intervista a Gianni Sbrogiò, Comitato Acqua Bene Comune Padova
Sono passati dieci anni dai quattro referendum del 2011 che, assieme ad altre tematiche (nucleare, legittimo impedimento) limitavano la possibilità di trarre profitto dalla gestione del servizio idrico. Il referendum si collocava in un periodo storico piuttosto diverso: le grandi mobilitazioni studentesche dell’anno precedente erano rifluite, ma il governo Berlusconi si trovava in difficoltà per gli attacchi finanziari all’Italia, assieme al montare della grande crisi.
Dal 1995 tutti i referendum proposti erano falliti per mancato raggiungimento del quorum; nel 2011, invece, in tutta Italia la partecipazione fu grande, con fiorire di comitati, gruppi informali, raccolte firme spontanee, oltre alla partecipazione di molti attori politici. La grande mobilitazione, oltre che non scontata, era nettamente in controtendenza: si veniva da anni di forti privatizzazioni dei beni e servizi pubblici, le cosiddette liberalizzazioni, patrocinate indistintamente da destra e centrosinistra; e si veniva da anni di partecipazione popolare in continuo calo. L’affluenza nazionale sfiorò il 55%, con parere favorevole alle abrogazioni fra il 94 e il 95%.
Il pregio della campagna referendaria, oltre naturalmente al risultato, fu quello di ridurre ai minimi termini la posta in gioco, mostrando su una questione ben precisa come bene comune e profitto privato non fossero compatibili, e costruendo consenso attorno a questa posizione.
Come era stata vissuta a Padova la campagna referendaria? Che aria si respirava?
Si respirava un’aria di partecipazione. A luglio 2010 una vasta coalizione sociale, riunita nel Comitato Promotore per il Sì ai Referendum per l’Acqua Pubblica, presenta tre quesiti referendari abrogativi, sostenuti da 1.402.035 firme raccolte in meno di tre mesi.Solo 2 dei 3 quesiti vengono dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale. La cosa fu possibile, secondo me, perché dal 2006 il FIMA (Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua) aveva preso piedi in tutta Italia e si veniva da un’altra raccolta firme (406.626 cittadini) su una Proposta di legge di iniziativa popolare, presentata in luglio del 2007, e dopo una manifestazione a Roma neldicembre 2007 con oltre quarantamila persone.
La vittoria referendaria non ha significato però la fine della battaglia. Ci spieghi per quale motivo?
Ad agosto 2011, subito dopo la vittoria referendaria, con una linea completamente opposta, il governo Berlusconi emana il decreto 138/2011 che all’art.4 riproponeva la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell’articolo abrogato con i referendum, escludendo però il servizio idrico. Le modifiche sopravvenute limitavano ulteriormente le ipotesi di affidamento dei servizi pubblici locali (rifiuti e trasporti), comprimendo ancor di più le sfere di competenza regionale in materia. Pertanto diverse Regioni promuovono ricorsi di fronte alla Corte Costituzionale, che il 20 Luglio 2012 con la sentenza 199/2012 dichiarava incostituzionale l’art. 4 e le successive modifiche, per palese violazione dell’art. 75 della Costituzione, che disciplina l’istituto referendario.
Ricordiamoci che il 5 agosto 2011 Draghi e Trichet indirizzarono una “raccomandazione” al Primo Ministro italiano Berlusconi con la quale il direttivo della Banca Centrale, svoltosi il giorno prima, afferma a): “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”.
A dicembre 2011 il Governo Monti, col cosiddetto “Salva Italia”, trasferiva all’Autorità per l’Energia e il Gas (AEEG ora ARERA) le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici. Da questo momento l’ARERA comincia a deliberare sul S.I.I. (Servizio Idrico Integrato) mettendo in atto tutte una serie di disposizioni che vanno in senso contrario alla vittoria referendaria e vara un nuovo metodo tariffario che non applica la normativa residuale, come da referendum, ma inserisce nuovamente la remunerazione del capitale investito (utile) con la denominazione “risorsa finanziaria” e con tutta una serie di meccanismi artificiosi, considera il “profitto”, come una voce di “costo” della gestione del servizio idrico.
Per capire meglio la situazione, puoi spiegarci il ruolo dei diversi attori nella gestione idrica sul territorio?
A livello nazionale c’è Arera, la quale ha stabilito il Metodo Tariffario Idrico (MTI) che, come detto, permette ai gestori di ottenere lauti utili dalla gestione del bene comune per eccellenza come l’acqua. A livello locale c’è l’Autorità di Ambito Territoriale di Bacino che nel nostro caso si chiama Ato Bacchiglione o Consiglio di Bacino Bacchiglione che ha il compito di controllare il gestore e di formare la tariffa attraverso i costi e i ricavi che il gestore deve passargli. Il gestore, nel nostro caso, è AcegasApsAmga Spa gruppo Hera, una multiutility quotata in borsa la quale gestisce 12 comuni (compreso Padova) attraverso una convenzione (scade nel 2028 e il gestore ha chiesto di prorogarla fino al 2036).
