – il giorno dopo sull’Arena il neosindaco sorrideva a bordo del bulldozer – e contemporaneamente furono tagliati i fondi per le iniziative culturali e musicali che in città si svolgevano. Furono chiuse, ad esempio, una serie di sale prove, convertite a diversa destinazione d’uso. A Treviso il sindaco Gentilini ha impedito per i lunghi e gelidi anni del suo mandato l’apertura di spazi sociali, per costruire una città bomboniera; il Django, centro sociale trevigiano, è stato conquistato dai militanti con grande difficoltà e grazie a un impegno durissimo. A Venezia Brugnaro ha immediatamente attaccato gli spazi sociali, e dove ha potuto li ha chiusi. A Vicenza il centro sociale Bocciodromo ha rischiato poco tempo fa lo sgombero, e ora siamo a questo.
In terra padana dunque regna l’inverno. Non certo impensierita dalle attività della sinistra, dei movimenti, degli spazi sociali, considerati i risultati delle scorse elezioni, è tuttavia vero che una certa forma di autorganizzazione e di concezione politica dell’esistenza, nel senso più ampio, resta una spina nel fianco nel modello Veneto, sempre più orientato sui poli di lavoro, famiglia, consumo. Tutto ciò che esce da questa traiettoria è visto con sospetto, e quando possibile è attaccato ed eliminato.
Ci sono delle eccezioni, è vero; la maggiore è Padova, dove da alcuni anni governa una giunta interessante, un’alleanza numericamente equilibrata fra Partito Democratico e l’esperimento di Coalizione Civica. Sulla carta, rispetto al panorama italiano, una giunta decisamente a sinistra. Per una serie di motivi Padova, negli ultimi decenni, è stata la città con la vita politica e sociale più sviluppata nel panorama regionale: sono fioriti gruppi, associazioni, spazi sociali – occupati o meno – e si sono dunque sviluppate possibilità e posizioni differenziate. Dopo gli anni gelidi della giunta Bitonci, sembrava che le cose potessero migliorare. L’ultimo anno padovano, però, è stato quello degli sgomberi: in ordine cronologico vediamo la Marzolo, la casetta Berta, lo stabile dell’ex Vescovi, le Clac, il Bios Lab. Sappiamo inoltre che la Cattedrale Davanzo, di cui Seizethetime ha parlato, è stata svenduta alla multinazionale Leroy Merlin. L’amministrazione di centro sinistra ha creato sedi di dialogo formalizzato, con tanto di mediatori, fra i soggetti che operano sui territori, dalle cooperative sociali alle associazioni; su tutto il resto, sulle forme di autorganizzazione soprattutto politica, ha deciso di lasciare fare alla Questura, senza opporre particolari rimostranze – fa eccezione la Clac, sede di una decina di associazioni che da quarant’anni gestivano, non occupavano, un grande spazio comunale, il cui sgombero porta proprio la firma del sindaco Giordani.
Non si vuole proporre qui l’equazione Lega = Pd; non è vero che «i xe tutti uguali», come si dice troppo spesso. Però è vero che, se la Lega e le destre hanno messo in pratica con forza delle politiche attive di normalizzazione della vita cittadina ogni volta che sono arrivate al governo di un capoluogo, il centrosinistra nonostante le dichiarazioni non è stato capace, negli ultimi anni, di uscire da una dinamica per cui ciò che si può fare in una città è amministrare bene.
Non ci si può accontentare. Torniamo alla questione: a cosa servono gli spazi sociali? A facilitare «pratiche di cittadinanza attiva»? Ad «attivare reti e percorsi virtuosi»? Usciamo dalle retoriche liberiste e diciamo per una volta le cose come stanno: gli spazi sociali oggi in Veneto devono avere quantomeno la funzione di costruire un senso comune diverso. Fuori dalla triade lavoro-famiglia-consumo. Con la loro organizzazione, con il loro esempio – di qualsiasi spazio si tratti, perché ricordiamoci che il nemico oggi è davanti e non al fianco – devono mostrare che sono verosimili forme di esistenza differenti, in cui sia possibile costruire un senso collettivo per la propria vita. Se non fanno questo allora sono circolini, e il discorso cambia; ma se lo fanno, rompono le scatole.
Proprio per questo la destra, forse a livello inconscio, mal tollera questi spazi. Perché la Lega e le destre in Veneto sono quelle delle grandi opere inutili e degli aumenti degli affitti ATER; della rete di potere economico sottile ma capillare e della gestione dell’immigrazione a tutto vantaggio della nostra imprenditoria: e lo sa. Si intende dire che la Lega di Zaia ha ammantato coscientemente il suo carattere antipopolare di populismo, ma in fondo conserva la paura che il gigantesco bluff venga svelato. Non con una grande inchiesta ma con un esempio diverso di cosa significhi politica.
Ma non si tratta nemmeno di amministrare l’esistente. Gli spazi sociali, ciascuno nella loro forma, se si pensano come forza di rottura non possono rientrare in un’idea liberale, anche da centro sinistra, dell’amministrazione delle città. Il Partito democratico su queste cose ha un’idea molto chiara: i rapporti di forza vanno rispettati. A Padova, unica grande città in regione amministrata dal centro sinistra, anche gli alleati di Coalizione Civica hanno assunto questa prospettiva: i rapporti di forza vanno rispettati. Non «i rapporti di forza esistono per essere modificati».
Un ultimo punto: inversamente, la stessa cosa vale per chi anima gli spazi sociali. Ancora una volta, non ci si può accontentare. C’è una probabilità abbastanza alta che i prossimi anni saranno di grande crisi economica. Ha senso pensare alla sinistra come alla politica della buona amministrazione inclusiva, o bisogna pensare qualcos’altro? Quanto paga questa idea di gestione dei rapporti di forza? Incide sulla società, sulla vita delle classi popolari? Pensiamo o no che sia possibile una serietà, una politica adulta, realistica e radicale diversa da quella dei nostri centri sinistra, che riconosca che per modificare i rapporti di forza serva serietà e organizzazione? Pensiamo cioè che possa esistere una società diversa? Ciascuna di queste risposte ha delle conseguenze, che sarebbe interessante provare ad esplorare.
Torniamo da dove siamo partiti. Porto Burci è uno spazio importante perché garantisce a molti vicentini una piccola possibilità diversa di esistenza. È sotto attacco dalla destra vicentina, e in questo senso va difeso. È stato concesso dalla precedente amministrazione di centrosinistra, in un’ottica di buona gestione del territorio cittadino. Noi daremo tutto il supporto che ci sarà possibile; però non è detto che queste binomio centrodestra-centrosinistra non si possa rompere, sperimentando altre possibilità, pensando alla vita collettiva come qualcosa di nostro, da agire adesso.