di Agnese Pieri
In copertina un estratto di Foiba rossa, edizioni Ferrogallico, fumetto neofascista e nazionalista consigliato e distribuito dalla regione Veneto per le scuole secondarie. Pubblichiamo questo articolo per dire la nostra sul Giorno del Ricordo e sulle sue strumentalizzazioni.
La legge 92/2004 istituisce il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia nella giornata del 10 febbraio, la data della firma del trattato di pace con il quale, nel 1947, viene sancito il trasferimento di sovranità di questi territori dall’Italia alla Jugoslavia.
Gran parte delle iniziative organizzate nel corso degli anni hanno previsto un sempre maggior coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado. La retorica dominante sul piano politico-mediatico prevede la seguente narrazione: le foibe sono un episodio della nostra storia sepolto dalla censura dei decenni successivi che è ora doveroso resuscitare nella memoria nazionale. L’impressione che di solito ne ricavano studentesse e studenti è piuttosto confusa: qualcuno di oscuro nel passato ha provocato un’amnesia generale per motivi non chiari su una catena di fatti che di volta in volta vengono definiti genocidio, pulizia etnica, resa dei conti, violenza di stato. Il tutto è accaduto in un’area geografica (“confine orientale”, Alto Adriatico, Dalmazia) che latita ai margini della percezione collettiva. E gli stessi insegnanti non sanno in che modo posizionarsi di fronte a una ricorrenza che, richiamandosi alla Giornata della Memoria (27 gennaio), sembra equiparare l’Olocausto e le foibe (il 10 febbraio 2019 Salvini dichiara che «I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali»).
La confusione non dipende solo dalla trama intricata di fatti che, riducendone la complessità, indichiamo con l’etichetta “foibe”. Etichetta di per sé poco nota e difficile da mediare; richiede infatti che si conosca almeno un po’ il prequel, e cioè la differenza tra stato multinazionale (l’Impero Austroungarico) che governava sui territori del “confine orientale” e lo Stato-Nazione (l’Italia) che gli successe dopo la Prima Guerra mondiale, e come questo ebbe degli effetti fortemente destabilizzanti sulla convivenza tra le diverse etnie e nazionalità presenti.
Soprattutto, la difficoltà di professoresse e professori che devono raccontare questa storia dipende dalla volontà di non allinearsi a un discorso pubblico dal carattere celebrativo e nazionalista, il quale più che «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale» (Articolo 1, Legge 92 del 30 marzo 2004), sembra ignorare del tutto la realtà storica di questi luoghi e favorire una percezione distorta, patriottica e genericamente anticomunista dei fatti. Spesso, quindi, in classe si preferisce non parlarne affatto.
Nell’introduzione del libro E allora le foibe (Editori Laterza, 2020), Eric Gobetti si sofferma sul recente caso del film Rosso Istria, una co-produzione Rai trasmessa per la prima volta il 10 febbraio 2019 che, secondo lo storico, si presenta come un prodotto di propaganda a tutti gli effetti. Nel film, «la violenza non colpisce gli italiani, ma i fascisti dichiarati. Gli eroi sono mostrati spesso in camicia nera: invocano il Duce e la loro unica salvezza è rappresentata dai soldati nazisti»; «i partigiani comunisti jugoslavi sono bestie assetate di sangue […], non c’è alcuna logica nel loro comportamento, solo un istinto primordiale che li porta alla violenza». E ancora: «lo spettatore è portato a schierarsi con le vittime fasciste di un crimine commesso dai comunisti, con una scelta di campo ideologica molto netta. In sostanza fascismo e comunismo non sono equiparati, perché il secondo è rappresentato come di gran lunga peggiore del primo».
Sempre Gobetti ricorda che, con la mozione n. 440 del Consiglio regionale del Veneto (22 novembre 2018), è stata avanzata la proposta di rendere obbligatoria la visione di Rosso Istria nelle scuole della regione. E in effetti, il 6 febbraio di quest’anno, per esempio, il film è stato proiettato (nella versione ridotta e riadattata) al Cinema Italia di Dolo, con la presenza in sala del regista Maximiliano Hernando Bruno, del rappresentante dell’Ufficio scolastico regionale del Veneto, del vicepresidente della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati e dell’assessora regionale all’Istruzione e Formazione, la quale ha ricordato che:
«Negli anni la Regione ha coltivato un crescente e proficuo rapporto con il Miur e l’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, per allargare quanto più possibile la conoscenza di queste pagine strappate di storia. […] Giuliani, istriani e dalmati, messi in fuga dalla dittatura titina, scelsero l’Italia perché italiani, ma l’Italia non li accolse con benevolenza. E la cattiva coscienza politica nonché la vergogna per il trattamento riservato ai propri connazionali profughi, fece cancellare quelle storie dai libri di storia».