E così a Padova il Comitato 2SI Acqua Bene Comune, di cui fai parte, è rimasto in piedi. Puoi spiegarci cosa avete fatto in questi anni?
Il Comitato, nato nel 2007 e divenuto Comitato 2SI Acqua Bene Comune per organizzare il voto referendario, alla fine del 2012 inizia ad organizzare la Campagna di Obbedienza Civile con l’autoriduzione delle bollette del S.I.I., attraverso banchetti settimanali nei quartieri e varie assemblee pubbliche. Lo scopo è ottenere l’applicazione del referendum: assieme alla mobilitazione attiva di centinaia di migliaia di cittadini in tutta Italia, ci proponiamo di attivare una forma diretta di democrazia dal basso, auto-organizzata, consapevole e partecipata.
Il Comitato comincia a studiare i vari documenti e le delibere del Consiglio di Bacino Bacchiglione. Spieghiamo come fare l’autoriduzione della bolletta presso le sedi dell’associazione “Altragricoltura” e del sindacato “ADL Cobas” e presso i banchetti che organizziamo nei quartieri. Facciamo compilare un reclamo/istanza di rimborso al gestore (con il quale si chiede il rimborso della componente tariffaria versata in più dal luglio 2011) ed un nuovo Bollettino Postale con l’importo della bolletta ridotto della quota della “remunerazione del capitale investito”, che il Comitato ha calcolato estrapolando i dati dal Piano Economico Finanziario redatto dal Consiglio di Bacino Bacchiglione.
Chiariamo che si tratta di una battaglia politica e che il gestore potrebbe inviare lettere intimidatorie (come effettivamente si verifica), alle quali rispondiamo con una raccomandata realizzata dai nostri legali.
Durante i 5 anni di durata della lotta la percentuale detratta dall’importo della bolletta variava tra il 17% e il 21%.
Il gestore AcegasApsAmga, con l’applicazione del nuovo metodo tariffario, ha aumentato la bolletta dell’acqua dal 2012 al 2017 del 50,43%. I 12 comuni, tra cui Padova, gestiti da AcegasApsAmga voteranno sempre a favore dell’aumento della bolletta: essendo soci azionisti, il caro bollette si traduce in un incremento dei dividendi da loro percepiti. Così, sull’acqua bene comune e sugli utenti finisce per gravare un’odiosa tassa e per di più, occulta.
Alla fine hanno partecipato alla campagna di obbedienza civile circa 500 famiglie di Padova e provincia.
All’arrivo della sentenza negativa del Consiglio di Stato del maggio 2017, assieme agli altri comitati autoriduttori, andiamo a trattare, ognuno col proprio gestore, il contenzioso che si era venuto ad accumulare durante i lunghi 5-6 anni di lotta.
Ma a livello istituzionale, di Comune e Amministrazioni, avete provato a fare qualcosa?
Dall’ottobre 2016, durante la campagna di obbedienza civile, il Comitato 2SI Acqua Bene Comune decide di raccogliere le firme su una proposta di deliberazione consiliare di iniziativa popolare per la tutela di interessi collettivi, che a norma dell’art.16 dello Statuto del Comune di Padova, può essere presentata se sottoscritta da almeno 500 cittadini residenti.
Il 23 ottobre 2017 il Comitato deposita la proposta di deliberazione firmata da 916 cittadini e finalmente il 28 gennaio 2019 la delibera viene votata dal Consiglio comunale.
I quattro punti sono:
- la fornitura d’acqua non venga sospesa nel caso di morosità delle utenze civili residenti e il quantitativo minimo vitale (50 litri persona giorno) sia sempre erogato.
- la tariffa sia resa più equa, soprattutto per i nuclei familiari più numerosi, senza aumenti per le altre utenze civili residenti.
- alle utenze civili residenti disagiate venga dato un contributo attraverso un fondo formato da una parte dell’utile dell’ente gestore.
- il Comune impieghi una parte della propria quota di dividendi Hera per completare la copertura delle bollette delle utenze disagiate.
Votata, ma non applicata: è questo uno dei motivi per cui anche sabato 12 giugno, a dieci anni dal referendum, saremo sotto Palazzo Moroni per chiederne l’applicazione da parte del Comune e del gestore.
Inoltre, il risultato del referendum non è stato applicato, anche se il referendum ha bloccato il tentativo del Governo di allora di privatizzare in blocco tutte le gestioni dell’acqua entro la fine dell’anno 2011. La privatizzazione però è continua e strisciante e il profitto è rimasto. Draghi nel PNRR vuole adoperare alcuni miliardi per spingere le società pubbliche verso il partenariato pubblico e privato, cioè in sostanza dare spazio alle grosse multiutility e ad una gestione privata.
L’unica soluzione è che la proposta di legge ferma in parlamento, presentata già 3 volte, venga votata e applicata senza stravolgerla come vorrebbe non solo la destra, ma anche il PD. Cioè gestire il S.I.I. attraverso l’Azienda Speciale e non una Spa e con la tariffa senza il profitto.
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