Nella sezione biografica del sito ufficiale dell’assessora regionale all’Istruzione e Formazione, Elena Donazzan, troviamo una citazione di Giorgio Almirante, fondatore del Movimento Sociale Italiano, ex dirigente del regime fascista e leader della destra radicale italiana (per chi volesse saperne qualcosa di più, c’è questo bell’articolo del Post ). Il regista del film, Maximiliano Hernando Bruno – che precedentemente aveva recitato in un film come Il leone di vetro, sull’annessione del Veneto all’Italia nel 1866, altro tema caro alla retorica leghista old school–, in un’intervista rilasciata a «Ticinolive» il 10 febbraio 2020 ha dichiarato che le foibe furono «una vera e propria una caccia all’italiano» e che «non furono una vendetta su pochi, ma un atto criminale, un genocidio da parte dei comunisti iugoslavi su persone che spesso col fascismo non avevano nulla a che fare ma erano solo italiani».
Espressioni come «caccia all’italiano» e «genocidio», gettate nel vuoto di conoscenza generale di quanto successe prima delle foibe, hanno lo scopo di aggiungere un capitolo alla mitologia nazionalista, a sua volta funzionale alla propaganda di destra che si appoggia su un’idea fittizia di italianità. Le foibe avvennero infatti in un territorio di confine dove il concetto di etnia era tutt’altro che riducibile all’idea di nazionalità. L’esempio riportato da Gobetti riesce, da solo, a smontare in un batter d’occhio l’intera costruzione:
«Uno dei più noti eroi risorgimentali, il triestino Guglielmo Oberdan, impiccato a Trieste nel 1882 per aver attentato alla vita dell’imperatore Francesco Giuseppe, era figlio di una cuoca slovena. Si chiamava, alla nascita, Wilhelm Oberdank: nome tedesco, cognome sloveno, identità italiana».
Oltre a Rosso Istria, al Cinema Italia di Dolo lo scorso 6 febbraio è stata presentata la graphic novel Foiba Rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana, edita dalla casa editrice Ferrogallico – vicina alla più nota Altaforte edizioni, la società editrice di Casa Pound che pubblica libri quali Diario di uno squadrista toscano e Ho difeso Licio Gelli. Sul sito di Ferrogallico troviamo questa dichiarazione: «La nostra missione è tramandare memorie, personaggi e storie sui quali grava il velo di silenzio del conformismo culturale, del “politicamente corretto”».
Sempre Gobetti ci fa capire perché la figura di Norma Cossetto, studentessa istriana uccisa dai partigiani jugoslavi nel 1943 sulla quale si concentrano Rosso Istria e Foiba rossa e definita la “Anna Frank italiana”, sia funzionale a un racconto che altera la realtà storica puntando ad emozionare e suscitare reazioni di sdegno nei confronti del “nemico”slavo e comunista e ad assimilare, nel discorso pubblico, la violenza dei partigiani jugoslavi a quella nazifascista: 1) «L’insistenza sulla presenza di donne e bambini tra le vittime delle foibe», nonostante le ricerche condotte dagli storici dimostrino che le vittime femminili siano il 5% del totale e che sia possibile individuare solo pochissimi e isolati casi di bambini e adolescenti morti, «è dunque un artificio retorico, volto a creare l’immaginario di un popolo innocente massacrato senza pietà»; 2) le opere che ne parlano insistono su un presunto stupro di gruppo che Norma Cossetto avrebbe subito prima di essere uccisa, servendosi così del corpo della donna – tradizionalmente indifeso e vulnerabile, oggetto da difendere – allo scopo di accentuare, propagandisticamente, la bestialità dei partigiani.
Rosso Istria e Foibe rosse «sono gli strumenti che la Regione Veneto, in accordo con l’Ufficio scolastico regionale del Veneto, propone anche quest’anno alle scuole secondarie e professionali del Veneto per il Giorno del Ricordo» (https://www.regione.veneto.it/article-detail?articleId=4227309). Decidere di non fare uso di questi strumenti in classe non è sinonimo di «cattiva coscienza politica», come invece ha sottolineato Elena Donazzan, e non significa negare che le foibe ci siano state, ma indica il rifiuto dei termini in cui vengono raccontate dalla destra. Soprattutto – ma non solo – per chi insegna storia, condividere con la classe strumenti utili a capire le foibe e l’esodo è diverso dal fare eco alla propaganda nazionalistica.
Buone letture:
Gobetti E., E allora le foibe? (Editori Laterza, 2020) – è un libro snello e diretto. Si legge in un’ora e alla fine saprai perché si dice “confine orientale”, perché i partigiani jugoslavi non sono uguali ai nazifascisti e perché è scorretto usare la parola “foibe” per parlare delle foibe.
Dogliani P., Il fascismo degli italiani, (UTET, 2014) – vai al cap. 8, Italiani e non italiani, per conoscere il concetto di nazione elaborato dal fascismo e le sue conseguenze sulle minoranze linguistiche presenti nella popolazione italiana e sulle politiche adottate nei territori di Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Zara.
Vademecum per il Giorno del Ricordo, Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia. Il PDF si trova gratuitamente online. A pag. 52 inizia il capitolo Amnesie e ricordi, dedicato a ricostruire la storia della memoria delle foibe (quando si è smesso di parlarne, quando si è ricominciato e perché).
2 thoughts on “Foibe. Perché a scuola (non) se ne parla”